Le opere di Ugo Betti

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Parliamo di

  Ugo Betti
Analisi opere
 1 L'aiuola bruciata 
2 Canzonette - La morte
3 Le case
4 Corruzione al palazzo di giustizia
5 Delitto all'isola delle capre
6 Il diluvio
7 Frana allo scalo nord
8 Il re pensieroso
9 La regina e gli insorti

 


Corruzione al palazzo di giustizia
 

Dramma in tre atti scritto nel 1944 e rappresentato per la prima volta a Roma nel 1949. È considerato generalmente uno dei più riusciti lavori di Betti ed è certo quello che ebbe i più vasti consensi di critica e di pubblico. Nella stanza severa di un solenne palazzo di giustizia, il consigliere Erzi sta conducendo una terribile inchiesta. Il cadavere di Ludvi-Pol, un losco e potente avventuriero, trovato tra le mura del palazzo stesso; l'incendio d'una casa e la conseguente morte d'una donna allorché venne ordinata una perquisizione per il sequestro di documenti compromettenti; e soprattutto il putridume e la corruzione dilaganti che sembrano inquinare la città intera: tutto spinge a cercare "la pustola rosea" che è all'origine del marcio. Il sospetto si addensa sulla sezione Grandi Cause, "un piccolo, solitario e malfermo scoglio, come dice uno dei giudici, sul quale piombano da tutte le parti ondate immense, spaventose; e cioè interessi implacabili, ricchezze sterminate, blocchi ferrei manovrati da uomini tremendi". Di fronte alla pesantissima accusa si ingaggia da parte degli indiziati una lotta subdola, insinuante, sottile. E una atmosfera angosciata e allucinante si crea intorno all'inquisitore (non rara nel teatro bettiano e che ha fatto pensare già a suggestioni e a richiami kafkiani). I sospetti vengono prima fatti cadere sul presidente Vanan che, stanco e debole, è sul punto di dichiararsi colpevole; ma il giuoco diabolico di audacia e di sottigliezze rivela altri tipi: fra gli altri, Croz, vecchio e malato che aspira a diventare presidente; Cust, suo contendente che, servendosi d'una lucidissima arma dialettica e di un ipocrita rigorismo morale, aggroviglia e dipana i sospetti. Sarà lui, infatti, a svelare a Elena la giovane figlia del presidente Vanan, fragilità e vizi del padre. Sconvolta, Elena, che ha sempre creduto nella dirittura paterna, si getta nella tromba dell'ascensore. La lotta alla fine si restringe tra Cust e Croz. Morendo per un male improvviso Croz, che intanto era riuscito ad avere le prove della colpevolezza di Cust, si vendica a suo modo, accusa se stesso e indica in Cust il successore di Vanan, ormai quasi svanito di mente. Cust è solo con la sua vittoria, ma anche con il suo rimorso implacabile. Sullo sfondo dell'ultima scena è una simbolica, lunghissima scala; Cust s'avvia verso di essa; l'ascenderà per presentarsi davanti all'Alto Revisore. Quasi svincolata dalle vicende, l'angoscia particolare di questo fortissimo dramma è affidata alla vibrazione intima dei personaggi il cui tormento esistenziale si libera qui da molti elementi simbolici, che aduggiano molto il teatro bettiano, e più pienamente aderisce a un commosso e tragico senso di pena. A un esame superficiale quest'opera potrebbe apparire un "giallo" d'alta classe. Ma in realtà a Betti non interessano i fatti quanto l'atmosfera che li avvolge e quasi li sostiene. La colpa che si affanna a liberarsi attraverso il tormento non inceppa l'espressione, ma l'affina, la rende sottile e lucida, interiorizzandola drammaticamente. E molti motivi della problematica morale, che è alla base di tanto teatro del dopoguerra, sono qui raccolti ed espressi in un linguaggio teatrale che, per l'implacabilità inquisitoriale e la stringatezza dimostrativa, assimila la lezione dei migliori autori contemporanei. 
Alfredo Barbina
 

 

Luigi De Bellis