Letteratura italiana: Luigi Pirandello

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Parliamo di

  Autori del Novecento italiano: PIRANDELLO
Critica all'opera
  Gerardo Guarneri

 


Sei personaggi in cerca d'autore
 

Commedia rappresentata nel 1921. Essa ci porta all'acme della crisi pirandelliana, e definisce in forme rigorose il modulo della sua tragedia, lo stile della sua drammaturgia; e quello che nelle opere successive poté diventare talvolta variazione e pretesto, qui è poetica in atto e vera storia, anche se appariscente, anche se legata a fatti troppo scabri, con parole talvolta acclamanti: certo fedele. La materia ne è tratta da un racconto raccolto in Novelle per un anno; e se i paradossi pirandelliani sulla personalità, sull'arte, sulla vita vi si ripetono con la nota invadenza appassionata, qui appaiono non già addossati a un appiglio figurativo e novellistico qualsiasi, ma prolungati da una situazione necessaria e immedicabile. L'opera fa parte, insieme con Ciascuno a suo modo e con Questa sera si recita a soggetto, della trilogia del "teatro nel teatro", e tratta particolarmente il tema del contrasto dei Personaggi con gli Attori. Mentre su un palcoscenico spoglio si fanno le prove di una commedia di Pirandello, Il giuoco delle parti, vi appaiono i Sei Personaggi: il Padre cinquantenne, la Madre addolorata, la Figliastra selvaggia, il Figlio e due piccolini. Al Capocomico allibito il Padre spiega che essi provengono dalla fantasia di un autore che li creò vivi, senza però riuscire a chiudere e concludere la loro storia nella sfera dell'arte: lasciati a se soli, cercano un autore che possa o voglia mettere in scena il loro dramma inespresso; e nella speranza che il Capocomico possa soddisfare il loro elementare desiderio di esistere, gli fanno, via via soverchiandosi, il racconto della propria vicenda: ognuno rivivendola a suo modo, e chiamando tutta la luce della parola e della situazione sul proprio caso, pietoso solo di sé. E la vicenda, quale appare riassumibile, dopo i vari e contraddittori interventi, se proprio si vuol comporla in una notazione generica, nello squallore trito del fatto, è questa: la Madre aveva sposato il Padre e gli aveva dato un Figlio: ma, semplice e umile e disadorna, s'era segretamente innamorata, per affinità di carattere, del segretario del Padre: il quale, accortosi della simpatia scambievole dei due, li lasciava liberi di unirsi; e dal segretario la Madre aveva tre figli. Si perdono di vista. Morto l'umbratile amante, la Madre torna in città, per sostentarsi; e la prima dei tre, la Figliastra, ragazza avvenente, cade nelle insidie di una certa Madama Pace, che del suo negozio di mode ha fatto una casa di appuntamenti. Qui capita il Padre: qui, mentre Padre e Figliastra sono insieme, ignari, sopravviene la Madre, inorridita. E inorridito a sua volta, e vergognoso delle sue tarde voglie, e travolto dalle accuse della Figliastra, il Padre decide di accogliere tutta la famiglia in casa, dove il Figlio tratta tutti, acidamente, da intrusi. Una simile situazione non può durare; e mentre la Madre scongiura il Figlio di non essere tanto ostile, i due piccoli, gl'incolpevoli, muoiono: cadendo nella vasca del giardino la Bimba, uccidendosi con un colpo di pistola il Ragazzo. Gli altri rimangono inchiodati alle tavole del palcoscenico, ma la Figliastra fugge con un'amara risata. Questa la commedia "da fare", che il Capocomico si sforza, senza riuscirvi, di mettere in scena: ché la vita non tollera quelle approssimazioni e genericità di linguaggio che sono del teatro; o almeno non lo tollerano i personaggi, che recano ciascuno in sé la pena e il peso del proprio vivere: ché l'arte è una astrazione irrigidita, di fronte alla inconsistente mutevolezza umana; e Pirandello si prende agevolmente gioco della falsità e leggerezza con cui Capocomici e Attori si sforzano di far entrare queste creature di vita, i Personaggi, negli schemi dell'Arte. Primo e più importante capitolo, questo di Pirandello, di una denunzia della tradizione e del linguaggio teatrale che valse a rovesciare la situazione della drammaturgia mondiale e a porre su nuove basi le intese che accadono al teatro. Ma né la denunzia né la scoperta di una nuova formula sarebbero state efficaci senza che il dramma dei Personaggi fosse stato, prima, sofferto, in una sfera etica: ché Pirandello vive e soffre la trasformazione di una società che si credeva salda e felice vivendo sui dati del costume, toltogli ogni giustificazione intimamente morale, ogni sostegno di trascendenza; e se una fondamentale fiducia nella vita animava il naturalismo, egli, pur servendosi del mondo e dei modi prediletti dai naturalisti, sospinge la vita e i personaggi all'orlo di un abisso, li isola a uno a uno, li sommerge nel nulla di una disperazione senza attese: pur lasciando intoccata la sfera delle istanze religiose, che a quella disperazione potrebbero dare una risposta. Perciò un problema di critica teatrale non solo diventa il prologo di tutto il teatro pirandelliano, una specie di "impromptu" che apre la sua stagione più gloriosa, ma la confessione di una angoscia e di uno scacco che, negli anni successivi, trovavano una sistemazione concettuale nelle opere degli esistenzialisti. Ma il valore del dramma non è solo valutabile nella storia del teatro e della cultura; senza la poesia queste invenzioni rimarrebbero dilettantesche e intellettuali: nei Sei personaggi si fa altissima poesia dell'ansia di una intesa umana, sempre promessa dalla natura, che suggerirebbe la facile condiscendenza alla spontaneità degli umori e degli istinti, e sempre delusa; ma irrevocabile, ma necessaria; e il Poeta compie il primo valido sforzo per trarsi in disparte ad abbracciare in una cerchia di compassione unica quelle sorti diverse degli uomini: quasi avviandoli dove egli, impotente alle soluzioni estreme, non può condurli. Ivi termina il teatro della Commedia, dopo cinque secoli; e s'attendo il messaggio di una verità che componga in un nuovo ordine la dissipata parola.

Il più forte tentativo fatto finora in Europa di realizzare scenicamente un processo tutto interiore di stati d'animo, di scomporre e proiettare sulla scena i piani e le fasi varie di un fluente e continuo processo di coscienza. Tentativo già fatto da altri in Italia, ma non mai con la violenza, l'audacia e la vastità d'ambizioni che ci si manifestano in questa commedia. Il dramma che i sei personaggi portano in sé e che non hanno espresso ancora è tipicamente pirandelliano. Gli accenni che ce ne giungono, pur rotti confusi incoordinati come sono e debbono necessariamente essere, essendo ancor vita e non arte, sono quanto di più intenso, potente, veramente tragico si può immaginare. (Tilgher).

I dialoghi tra i sei personaggi e gli attori sono a tal segno privi di oggetto che qua e là, certamente contro l'intenzione dell'autore, prendono toni degni piuttosto di una farsa che di una tragedia. (B. Croce).

Molti di coloro che assistettero alla prima rappresentazione di quest'opera, non riuscirono ad afferrarne subito tutto il senso; però s'avvidero che quei "personaggi", i quali sconvolgevano il teatro contemporaneo, erano mossi da potente fantasia. Era la rivelazione non di un momento caratteristico dell'arte pirandelliana, ma di un'originalità scarnita e insistente che dal romanzo Il fu Mattia Pascal, composto nel 1904, sino al tempo in cui vennero rappresentati i Sei personaggi (1921), l'Agrigentino non aveva mai abbandonata. La sua tecnica s'era fatta più audace di quella del teatro sintetico futurista che aveva dato ai palcoscenici novità clamorose non sempre concludenti. (L. Nicastro).

Ognuna delle sue opere, come ognuna delle sue persone, ugualmente repugna all'isolamento: tutto insieme il teatro di Pirandello è un solo immenso dramma in cento atti. I suoi non sono personaggi nel vecchio senso, appunto perché la loro tragedia sta nella inutilità dello sforzo per diventare personaggi. (M. Bontempelli)
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Dramma in tre atti rappresentato nel 1921 con clamoroso insuccesso al Teatro Valle di Roma e con trionfale accoglienza al Teatro Manzoni di Milano. Una compagnia teatrale sta provando una commedia di Pirandello, ed ecco che le si presentano sei personaggi: il Padre, la Madre, la Figliastra, il Figlio, due bambini. Dicono di essere personaggi che un autore ha confusamente immaginato ma non ha saputo o voluto tradurre definitivamente in un'opera. E loro vogliono vivere, essere rappresentati, e perciò raccontano a frammenti, con continue reciproche interruzioni, la loro misera storia: la Madre, dopo avere avuto il Figlio, si è innamorata del segretario del Padre e va a vivere con lui. Dalla nuova unione nascono tre figli. Dopo molti anni il Padre incontra, inconsapevolmente, la Figliastra in una casa di appuntamenti: il tempestivo intervento della Madre evita il consumarsi di un incesto. Il Padre, sconvolto da quanto è successo, accoglie in casa tutta la famiglia, cioè i figli non suoi e la Madre; ma ne deriva una situazione insostenibile: il Figlio si isola in un mutismo inaccessibile, la bambina giocando cade in una vasca del giardino e il fratello ragazzo, che non ha fatto nulla per salvarla, si uccide con una rivoltellata. Questa aggrovigliata storia affascina il Capocomico, che prova a farla recitare ai suoi attori; ma in quella recitazione i personaggi non si riconoscono: la finzione dell'arte è inadeguata alla dolente realtà.

 

Luigi De Bellis