Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano:
PIRANDELLO |
Critica
all'opera |
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Gerardo
Guerrieri |
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Lumie
di Sicilia |
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Un atto, fu
rappresentato, primo fra le sue opere, nel 1910. Micuccio
Bonavino, suonatore di banda, va in città a trovare la sua
amica Rosina, che dopo tanti anni è divenuta una celebre
cantante, ha fatto quattrini e non è più tornata alla
nativa Sicilia. Bonavino si vanta di avere scoperto quest'ugola
d'oro, non solo, ma di averle dato i mezzi per potersi
affermare: è arrivato a vendere il suo campicello per
farla studiare. Ora egli fugge dal paese, deciso a
raggiungerla, e il suo desiderio di evasione è legato
all'immagine di Rosina e del suo benefattore uniti per la
vita. Questo egli racconta ai domestici di Rosina, che lo
lasciano in anticamera, giacché Rosina è impegnata in un
ricevimento. Marta, madre di Rosina, già gli fa capire che
essa non è più l'innocente fanciullina di un tempo, e
quando Rosina gli appare, ingioiellata, scollata,
provocante all'aspetto, lo stupore di Micuccio cede il
posto a una rapida, amara reazione: a Marta dà il mazzetto
di lumìe che aveva portato, simbolo di fedeltà, dalla
Sicilia, mentre a Rosina getta in faccia una manciata di
biglietti coi quali ella aveva pensato di sdebitarsi.
Questa amarissima Traviata pirandelliana ha un'ingenuità
tenuta e il gusto di certe misure, soverchiate poi dal
greve romanticismo della scena finale. E vi è il tema caro
a tutto il dramma pirandelliano, l'infrangersi delle
illusioni contro la realtà, la vita che cambia e annulla
ogni esempio precedente. L'ingenuità si accontenta qui del
quadretto di genere, con risultati più che convenzionali,
nel sapore prettamente meridionale dello stile mimico, nel
profumo puramente retorico di quelle lumìe. In esse è
racchiusa la Sicilia e l'amore di una terra cara, con una
illuminazione nonostante tutto segregata: un patetico
amore che rischiara la polemica sui guasti della civiltà,
sull'avvento delle città e fine sulla dolorosa ingiustizia
che perseguita l'uomo.
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