Letteratura italiana: Luigi Pirandello

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Parliamo di

  Autori del Novecento italiano: PIRANDELLO
Critica all'opera
  Gerardo Guerrieri

 


Lazzaro
 

Tre atti rappresentati nel 1928. È questo l'ultimo viaggio all'inferno, il mito pirandelliano dell'al di là. Di fronte alla morte, Pirandello prova di solito uno sgomento glaciale, per vincerlo e per superare, nel contempo, il solipsismo delle sue creature, che naufragano se abbandonate a sé sole, e per diffondere una parola di fiducia, pensa di concludere la sua drammaturgia con i "miti"; e il desiderio di implicare significati a ogni costo universali, di imporsi una concezione, induce finalmente lo scrittore, in regioni lontane da sé, a riconoscere come eternamente validi futili esempi. Ecco Diego Spina, credente: egli sopporta in attesa di un al di là il tradimento e la separazione della moglie, e ha avviato il figlio Lucio alla carriera ecclesiastica. Venuto a sapere che il figlio, rinunciando alla tonaca, si è rifugiato dalla mamma, preso da disperazione, corre a cercarlo: finisce sotto un'automobile e muore. Ma un medico prova su di lui un'iniezione, e Diego rivive e riappare fra la stupefazione dei suoi, armato di un fucile che scarica addosso all'amante della moglie: mutato subito con questo atto. Ormai, egli dice, a chi è stato nell'al di là senza trovar nulla, è inutile il perdono. Ma il figlio Lucio si incarica di placarlo: la sua anima, dopo la morte, s'è trovata in Dio, e Dio stesso non fa sapere nulla ch'Egli non voglia. È un miracolo, di fronte al quale bisogna vivere, senza bisogno di sapere, ma solo a patto di credere. La presenza di Dio determina allora anche un altro miracolo: come dinanzi a una chiamata soprannaturale la piccola paralitica Lia si alza e cammina. Lo sforzo dialettico posto nel sostenere il mito è grande, ma scade a risultati convenzionali: di fronte a questa presunta fede è da rimpiangere il pudore di All'Uscita, vero mito dell'al di là. Qui invece c'è una proiezione assurda da un fatto gratuito a simboli esterni: come se il vero mito dello scrittore non fosse nella sua condizione umana e nei propri problemi. La conclusione pirandelliana sull'al di là rimane in uno stupore senza spiegazioni che non siano sfortunatamente immotivate. La morte si impone come uno strazio inevitabile, irrazionale dolore, grida e lamenti: convulsioni dei sensi. Ma questo falso dialogo sull'anima non ha nemmeno, dell'uomo resuscitato e infernale, il brivido del fantomatico. A sedimento, nella delusione del resuscitato deluso, sta una materia grigia di superstizioni, cecità, fanatismi, ignoranze popolari. Popolare è il razionale semplicismo e la facilità delle spiegazioni, il fatto di una fede così "materiale". E un culto dialettale si svela, come accade spesso in Pirandello, sotto parvenze di una civiltà, per così dire, universale.

 

Luigi De Bellis