Letteratura italiana: Luigi Pirandello

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  Autori del Novecento italiano: PIRANDELLO
Critica all'opera
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Uno, nessuno e centomila
 

È il romanzo più tipico di Pirandello, quello dove meglio si manifesta, in un tono oratorio e polemico, il nucleo fondamentale di quel particolare sentimento della vita e della società che sta alla base di tutta la sua grande opera teatrale. Fu pubblicato nel 1927. Vitangelo Moscarda fino a ora vissuto come un tranquillo e ricco signorotto provinciale, acquista improvvisamente la convinzione che l'uomo non è, ma appare, e che quindi l'individuo non è "uno", ma "centomila", vale a dire possiede tante diverse personalità quante gli altri glie ne attribuiscono. Solamente chi compie questa scoperta, in realtà diventa "nessuno", almeno per se stesso, in quanto gli rimane l'unica possibilità di osservare come lui appare agli altri, vale a dire le sue diverse centomila personalità. Su questo ragionamento il tranquillo Gengè decide di sconvolgere la sua vita, di darle un senso e un tono nuovi; come ultimo risultato, dopo una serie di gesti che lo mettono in fama di pazzo, ottiene d'essere abbandonato dalla moglie Dida e di vivere come ricoverato in un ospizio di mendicità fondato da lui stesso, dopo la liquidazione della banca paterna. Qui egli vive alla fine contento, o almeno si guarda vivere, senza essere più nessuno, ed essendo tutti, perché muore in ogni attimo e in ogni attimo rinasce nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in sé, ma in ogni cosa fuori di lui. Da uomo, Gengè è diventato un oggetto naturale, pietra, nuvola, pianta, vento: è questo il senso profondo del romanzo, anche se non è diventato il suo alto motivo lirico, cioè quell'improvviso contatto con il mondo naturale al quale il Pirandello desidera arrivare, dopo la demolizione di tutti gli schemi civili e morali dell'attuale società degli uomini. Non è, infatti, la moralità del teatro pirandelliano, un ripullulare della natura e dell'istinto là dove le leggi e le consuetudini sociali sono fallite? Anzi è proprio questo interesse che, pur in modi e forme così differenti, deve fare riaccostare il Pirandello a tutta una corrente di esigenze e di gusti europea, dal Proust al Lawrence.
Mario Alicata

Il lungo monologo in che consiste questo romanzo (ricco di scenici "signori miei, belli miei, cari miei"), sarebbe forse un mare sofistico non valicabile dal comune lettore, se per entro non vi s'incontrasse qua e là, come un'isola di salvezza cui subito ci s'aggrappa, qualche personaggio che non è il monologante Moscarda e contro il quale, anzi, la logica di Moscarda va a infrangersi. (P. Pancrazi)
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Romanzo pubblicato nel 1925-26, prima a puntate su «La fiera letteraria», poi in volume. È centrato sulle vicende dì Vitangelo Moscarda, che da un banale fatto quotidiano trae occasione per avviare un processo di riflessione che si conclude in modo imprevedibile. La moglie infatti un giorno gli fa notare, mentre egli si guarda allo specchio, che il suo naso pende a destra. Vitangelo non si era mai accorto della cosa e ne trae motivo per riflettere sui contrastanti modi coi quali viene percepita la realtà da ognuno di noi, sull'inesistenza di una realtà univoca, sull'infinita varietà con, la quale ognuno appare agli altri (uno, nessuno e centomila, appunto).

Vitangelo quindi, spinto da queste inquietanti riflessioni, va contro la logica corrente, e compie atti che misurati secondo quella appaiono assurdi e contraddittori (chiude la banca che gestisce) attirandosi l'ostilità della moglie e dei soci che pensano di farlo interdire. Accettando il consiglio del vescovo, devolve i suoi beni in opere di carità, ma questo e altri gesti che lo portano a una vita in solitudine, lontano dal mondo, sono da lui vissuti come ragionata rinunzia alle maschere e ai doveri che la vita associata impone, come rinunzia a un'identità (d'altra parte, impossibile), come aspirazione a una vita senza passato e senza futuro.

 

Luigi De Bellis