|
|
|
Alfonso
Gatto |
|
|
Alfonso Gatto nacque
a Salerno nel 1909. Dopo un'infanzia che egli ebbe a
definire burrascosa, dopo aver interrotto gli studi appena
iscrittosi all'Università, dopo aver esercitato svariati
mestieri e attività e dopo aver pubblicato il suo primo
libro di versi (Isola, 1932), nel 1933 si trasferì a
Milano. Qui frequentò ambienti artistici e si avviò alla
carriera di critico d'arte; trascorse anche alcuni mesi in
carcere per il suo antifascismo. Nel 1936 sì trasferì a
Firenze, dove entrò a contatto con il gruppo degli
ermetici e dove fondò, con Pratolini, la rivista «Campo dì
Marte» e pubblicò una seconda raccolta poetica, Morto ai
paesi (1937). Nel 1941 si trasferì a Bologna per insegnare
letteratura italiana al Liceo artistico. Nel 1943
partecipò attivamente alla Resistenza e aderì al PCI (se
ne staccò più tardi, nel 1951, per dissensi di politica
culturale). Nel dopoguerra si trasferì a Roma, dove visse
svolgendo attività giornalìstica, collaborando alle
trasmissioni di cultura della RAI e dipingendo. Morì nel
1976, in seguito a un incidente stradale. Fra le sue
numerose raccolte di poesie, oltre alle prime già citate,
ricorderemo: Poesie (1941, ripubblica le due prime
raccolte con aggiunte), il capo sulla neve (1949), fa
forza degli occhi (1954), Osteria flegrea (1962), Rime di
viaggio per la terra dipinta (1969), Desinenze (1977, ed.
postuma).
Isola: Carri d'autunno
«Ancora chiaramente legata a esperienze precedenti; se non
altro per la oltranzosa compresenza post-vociava di
liriche e prose poetiche, Isola è il testo decisivo - con
le due prime raccolte di Quasimodo - per la costituzione
di una grammatica ermetica, quale verrà poi sviluppata in
particolare da Luzi e dagli altri fiorentini e definita da
Gatto stesso come ricerca di `assolutezza naturale".
Linguaggio rarefatto e a-temporale, allusivo (con
improvvisi grumi di vissuto), conforme a una poetica
dell'"assenza" e dello spazio vuoto visitato da epifanie e
precipitazioni del ricordo, che in Gatto, meridionale
sradicato come Quasimodo, è anche reale distanza dal mondo
dell'infanzia e giovinezza rievocato mi miticamente o in
una sorta di impressionismo memoriale» (Mengaldo). Questa
sinteticamente la più corretta chiave di lettura della
prima raccolta lirica di Alfonso Gatto, che data il 1932 .
[Isola]
La situazione realistica di partenza potrebbe essere la
contemplazione o forse il ricordo di un paesaggio
autunno-invernale illuminato da una luce lunare che rende
tutto quasi fiabesco: una piana forse ricoperta dalla
prima neve, una carovana di zingari che sosta per la
notte, qualche lucerna che cigola, nessuna visibile
presenza umana, un silenzio che evoca i morti.
Ma - ammesso che di questo si tratti - il testo nella sua
trama di relazioni analogiche trasfigura questo paesaggio
in un grumo di sensazioni e vibrazioni arcane, di
misteriose presenze e assenze, in un fascio di significati
irriducibili a unità razionale. Che gli «zingari di neve»,
i quali al risveglio godranno del tepore diurno come gli
uccelli che dormono al freddo con il capo sotto le ali,
vadano intesi in senso proprio è probabile, ma non certo:
«zingari di neve» potrebbe essere un'espressione
metaforica. Come non è dato precisare quali precise
assenze evochi «il silenzio dei morti».
A rendere evocativo e arcano questo paesaggio
contribuiscono artifici tipici di quella koinè del
linguaggio ermetico in formazione proprio con la raccolta
a cui questo testo appartiene: l'indeterminatezza
dell'espressione «nello spazio lunare» (ci si colloca
sulla terra illuminata dalla luce lunare o in una zona del
cielo?); la metafora (in verità comune) del «silenzio» che
«pesa»; la polisemia del termine «carri» (carri di zingari
o costellazioni?), indotta soprattutto dalla successiva
attribuzione «eternamente remoti», enfatica e allusiva se
riferita a carri reali, propria se riferita alle
costellazioni; l'almeno potenziale sinestesia «cigolio dei
lumi»; l'indeterminatezza pure allusiva del verbo
«improvvisa» e dell'intera frase; la specificazione
impropria e fantastica «villaggi di sonno» (invece che -
poniamo - "villaggi addormentati"; ma si tratterà
dell'accampamento degli zingari cullati dal cigolio delle
lucerne appese ai carri o non piuttosto delle
costellazioni stesse fantasticamente assimilate a villaggi
addormentati?), replicata forse nel successivo misterioso
«zingari di neve» (sono semplicemente gli zingari che al
risveglio si trovano ricoperti di neve?), se non si deve
intendere « di neve» come specificazione ritardata di
«alba»; la metafora d'ascendenza pascoliana «nidi» (per
uccellini); la costruzione indeterminata ed evocativa (in
quanto impropria) «lontano a trasparire il mondo», forse
da intendersi nel senso di «far trasparire il mondo
lontano» (in questo caso con uso transitivo del verbo
intransitivo; ma «lontano» perché contemplato da distanze
siderali?», oppure nel senso di "essendo il mondo lunghi
dal rivelarsi" (sia perché ricoperto di neve e raggelato,
sia anche in senso epifanico, metafisico). |
|
|
|