L'opera consta di otto
capitoli di diversa misura: il primo è una prefazione dello
psicanalista S. che dichiara i motivi. per cui pubblica le
memorie di Zeno Cosini, un suo paziente; il secondo è un
breve preambolo di Zeno alle proprie memorie; i capitoli dal
terzo al settimo sono le sue memorie vere e proprie, che si
fingono scritte tra il 1913 e il 1914, prima della terapia;
il capitolo ottavo è un diario tenuto da Zeno dopo la
terapia (datato maggio 1915-marzo 1916), in cui sono esposte
fra l'altro le ragioni della sua interruzione.
La struttura esterna del romanzo (desumibile soprattutto dai
capp. 1, 2, 8) ci permette di cogliere immediatamente la
"cornice", che è la vicenda di un contrastato rapporto di
terapia psicanalitica, avente per protagonisti Zeno e il
dottor S.: Zeno Cosini si sente malato e va dallo
psicanalista che gli suggerisce, prima di iniziare
l'analisi, di scrivere le proprie memorie a scopo
terapeutico. Dopo averle scritte e aver sperimentato per sei
mesi la terapia, Zeno ritiene opportuno interromperla, prima
perché si sente malato più di prima, poi perché si crede
"guarito", ma non per merito della terapia ma bensì per
merito della guerra e di certi affari fortunati che gli
danno quella sensazione di forza, decisione e vitalità, la
cui mancanza costituiva uno degli aspetti della malattia;
ovvero perché ha maturato la convinzione che la malattia di
cui ha sofferto (e soffre) sia connaturata alla condizione
umana stessa. Lo psicanalista, cui egli consegna anche il
diario, pubblica tutto per vendicarsi del fatto che Zeno ha
interrotto la cura. In questo modo la psicanalisi fa il suo
ingresso ufficiale come tema della narrativa italiana,
Possiamo su questa base definire anche le principali
funzioni e strutture narrative del acconto. S. è l'editore e
il destinatario delle memorie e del diario di Zeno Cosini;
questi assume per tutto il testo (dal cap. 2) la funzione di
narratore interno; e, parlando di sé medesimo, si sdoppia in
io narrante (lo Zeno vecchio che scrive) e in io narrato,
(lo Zeno nelle diverse fasi della sua vita protagonista
della narrazione autobiografica). Possiamo distinguere
agevolmente un tempo della scrittura o del racconto (i due
punti di narrazione sopra rilevati: 1913-14 e 1915-16) e un
tempo dell'avventura o della storia (il periodo 1857-1916).
Dell'esemplarità e della funzionalità ideologica e
storico-letteraria di questa struttura a rappresentare la
dissoluzione del personaggio unitario ottocentesco e quella
della nozione di tempo lineare si è detto in Profilo, 10.3.
Le memorie (che coprono gli anni
1870-1914) e il diario (che copre gli anni 1857-1916) di
Zeno procedono per temi e non per rigida successione
cronologica. Anche questo fatto complica la struttura
temporale del testo: talora nel corso di una medesima
pagina, seguendo il filo tematico o associazioni mentali,
l'io narrante rievoca periodi e stati di coscienza di epoche
molto diverse fra loro. I grandi blocchi tematici,
analizzati capitolo per capitolo, sono i seguenti. Il
capitolo 3 tratta del tema del fumo: Zeno narra come abbia
contratto il vizio e come abbia cercato di liberarsene,
anche una cura di disintossicazione, ma soprattutto come
questo vizio sia diventato per lui un alibi per crogiolarsi
nella propria condizione di malattia. Il capitolo 4 narra la
morte del padre di Zeno dopo un conflitto col dottor
Coprosich che cerca a tutti i costi di tenere in vita il
padre moribondo, augura al padre di morire in fretta senza
riprendere coscienza; questi prima di morire in un sussulto
forse inconsapevole schiaffeggia Zeno, che ne prova vergogna
e rimorso. Il capitolo 5 narra la storia del suo matrimonio:
Zeno frequenta la casa di Giovanni Malferiti, che
inconsciamente elegge a proprio secondo padre, e conosce le
sue quattro figlie, di cui ammira la bella Ada; quando
scopre che sposandone una diverrebbe quasi un figlio del
Malfenti (e ne deriverete la sicurezza che cerca) decide di
innamorarsi di Ada e le fa la corte; ha una grave crisi,
quando la madre gli chiede di diradare le proprie visite, e
comincia a zoppicare; conosce anche Guido Speier, il
fidanzato di Ada, che gli appare un uomo dotato di perfetta
salute e sicuro di sé (quindi la propria antitesi); dopo
varie vicende una sera chiede la mano di Ada, ma ne viene
respinto; quindi in rapida successione chiede la mano di
Alberta con egual risultato, e quella di Augusta, cui
confessa le precedenti richieste: questa accetta. Il
capitolo-6 narra la vicenda di vari anni di matrimonio in
particolare il rapporto con Augusta, che rappresenta per lui
la salute personificata e che anche perciò scopre di amare:
e quello con Carla, prima oggetto di beneficenza, poi sua
amante; a lei si lega di un rapporto come sempre
contraddittorio, oscillando tra il gusto per il peccato, il
senso di colpa e il proposito di redenzione, che - come per
il proposito di smettere di fumare - vive con soddisfazione
come un'imminente riconquista di salute. Quando però Carla
decide di lasciarlo, fa di tutto per impedirglielo, finché è
costretto a rassegnarsi. Il capitolo 7 narra la storia di
un'associazione commerciale con Guido, che nel frattempo è
divenuto marito di Ada: l'impresa è fallimentare perché in
sostanza il "perfetto" Guido negli affari è un inetto che
gioca avventatamente in borsa, fino a perdere tutto, tanto
da dover inscenare un primo finto suicidio per ottenere
soldi dalla famiglia della moglie, e poi un secondo che
casualmente ha un esito tragico. Zeno in tutti i modi cerca
di tenere Guido sotto controllo e di soccorrerlo
(mostrandosi più avveduto di lui) e dopo la morte di questi
in poche ore, giocando anch'egli in borsa, riguadagna quasi
tutta la somma persa dal cognato. Paradossalmente (ma non
troppo), dopo il suicidio, Guido viene nuovamente osannato
da tutti e Ada, interpreta la vincita di Zeno come un atto
di ostilità verso la memoria del marito (come un tentativo
cioè di dimostrare a lei la propria superiorità rispetto a
Guido, nell'ottica. dell'antica rivalità).
Tutta la vicenda di Zeno è imperniata sul motivo della
malattia e della sua fenomenologia (come quella della
"cornice" lo è sulla terapia psicanalitica). Zeno è incerto,
insicuro, si sente inetto a vivere (il grande motivo
novecentesco dei disagio nei confronti del reale) e
inferiore alle persone che incontra per lo più ritiene
"sane", forti, atte alla vita. Esemplare il fatto che egli
si imponga o cerchi di imporsi talora comportamenti e
addirittura sentimenti non spontanei, che obbediscono a una
logica tortuosa (come la decisione di sposarsi) . Ma un
aspetto fondamentale di questa sua "malattia" è il desiderio
profondo di non guarirne, anzi di crogiolarsi in essa,
limitandosi a fantasticare un futuro di salute che dovrebbe
cominciare dopo momenti significativi (le varie ultime
sigarette, la cura di disintossicazione, il matrimonio con
Ada, ecc.) o in virtù di influssi esterni (la cessazione del
vizio del fumo, la cessazione dell'adulterio, il matrimonio,
l'influsso del Malfenti, di Ada, di Augusta, ecc.).
L'analisi di questa condizione di malattia psicologica
compiuta da Svevo attraverso il complesso gioco di
rifrazioni dovuto alla struttura narrativa (adozione del
punto di vista di uno Zeno personaggio poliedrico e
contraddittorio che ripercorre soggettivamente la vicenda
propria, o meglio dei tanti diversi "io" che egli è stato)
si incentra, come nei precedenti
romanzi e in particolare in Senilità, sugli autoinganni
della coscienza in tutte le loro molteplici
sfumature. In questo caso si aggiungono motivi particolari
come il rapporto tra malattia psicologica e sue
somatizzazioni (lo zoppicare come manifestazione di un
disagio) e tra malattia psicologica e malattia fisica non
psicosomatica (ai suoi occhi assai più tollerabile).
Da questo nucleo tematico dipendono (sempre per l'adozione
di un punto di vista rigorosamente soggettivo) tutte le
relazioni che Zeno instaura con gli altri personaggi: dal
padre al signor Malfenti (due "figure paterne'', reale e in
certo modo negativa l'una, perché causa presunta della
propria malattia, idealizzata l'altra, perché possibile
strumento di guarigione), da Ada ad Augusta (rappresentanti
di una salute cui egli aspira e che sposandole vorrebbe
carpire loro), dall'amante (la cui esistenza gli consente di
provare il gusto della redenzione e della salute ogni volta
che fa ritorno a casa; il cui abbandono, finché resta un
vagheggiamento, gli dà la sensazione di una forza futura, ma
a portata di mano) a Guido (rivale-sano, quindi amato e
odiato al tempo stesso) ecc.
Particolarmente importante è l'esito conclusivo, con la
scoperta della relatività del concetto stesso di malattia e
di salute, l'accettazione della propria malattia come
prodotto di una situazione storica o addirittura dato
proprio della natura umana in sé (ne trae quella sicurezza
che prima gli mancava) e la relativa demistificazione
dell'altrui salute (una «salute che non analizza se stessa e
neppure si guarda allo specchio») che gli appare come un
grado inferiore di coscienza di sé.
Prefazione e Preambolo
La senilità, come condizione
metaforica, di Emilio Brentani diventa in Zeno Cosini,
l'ultimo e maggior "inetto" sveviano protagonista della
Coscienza di Zeno, una condizione reale, se pur accompagnata
dalla medesima "malattia "morale che affligge i precedenti
personaggi.
Zeno è ormai vecchio e decide di mettersi in cura da uno
psicoanalista (segno già questo delle decisive componenti
culturali che ora intervengono a precisare le intuizioni
psicologiche di Svevo), che gli chiede di stendere le
proprie memorie, oggetto dell'opera che si finge pubblicata
dallo psicanalista stesso «per vendetta» quando Zeno
interrompe la cura...
La Prefazione non riveste affatto, come alcuni hanno
affermato, «un valore soltanto formale, di giuoco
letterario», ma si costituisce invece parte integrante di un
sistema che vuol essere, per sua natura, per scelta
dell'autore, intensamente problematico. Individuati infatti,
nello spazio breve di una pagina, alcuni tra i motivi più
importanti del romanzo, quello della malattia, della
scrittura a scopo insieme conoscitivo e terapeutico, della
resistenza che Zeno oppone alla cura (e del suo
«antagonismo» quindi con il dottor S.), il racconto fa capo
a una voce narrante che appare per molti aspetti
inattendibile, che instaura da subito quel clima di dubbi,
di incertezze, di interrogativi sempre aperti che presiederà
poi all'autobiografia di Zeno. E il lettore virtuale,
esterno al testo, esplicitamente evocato dal dottor S., non
solo viene delegato a sciogliere di suo l'enigma di Zeno ma
anche ha la sensazione, fin dall'inizio, di assistere a una
schermaglia fra i due personaggi, di cui è chiaramente
chiamato a far da arbitro, senza che l'autore l'orienti,
preliminarmente, a favore dell'uno o dell'altro. Tanto più
che appena dopo, nel Preambolo, sarà Zeno stesso a
contrattare con lui le modalità di fruizione del testo, in
uno sdoppiamento della frase proemiale che non ha precedenti
facilmente .riscontrabili e che denuncia, già in sé,
l'intenzionale anomalia del racconto, la sua profonda
ambivalenza, la sua disponibilità a molteplici e diverse
chiavi di lettura.
A carattere insieme esposítivo (in quanto illustra le
finalità e i criteri del narratore) e narrativo (in quanto
racconta le prime giornate di autoanalisi), il Preambolo
offre una risposta immediata, puntuale, alle aspettative
suscitate dalla Prefazione. Il dottor S. aveva alluso a un
suo rapporto difficile, controverso, con il paziente: e Zeno
conferma, pur senza parere, di avergli sempre disobbedito,
di aver nutrito nei suoi confronti, fin dall'inizio, una
sorta di sottile oscura diffidenza. Consigliato di
attenersi, per cominciare, ai ricordi più recenti, punta
subito di propria iniziativa alla meta più ambiziosa (vedere
l'infanzia); insoddisfatto delle cognizioni che il medico
gli ha trasmesso, compera e legge un trattato di
psicoanalisi, non già per facilitargli il compito, è lecito
supporre, ma per mettersi in grado, piuttosto, di gestire da
sé 1a propria cura. Il dottor S. aveva detto che il malato
si era mostrato tasto curioso di se stesso, e che
stranamente però si era sottratto, all'improvviso, alla
terapia: e Zeno spiega, a proposito dei suoi primi tentativi
di autoanalisi, come sia mosso da un sincero desiderio di
vedere, di ricordare, e come tuttavia, vedendo e ricordando,
non possa fare a meno di giudicare inattendibili
involontariamente bugiarde, le immagini evocate. Ancora
oltre, dalla «visione» di un bambino in fasce, in cui stenta
a rìconoscere se stesso e identifica invece il nipotino
appena nato, trae spunto per una lunga riflessione sul
rapporto che intercorre fra salute e malattia, addebitando
quest'ultima non tanto a un fatto clinico, privato, quanto a
una condizione esistenziale, collettiva, intrinseca alla
vita stessa per come gli uomini, nei secoli, l'hanno
foggiata. E non è un caso che l'esclamazione Altro che
ricordare la mia infanzia! si leghi molto da vicino a quella
che chiude, quasi, l'ottavo e ultimo capitolo del romanzo,
Altro che psicoanalisi ci vorrebbe!
Il fumo
La coscienza di Zeno procede per
nuclei tematici: Zeno vecchio nella sua autoanalisi ricorda
motivi ed episodi della propria vita, liberamente scavando
nella propria memoria. Il capitolo terzo, immediatamente
successivo al Preambolo e alla Prefazione, è dedicato al
fumo, il vizio da cui egli per tutta la vita ha cercato
vanamente di liberarsi. Quello del fumo assume il valore di
motivo esemplare, pienamente rivelatore della "malattia" del
protagonista.
Tempo e personaggio.
Una delle caratteristiche strutturali salienti della
Coscienza di Zeno è la molteplicità dei piani temporali che
si intersecano di continuo nello svolgersi del racconto e
che, essendo soprattutto riferiti a differenti stati dì
coscienza del protagonista, danno luogo a una continua
dialettica tra i diversi - non sempre coerenti - uomini che
Zeno è stato ed è nella sua vita, una dialettica insomma tra
i tanti Zeno che il romanzo ci offre. Questo espediente
strutturale consente di operare con efficacia per così dire
didascalica quella dissoluzione del personaggio unitario
(ottocentesco) e quella problematizzazione e
interiorizzazione del tempo che sono tra le caratteristiche
salienti della narrativa novecentesca. In questo come in
altri passi ne sono una spia, oltre all'esplicita
dichiarazione conclusiva, i riferimenti al presente della
scrittura, che si stagliano sul passato o sui diversi
passati rievocati dalla memoria («Allora io non sapevo se
amavo o odiavo la sigaretta .... lo seppi a vent'anni...
Adesso che son qui, ad analizzarmi...»). È poi da notare che
i riferimenti al presente sono spesso veicoli di riflessioni
problematiche e che, come si è anticipato, lo stesso Zeno
vecchio che scrive e commenta non è un personaggio
monolitico, ma dinamico e mutevole, perché l'atto stesso
della scrittura si immagina avvenuto in successivi momenti
(lo Zeno vecchio dei primi capitoli accetta la terapia
psicanalitica, quello dell'ultimo la rifiuterà avendo
maturato alcune convinzioni relative alla "malattia".
Malattia e ironia.
Se attraverso questi procedimenti strutturali Svevo nella
Coscienza di Zeno opera la dissoluzione del personaggio
unitario ottocentesco, lo fa anche riprendendo e sviluppando
la tematica dell'inettitudine che aveva affrontato nei
romanzi precedenti. Qui Zeno, che oltre tutto sa qualcosa di
psicanalisi, interpreta la propria inettitudine come sintomo
di una malattia psicologica che andando dal dottor S.
intende curare. E tutto il romanzo è una sottile e scaltrita
autoanalisi di quei processi psicologici nei quali la
malattia consiste. Quello del fumo - così egli crede - è un
vizio che lo intossica e lo rende incapace di agire come un
uomo sano e normale agisce e di avere successo (negli studi,
ad esempio); per questo bisogna liberarsene e guarire; una
volta liberatosi dal fumo Zeno potrà essere sano e felice
come (crede) gli altri. Ma ecco che dal proposito di
smettere di fumare e dal miraggio della salute nasce il
secondo disturbo: lo sforzo di liberarsi dal fumo. O meglio:
l'intricato e umoristico rituale dell'ultima sigaretta, che
costituisce un evidente alibi per continuare a fumare, per
rifiutare le responsabilità che il personaggio intravede
nella condizione di salute e per adagiarsi nella propria
malattia (com'è bello fumare una sigaretta dicendosi che è
l'ultima e gustando così oltre al tabacco anche «il
sentimento della vittoria su se stesso e la speranza di un
prossimo futuro dì forza e di salute»!). Va infine osservato
che l'episodio è immediatamente emblematico anche della
diversa atmosfera che si respira nel romanzo. L'umorismo che
percorre queste pagine, come del resto tutto il romanzo,
distanziandolo dai precedenti in cui l'inettitudine dei
protagonisti sortiva esiti tragici, è probabilmente in Svevo
il frutto di una consapevolezza circa la condizione umana
analoga a quella cui giungerà il suo protagonista nelle
ultime pagine del romanzo (la vita stessa è malattia, la
distinzione tra sani e malati è puramente illusoria).
La salute di Augusta
Attorno a Zeno, inetto e malato,
ruotano svariati personaggi che ai suoi occhi incarnano il
modello della perfetta salute: da Guido, il rivale in amore
che fa ogni cosa con facilità e disinvoltura, ad Augusta, la
donna che egli sposa per ripiego, dopo aver ottenuto, nel
corso della medesima serata, al duplice rifiuto di Ada e
Alberta (le più avvenenti sorelle di Augusta). Il ritratto
di Augusta che riportiamo può al tempo stesso essere letto
come un ritratto della salute (agli occhi di Zeno) e una
demistificazione della salute (agli occhi di Svevo).
L'ironia ha una funzione essenziale nel romanzo, perché
sopporta, per così dire, tutto il peso del piano del
giudizio. Essa è lo strumento retorico del quale lo
scrittore si serve per afferrare in un giudizio complessivo
di condanna il protagonista e il mondo nel quale è
invischiato. La scelta del piano unico di narrazione si
rivela così, non solo una felicissima invenzione stilistica,
ma una necessità strutturale. Grazie ad essa
l'ironia-giudizio non si accampa fuori e al di sopra del
romanzo, irrisolta come tutti i propositi parenetici, ma è
calata e fusa con la narrazione, sicuro possesso della
coscienza imparziale, che attraverso di essa misura e colma
nello stesso istante il dislivello tra il mondo scombinato e
dilettantesco nel quale Zeno ha vissuto stupefatto, ma forse
ancora capace di reazioni morali, e la "saggezza" dello Zeno
che racconta, la quale ha indubbiamente eliminato la
stupefazione, per sostituire ad essa il più limpido e
disincantato cinismo.
Del resto Svevo ebbe perfetta coscienza dei risultati
conseguibili attraverso il suo linguaggio ironico. In un
passo della Coscienza il protagonista parla dei suoi
rapporti con la moglie e cerca di mettere ordine nelle
proprie idee circa la sua vita coniugale. Ne viene fuori un
ritratto di Augusta che è di estremo interesse per
l'intelligenza complessiva del romanzo, in particolare del
nesso salute-malattia sul quale esso è tutto fondato.
Zeno comincia con lo scoprire che Augusta era la «salute
personificata». Durante il fidanzamento non ci aveva fatto
caso, perché in quel periodo era tutto intento a studiare se
stesso. Ma dopo il matrimonio si accorge con stupore della
grande sicurezza della moglie.
A tutta prima questo ritratto sorprende non poco. Sembra che
esso risulti da un cumulo di confuse impressioni sul modo di
vedere le cose proprio di Augusta che Zeno ha registrato in
passato e che ora tornano alla memoria alla rinfusa,
giustapponendosi l'una all'altra senza un ordine preciso
(una discussione sulla brevità della vita, ciò che lei pensa
della morte, l'importanza che attribuisce all'anello di
matrimonio, l'etichetta della buona borghesia e i riti
religiosi, l'autorità politica e quella scientifica, ecc.),
tenute assieme soltanto dal confronto con se stesso che Zeno
insinua punto per punto.
In realtà, ad una più attenta lettura ci si accorge che le
cose non stanno proprio così, e che lo scrittore ha seguito
nello stendere questo ritratto interiore di Augusta, un
piano ben preciso, per raggiungere scopi precisi. Lo schema
del discorso è press'a poco questo:
1) Augusta possiede una fede sorprendente in un determinato
sistema di certezze etico-giuridiche (quelle che regolano la
società borghese), che ella accetta senza discutere perché
per lei si identificano con la vita stessa (non saprebbe
concepire la vita senza la protezione di quel sistema di
certezze);
2) la vita, per lei che è sana, è eterna, perché la salute
ignora il senso del passato e del futuro e vive segregata
nel presente (ignora cioè il divenire delle cose, e quindi
il loro assiduo disfarsi e perire);
3) il presente d'altra parte è reso più sicuro dagli
ordinamenti stabiliti: l'amore garantito dalla legge,
l'etichetta, il rituale della vita quotidiana con le sue ore
fisse, «sempre al loro posto», e la religione, che infonde
serenità;
4) a garanzia ulteriore del tutto c'è l'autorità costituita,
che provvede alla nostra sicurezza, e l'autorità medica,
provvista di regolare diploma, che veglia sulla nostra
salute. Infine si fa riferimento alla fede di Augusta nella
salvezza eterna.
Questo schema rende di per sé visibile l'abilità con la
quale lo scrittore ha perseguito e raggiunto il suo scopo,
calandolo e dissolvendolo dentro le strutture narrative che
si è costruito. Non c'è dubbio che qui egli si mantenga
fedele alla tecnica del monologo interiore: il processo
associativo del pensiero procede proprio così, attraverso
un'espansione capillare che porta alla luce sempre nuovi
elementi, i quali, in quanto scoperte della coscienza,
giacciono tutti sullo stesso piano ed hanno tutti allo
stesso titolo il carattere di successive illuminazioni
interiori. Tuttavia ci si accorge subito che lo scopo dello
scrittore non è affatto la resa "naturalistica" di un
processo mentale passivo: in realtà ciò che gli sta a cuore
è rendere evidente la banalità e l'insulsaggine di un modo
di pensare e di un intero sistema etico-giuridico, ed egli
lo raggiunge proprio col mettere sullo stesso piano
religione e galateo borghese, abiti da pomeriggio e da sera
e autorità pubbliche, e considerando il tutto da un unico
punto di vista: stupefazione di Zeno. Il lettore è così
aggredito da un procedimento che spaccia come ovvi degli
accostamenti che per la gente comune non lo sono affatto, e
viceversa dallo stupore per cose da tutti considerate ovvie.
Per esempio, si fa riferimento al rossore di Augusta; Zeno
ne ha già parlato poche pagine prima («La mia sposa [qui
fidanzata] era molto meno brutta di quanto avessi creduto, e
la sua più grande bellezza la scopersi baciandola: il suo
rossore" Là dove baciavo sorgeva una fiamma in mio onore ed
io la baciavo più con la curiosità dello sperimentatore che
col fervore dell'amante»), ed ora, dopo il matrimonio,
rileva stupito che esso è scomparso «con la semplicità con
cui i colori dell'aurora spariscono alla luce diretta del
sole». Per Augusta dunque talune espansioni amorose di Zeno
sono da giudicarsi illecite prima e lecite solo dopo il
matrimonio: ciò è del tutto ovvio per lei, ma è stupefacente
per Zeno. Non si potrebbe dissimulare con maggiore
raffinatezza un giudizio sulla futilità di un intero sistema
di certezze. Con mezzi apparentemente assai semplici, il
solo accostare cose che non siamo abituati a vedere
accostate e giudicate dallo stesso punto di vista, qualche
tenue inversione («Esistevano, quelle ore...»), qualche
frase esclamativa che vuole simulare sorpresa, ecc., lo
scrittore insinua come in figrana un ritratto della vita
borghese nella quale Augusta vive immersa e perfettamente
tranquilla, rispettosa dell'autorità costituita, austriaca
od italiana, fiduciosa nella legge, confortata dalla
religione e da tutte le altre cose buone e belle che sono
quaggiù, nel regno della banalità borghese. Zeno, invece ha,
diciamo così, il sospetto (è la sua malattia) che «quell'ordine
non sia così saldo come finge di essere», basta pensare ad
Augusta: la sua è una sicurezza fondata sull'insicurezza
l'ha sempre avuto questo sospetto ma mai come adesso, che
può confrontarlo con la salute di Augusta. Ora capisce
finalmente che la «perfetta salute umana» consiste «nel
segregarsi nel presente e starci caldi», vale a dire nel
sottrarsi al flusso della coscienza, al suo angoscioso
sentimento del tempo che scorre inesorabile, che erode i
monumenti degli uomini al pari dei loro istituti e che ci
priva via via di ogni punto di riferimento, di ogni
appiglio, di ogni certezza. Augusta così, con crudele pietà,
è ricacciata in quella grammatica dei tempi puri che Svevo
definì una volta adatta agli animali e non agli uomini. Il
suo tempo è il tempo oggettivo della sicurezza borghese e
Zeno, finché visse accanto a lei, si guardò bene dal
deridere questa sua fede nel presente, ed ora sa che la
tentazione che talvolta ne ebbe «non poteva essere altro che
la sua malattia». Egli doveva guardarsi dal comunicare la
sua disperazione per l'instabilità delle cose a chi fondava
gran parte della sua sicurezza su di lui. Agli occhi di
Augusta egli era il patriarca, è detto poche righe più
sotto, uno dei pilastri del sistema di certezze da lei
posseduto con tanta cieca fede.
Zeno in realtà ha già giudicato quella salute semplicemente
col portarla a livello espressivo, e lo sa perfettamente
(«analizzandola la converto in malattia»). Ora che è
vecchio, comincia a dubitare se non sarebbe stato il caso di
guarire Augusta da quella salute, ma per tanti anni, fino a
quando la psicanalisi non lo indusse a ridiscutere il
passato, mai ebbe tale dubbio. La scaltrezza dello scrittore
ha veramente raggiunto uno dei suoi vertici. Con un solo
ironico, paradossale accoppiamento (guarire dalla salute!)
egli riesce a stringere contemporaneamente il fatto e il suo
giudizio ed a comunicarci il senso di una realtà che è
perfettamente ambivalente.
E in effetti il romanzo svolge il nesso salute-malattia
verso la perfetta ambivalenza dei due termini.
La vita è
inquinata alle radici
A parte ogni considerazione sullo spirito profetico di
questa pagina conclusiva del romanzo, pure impressionante
per molti versi, ora importa notare le conclusioni cui
perviene il narratore. Nella pagina che immediatamente
precede questa, Zeno afferma di essere guarito e che a
guarirlo è stato il commercio, e cioè la decisione di
comperare, proprio durante la guerra, qualunque cosa fosse
in vendita. II successo commerciale gli ha dato la fiducia e
la convinzione della salute che prima gli mancava («Nel
momento in cui incassai quei denari mi si allargò il petto
al sentimento della mia forza e della mia salute»). Ma per
l'appunto si tratta di una mera convinzione (soggettiva e
illusoria, come soggettiva e illusoria era la convinzione
della salute di Augusta), e Zeno ormai ne è conscio: «Da
lungo tempo io sapevo che la mia salute non poteva essere
altro che la mia convinzione e ch'era una sciocchezza degna
di un sognatore ipnagogico [che nel sogno si rende conto di
sognare] di volerla curare anziché persuadere». Perché - e
veniamo alla pagina riprodotta - è la vita stessa ad essere
"malattia", nell'accezione che al termine Zeno ha sempre
dato. Solo gli animali, privi di coscienza, e capaci di
adeguarsi ai bisogni del presente possono godere di una
salute integrale. L'uomo ne ha forse goduto nel suo stato
primitivo, ma il progresso - e con esso la coscienza, la
tecnica, la cultura, la civiltà - lo ha sempre più
allontanato da questa condizione. Ogni ipotesi di recupero
di una salute integrale (e cioè di sconfitta della nevrosi)
deve pertanto passare attraverso l'annullamento dell'uomo e
attraverso la distruzione della civiltà e della terra
medesima.