Nel
secondo decennio del Novecento Umberto Saba con le
raccolte che ha via via pubblicato ha già una sua
definita fisionomia poetica. Si tratta peraltro di
una fisionomia particolare, che risulta "anomala" o
"periferica" rispetto al panorama che in quel tempo
offriva la lirica italiana: Saba infatti aveva
realizzato una poesia fondata sul rispetto delle
forme metriche tradizionali e sull'adozione di un
linguaggio di pregnante chiarezza (ricorrendo sia al
lessico della tradizione letteraria ottocentesca sia
a quello della normale comunicazione), sulla volontà
di dare voce ai "valori di tutti", a ciò che
"ciascuno intende", e di cantare nell'infinita
varietà dei suoi aspetti il quotidiano. Obiettivi e
soluzioni formali del genere erano in contrasto
anzitutto con l'egemonia di D'Annunzio, che aveva
disarticolato le forme liriche tradizionali, si era
creato un linguaggio di preziosistica letterarietà,
e opponeva ai "valori di tutti" l'individualismo
estetizzante; ma lo erano anche in modo vistoso con
le sperimentazioni e con le avventurose inquietudini
dei futuristi e, in modo meno appariscente ma non
per questo meno vero, con i poeti crepuscolari che
al quotidiano si accostavano sì ma con ironia,
incapaci di quella calda adesione che è invece la
cifra di Saba.
Ma anche in seguito - quando attorno agli anni
Trenta il panorama della lirica sarà dominato dalla
scuola ermetica con la sua ricerca della parola
allusiva ed evocativa, con la sua ansia metafisica,
col suo angoscioso solipsismo - Saba continuerà ad
apparire (continuando egli a produrre per circa
mezzo secolo) una voce dissonante, un caso
particolare.
Per dare un'idea meno generica di questa
particolarità, consistente soprattutto nelle
tecniche poetiche da lui adottate, qui basterà dire
che Saba anzitutto adotta un lessico che si
distingue per la sua pregnanza semantica, cioè per
la sua concretezza, per la sua capacità di oggettiva
definizione della realtà, e inoltre si impegna in
componimenti che abbiano una chiara articolazione,
un "prima" e un "poi", optando sempre per la
chiarezza piuttosto che per l'ermetica allusività.
Siamo così di fronte a quella che è stata definita
una «poesia discorso» (Beccaria), destinata spesso
ad approdare a una certa prosaicità, a certe ovvietà
che Saba però affronta spavaldamente e
consapevolmente (ha dichiarato ad esempio:
"M'incanta la rima fiore/ amore / la più antica
difficile del mondo").
Sul piano poi delle tematiche si potrebbero
indicare, sia pure con un certo schematismo, certi
argomenti di fondo variamente ricorrenti: la
celebrazione della quotidianità in tutti i suoi
aspetti, fatta con tale disponibilità che non c'è
dato della
vita giornaliera (triestina) nella sua realtà anche
più dimessa - sia nell'infinita varietà delle cose,
sia nella gamma degli affetti - che non trovi posto
nella poesia di Saba; il tema amoroso, che anzitutto
si estrinseca e si realizza nella rappresentazione
del rapporto con Lina, la moglie, ma dà luogo anche
a figure di giovani donne vagheggiate con toni di
un'intensa - e naturale, candida - carica erotica;
l'accettazione della vita col suo perenne oscillare
di illusione e scacco, di sogni e deludenti
esperienze: un motivo, questo, che nella produzione
matura e ultima di Saba raggiunge esiti di assoluto
valore.
Il Canzoniere si presenta quindi come la
rappresentazione "totale" di un uomo, della sua
vicenda esteriore e interiore e, per giunta, di un
uomo che sin dall'inizio della sua attività poetica
aveva teorizzato la necessità di una poesia che
fosse scrupolosa ricerca del vero, esercizio di
scandaglio interiore; e per motivi connessi alla sua
biografia e per la conoscenza delle teorie
psicanalitiche Saba fu particolarmente attento a
questo esercizio di analisi, alla ricognizione
perenne del proprio passato e al conseguente
giudizio. Anche la sua produzione in prosa - dai
Raccontini alle Scorciatoie all'incompleto romanzo
postumo Ernesto - nasce da questa esigenza. |