Parliamo di |
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Autori
del Novecento italiano:
PIRANDELLO |
Critica
all'opera |
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Ugo
Déttore |
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Saggi |
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Con questo titolo è
stata raccolta e pubblicata nel 1939, a cura di Manlio Lo
Vecchio Musti, la produzione saggistica di Pirandello. Vi
sono compresi il saggio su L'umorismo, pubblicato nel 1908
e, aumentato, nel 1920; gli scritti già apparsi nel volume
Arte e scienza (1908), e cioè: "Arte e scienza",
"Soggettivismo e oggettivismo nell'arte narrativa",
"Illustratori, attori e traduttori", "I sonetti di Cecco
Angiolieri", "Per uno studio sul verso di Dante", "Poscritta",
"Un critico fantastico" (sono stati omessi due scritti
d'occasione); inoltre altri saggi su l'Angiolieri (1896),
Dante (1916-1921) e Verga (1920-1931), e il saggio "Teatro
nuovo e teatro vecchio" (1923-1934). L'umorismo
costituisce l'opera critica più importante del Pirandello;
frutto di un corso di lezioni all'Istituto superiore di
Magistero, il lungo saggio passa anzitutto in rassegna le
varie definizioni dell'umorismo date da italiani e
stranieri e i vari errori in cui si è caduti e si cade a
proposito di questo complesso stato d'animo. È,
l'umorismo, diverso dal comico come è diverso dall'ironia;
e nemmeno si può individuare, come pensava il D'Ancona,
nel riso fra le lacrime, nella finzione di mostrar
allegria per celar dolore. Egualmente errata è l'opinione
che esso sia prerogativa nordica e fenomeno moderno: ogni
epoca e ogni paese ha avuto i suoi umoristi.
Essenzialmente l'umorismo consiste nel "senso del
contrario", in una riflessione cosciente, cioè, che
critica le prime impressioni e i primi giudizi per
rivelare, nell'oggetto considerato sotto un aspetto
risibile, la presenza o la possibilità di una realtà
drammatica o patetica. Come tale, l'umorismo è espressione
complessa e scomposta, esso si attua necessariamente in
due tempi, implica una snodatura nei giudici e nei
sentimenti che si negano dopo essersi posti. Di qui il
carattere disunito e divagante di tutti gli scritti
umoristici, dovuto a un continuo alternarsi e spezzettarsi
di moti diretti e riflessi. D'altra parte il fine di
questa riflessione critica non è didattico o
moraleggiante, come nella satira, ma tende a una più
completa visione dell'oggetto: dal senso dei contrari e
della loro fatale compresenza nasce un atteggiamento di
benevolenza che esclude lo sdegno come la beffa e coglie
le vicende e gli uomini nella loro completezza. Spunti
polemici, specialmente contro il Croce che ne aveva
criticato severamente la prima edizione, ravvivano questo
saggio come, in genere, tutti gli altri. E una polemica
contro il Croce è lo studio "Arte e scienza", in cui è
violentemente respinta l'estetica crociana che pone l'arte
al primo gradino delle attività dello spirito come pura
intuizione. Nota il Pirandello che, chiuso in questa
concezione elementare, il Croce non ha compreso
l'essenziale complessità dell'arte, la quale non è solo
conoscenza intuitiva libera da ogni riferimento
intellettuale, ma porta implicito in sé un pensiero
riflesso, ossia scientifico, talora inconsapevole, ma
talora consapevolmente risolto nella sintesi artistica.
Vive qui, in germe, la giustificazione di un'arte
intellettiva quale si affermerà l'arte pirandelliana,
seppure esposta in modo più generoso che robusto. Di
particolare importanza, e in gran parte decisivi, sono i
due studi su Cecco Angiolieri, di cui quello apparso in
Arte e scienza non è che il rifacimento di quello del
1896. In polemica con Alessandro D'Ancona, che intorno al
bizzarro poeta senese aveva creato il mito del "riso per
disperazione" vedendo in questo l'essenza dell'umorismo,
Luigi Pirandello mostra come la poesia dell'Angiolieri sia
di violenta origine popolaresca, animata da una sensualità
grassa ed elementare, in balìa degli istinti, del tutto
priva di quel moto riflesso e autocritico che è proprio di
ogni umorismo. E rivela l'originalità del poeta nell'aver
fatto materia di poesia gli stessi avvenimenti della sua
vita, quale si fosse, con singolare immediatezza, con un
senso della rima e del verso che uniscono all'impeto
popolare il fascino della poesia colta. "Per uno studio
sul verso di Dante" e "Poscritta" sono ancora una
polemica: con Federico Garlanda il quale aveva voluto
mettere in eccessiva evidenza l'elemento allitterativo nel
verso dantesco. Pirandello esclude qui che
l'allitterazione sia stata, in genere, volutamente
ricercata da Dante per riuscire a un "mosaico" di suoni o
sinfonia: effetti questi che sono impliciti nell'intimo
senso ritmico del verso. In "Giovanni Verga", discorso
tenuto alla Reale Accademia d'Italia, considera nel Verga
il superatore del regionalismo naturalistico e colui che,
con più immediato intuito, sentì il motivo della fatalità.
In "Teatro nuovo e teatro vecchio" si fa consistere la
perplessità con cui sono accolti i nuovi tentativi
teatrali nel carattere stesso del teatro, che tende per
sua natura a irrigidirsi nei suoi motivi così che ogni
innovazione viene a spezzare esplicitamente una tradizione
e un'abitudine. Domina in tutti questi saggi la concezione
di un'arte che è insieme dell'intuito e dell'intelletto e
che, come tale, impegna la totalità dello spirito, la
personalità intera dell'uomo: appare qui un Pirandello che
sembra in ansiosa chiarificazione di se stesso e che
riflette sui vari argomenti i problemi più vivi dell'arte
propria.
Tutto il saggio sull'umorismo è un preludio ricco di
momenti logici e di una sensibilità acutissima che
nell'oceano del pensiero pare attirata da fosforescenze
nelle quali avverti (o sarà anch'essa un'illusione) ora la
verità di Eraclito ora quella di Parmenide. (F.
Flora)
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