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Frana
allo scalo nord |
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Dramma in tre atti scritto nel 1932,
pubblicato in "Scenario" nel 1935 e in Teatro di Betti a
Bologna nel 1955, e rappresentato per la prima volta al
Teatro Goldoni di Venezia il 28 novembre 1936. Come la
frana che ha inghiottito tre operai, cosi l'istruttoria
che ne segue inizia lentamente, allarga le sue dimensioni,
incalza con ritmo sempre più implacabile (e in questa
progressione è una delle maggiori attrattive del dramma).
Il giudice Parsc, assistito dall'Accusatore, ha in mano la
pratica e procede con le formalità che il meccanismo della
regola burocratica richiede. Ma il dramma a un dato punto
avanza incontenibile, sempre più convulsamente,
nell'intricato campo ove sorgono i problemi della
coscienza umana. Chi ha la colpa della tremenda disgrazia?
L'imprenditore dei lavori, il maggiore indiziato, rigetta
l'imputazione, ma accusato dai suoi operai,
inaspettatamente, in quanto credeva d'esserne benvoluto, è
come smarrito e tenta di togliersi la vita. Trattenuto in
tempo, si denuncia, confessa. E così gli altri. Man mano
tutti si sentono responsabili, sentono come un bisogno di
confessarsi pubblicamente. Intorno anche l'atmosfera,
rarefatta nel simbolo, assume un senso d'incubo
collettivo, d'inquietante, tragica vibrazione. Si
presentano le stesse vittime della catastrofe;
all'imprenditore, al motorista, al manovale che continuano
ad accusare se stessi, le ombre manifestano il loro
dissenso. Di chi la colpa allora? L'interrogativo supera
ormai l'ambito della ricerca del colpevole; la
responsabilità si allarga investendo l'umanità tutta. Lo
stesso giudice si leva la toga e rifiuta di emettere la
sentenza. Ma dietro le insistenze dell'Accusatore eccola,
la sentenza: essa non può essere che un grido: pietà,
pietà per tutti. Forse in nessun altro lavoro di Betti la
situazione drammatica è sostenuta da tanta efficacia
corale. D'altra parte il tema della responsabilità che
progressivamente si innalza, si complica, si
universalizza, non riesce a soffocare o a disperdere
l'umanità delle doloranti creature. Il ritmo e lo stacco
delle scene, la successione del dialogo che si avvale
spesso, e con rigorosa misura, di pause, di scatti
improvvisi, di toni smorzati, conferiscono al dramma
un'essenzialità e una potenza estreme.
Alfredo Barbina
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