|
|
|
Storia
della critica romantica in Italia |
|
|
Opera edita a Napoli
nel 1905, e, con nuova prefazione, a Milano nel 1920.
Quando questo libro apparve, la profonda rottura di metodo
e di concezione della critica, attuata dall'estetica
crociana, esercitava la sua prima e più rivoluzionaria
influenza; e di concetti e di impostazioni crociane è
tutta piena l'opera, costruita come ricerca progressiva
delle posizioni e dei concetti elaborati dal romanticismo
italiano nella prospettiva delle teorie estetiche di
Croce. I primi capitoli sono dedicati alla critica
classica, alla quale è sostanzialmente negato ogni valore:
nata, secondo il giovane B., in periodi di decadenza della
poesia, priva di stabilità di giudizio, tutta rivolta a
commenti di storia e di lingua, e per di più limitata da
un'impossibilità profonda di astrarre nel giudizio
artistico dagli elementi non artistici, quali le questioni
biografiche e quelle etiche, essa si ridurrebbe a due
concetti fondamentali, verità e moralità; con la
conseguente proclamazione della necessità della mimesi
della natura e della misura, della decenza e del buon
senso, come regole che il buon poeta deve osservare, al
tempo stesso rendendo più agevole l'azione etica col
dilettevole. Dalla convenienza nascerebbero così il tipico
formalismo e purismo della critica classica. La crisi
della critica classica si attua con Pietro Giordani, con
la fiorentina Antologia, con Leopardi. Tuttavia Borgese
nega a Leopardi ogni innovazione: esponendone rapidamente
le idee sulla lingua, ne respinge l'opera critica, in
omaggio al criterio di giudizio estetico assunto, in una
posizione ancora dominata dal classicismo e dall'antica
retorica. Con Berchet vengono introdotti in Italia il
concetto di popolare, l'interesse per le letterature
straniere, soprattutto nordiche, il rapporto fra poesia,
popolo ed età storica; e incominciano a esercitare
influsso gli Schlegel e la critica romantica tedesca in
genere. Esaminando le posizioni manzoniane, Borgese
chiarisce l'interpretazione limitativa dell'azione
innovatrice del romanticismo milanese: i concetti di
verisimile, di interessante, il valore etico dell'arte,
sono tutti concetti classicistici pienamente accettati da
Manzoni, che vi aggiunge unicamente l'affermazione della
coincidenza del vero col vero cristiano (in ciò seguito da
Rosmini) e la negazione dei componimenti misti di storia e
di invenzione. Altrove, per Borgese,
sono da ricercare i tentativi che renderanno possibile
l'uscita dal vicolo chiuso della concezione classicistica
della critica: nell'esegesi sentimentale e
impressionistica di Scalvini, Tenca, Camerini, Nencioni,
che, deboli sul piano teorico, giungono tuttavia a una
liberazione, sul piano della simpatia e dell'impressione,
dalla rigidità del concetto di "vero". Importante allo
stesso scopo è l'erudizione di Tommaseo, e, in misura
minore, di Cantú, che rendono più ricca e approfondita
l'indagine etica, complicano e ravvivano il moralismo di
derivazione classicistica con la loro attenta indagine di
lingua e di storia. È questa la linea della critica che Borgese
chiama normativa: più in là dell'adesione sentimentale o
dell'erudizione non avrebbe potuto in nessun caso andare.
La nuova critica, quella che ha come suprema
ricapitolazione e inveramento totale l'opera di De
Sanctis, nasce lungo la linea storica e speculativa del
romanticismo, da Foscolo, fondatore teorico dei nuovi
concetti di arte individuale e libera, a Mazzini, che
stabilisce un progresso di concezioni esegetiche
attraverso l'ampia visione storica, costruita su salde
strutture ideali, e la vivacità delle impressioni
estetiche; a Gioberti, primo sperimentatore di una
costruzione storica della letteratura italiana, fino ai
tentativi storiografici che vanno da Emiliani Giudici a
Settembrini, prefigurando, come struttura, l'opera
desanctisiana. Nella Storia della letteratura italiana di
quest'ultimo, trovano la conclusione e la consacrazione
definitiva tutti i fermenti, gli esperimenti, i tentativi
della critica romantica: nell'opera del grande critico
napoletano ogni errore, ogni persistenza del passato, è
cancellata, restando soltanto la realizzazione coerente e
compiuta dell'unica, vera critica, quella estetica.
L'opera di Borgese resta valida nelle conclusioni più di
quanto non sia nelle analisi particolari (errato, a
esempio, pare oggi tutto il capitolo dedicato a Leopardi),
troppo rigidamente costruite sul metro di giudizio
dell'estetica crociana, quindi inevitabilmente deformate
in una prospettiva non storica.
Giorgio Barbieri Squarotti
|
|
|
|