Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano:
PIRANDELLO |
Critica
all'opera |
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Gerardo
Guerrieri |
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Liolà |
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Commedia in tre atti
rappresentata a Roma nel 1916. La stesura originale è in
dialetto siciliano. Le avventure galanti di Liolà,
esuberante figura di seduttore campagnolo canterino e
senza malizia, corrono per le borgate e i villaggi della
Sicilia. Ogni sera, di ritorno dai campi, egli canta
stornelli in allegria, mentre a casa lo attendono
impazienti i tre pargoli rimasti a ricordo delle sue gesta
amorose. Così mal ridotta è la sua fama che nessuna donna
lo vuol più per marito: Tuzza, che sta per avere un figlio
da questo "padre del villaggio", si rifiuta seccamente di
sposarlo. Ma la furba comare ha il suo progetto: il
vecchio Simone si lagna da tempo di non aver prole dalla
giovane moglie Mita: colpa, dice il vecchio,
esclusivamente di lei. Ora Tuzza gli propone di far
passare questo prossimo figlio per suo e di adottarlo:
così saranno messe a tacere le male lingue e potrà
vantarsi in giro delle proprie capacità maritali. Il
vecchio rimbambito accetta, né si cura del subbuglio in
famiglia e delle beffe del paese. Ma Liolà medita
canterellando la sua vendetta. Un bel giorno, infatti,
Mita fa sapere che avrà, finalmente, un bambino. A questo
annuncio la gioia del vecchio Simone non può essere più
contenuta; ora non sa più che farsi del figlio di Tuzza, e
glielo rispedisce. Le mene di Tuzza sono fallite, a lei
non riesce nemmeno la vendetta del coltello, che Liolà
riesce a scansare con la destrezza elegante di don Juan. A
consolazione egli le canterella un'altra strofetta: che
gli mandi pure quest'altro figlio; invece di tre, saranno
quattro le bocche da sfamare. Questa la cruda conclusione
di un intrigo senza speranze, chiuso e candidamente
spietato. Le conclusioni del drammaturgo sono sospese in
uno sguardo compiaciuto della propria indifferenza,
curioso del gioco. Un senso di peccato e di remota miseria
sopravvive all'assenza di un giudizio etico; solo alla
fine, una generica compassione che non riesce strada salva
da un tipico naturalismo pagano. Ci troviamo dinanzi a
personaggi sottili e capziosi, sbozzati in caratteri che
arieggiano un'antichità (Plauto, Teocrito) preziosa e
affatturata quanto quella di certe anfore; ma anche troppo
complicati per sostenere un'istintiva felicità. Il maggior
risultato di questo Liolà, oltre a questa astratta
tipificazione, consiste in ritmi e misure corali quali
Pirandello non ritroverà se non di rado, e quasi mai con
tanta vivacità ed efficacia.
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