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Giro
del sole |
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Racconti di Massimo Bontempelli pubblicati in
volume a Milano nel 1941; sono tre avventure che, nella
loro unità, seguono il corso del Sole, da oriente
attraverso l'occidente fino al ritorno in oriente
(Mediterraneo, Atlantico, Pacifico) e nelle quali
l'estrosa arte del B. raggiunge il punto più felice di
equilibrio tra fantasia, tecnica narrativa e spirito
poetico. Il primo, "Viaggio d'Europa", riprende dalla
mitologia classica il ratto d'Europa, combinato con il
mito della Fenice che ogni cinquecento anni brucia per poi
rinascere. Il secondo, "La via di Colombo", è una
rappresentazione immaginosa e insieme fedelissima del
grande viaggio di scoperta dell'America, mentre il terzo,
"Le ali dell'Ippogrifo", racconta di un'isola senza nome,
forse addirittura fuori del tempo, in cui l'Ippogrifo si
posa mentre porta Ruggero all'isola di Alcina. Ricchi di
un senso di stupefazione mistica, i tre miti offrono
tuttavia il fascino dei più vivaci racconti d'avventure
pervasi da una fede profonda nelle ragioni della vita.
Così l'immaginazione bontempelliana, nel "Viaggio
d'Europa" si pone di fronte al tema della morte e della
vita, cioè alla morte come rinascita, come inizio di un
nuovo modo di vita, e crea un clima di vera, sospesa
poesia, per passare, nella "Via di Colombo", a una
sbigottita trasfigurazione della figura di Colombo, solo
nello spazio, la cui conquista rappresenta la vera
vittoria del navigante genovese ("Ecco è solo sopra il
mare Oceano, chi sa per quanto tempo, più tempo sarà
meglio è, per respirare finalmente liberi: soli lui e il
mondo, mondo fatto di terra e cielo e mare rotondi ...").
Questo spazio assume poi la dimensione stessa della
spiritualità della vita ("Viaggiare dritto vuol dire
andare avanti senza pensare alla Terra, alle cose che si
trovano sulla Terra o dentro,... allora, se nessuno di voi
che navigate in là, ma neanche uno, non voi non i piloti
non i padroni dei legni non uno degli uomini né dei
ragazzi, nessuno, pensa alla Terra e cerca la Terra,
allora la nave va diritta, capite, diritta ancora, ma
diritta sul serio, a un certo punto v'accorgete di avere
abbandonato l'acqua perché anche l'acqua... è terra...")
contro la quale campeggia l'oro ("la tremenda condanna di
chi lo ama e lo cerca", "il colore della maledizione", "la
catena del condannato", la "miseria sudicia"), allo stesso
modo che nel primo mito l'uccello Fenice s'identificava
con il mistero e l'essenza della vita contro la falsità
dei sentimenti umani ("... ci sono in tutto due cose: ci
sei tu, e c'è il resto del mondo... in faccia a questo
mondo così mescolato ci sei tu, e in te non c'è niente che
non sia perfetto sempre..."). E come il prodigio di
Colombo è rappresentato dalla sua ostinazione fino a Palos
a "mantenere in sé la idea fissa" e a diffonderla, mentre
per il resto della sua esistenza non può essere
considerato che lo strumento d'un grave destino, d'una
missione terrestre o celeste, cosi il prodigio d'Europa è
nel primo balenante incontro con la verità, cioè con lo
sguardo della Fenice. Poi la missione d'Europa è d'essere
strumento ignaro del fato (di qui la dimenticanza della
Fenice e il rapimento compiuto dal torello bianco che la
conduce "dalla sacra Asia, ove è nata la sapienza umana,
traverso il Mediterraneo centro assoluto della storia" a
Creta) per tornare infine al desiderio di verità, cioè al
ricordo della favolosa Fenice onde si compia il suo
destino di dare il nome al continente che l'attende quando
sarà riportata dalla Fenice alla sua terra, attraverso un
"cammino destinato e necessario", dove l'attende la pira
purificatrice. Anche la straordinarietà della terza
avventura è, al pari delle due precedenti, risolta da B.
con una naturalezza che ne aumenta il fascino evocatore e
misterioso: l'Ippogrifo che ha rapito Ruggero per
condurlo, sorvolando il Pacifico, all'isola di Alcina,
atterra per desiderio di Ruggero stesso in un'isola
straordinaria, disseminata di statue colossali, i cui
abitanti compiono quotidianamente lo stesso viaggio del
Sole, viaggio che è la loro stessa vita. Per essi non è
meravigliosa la vista dell'Ippogrifo che per la prima
volta appare ai loro occhi, ma è meraviglia un caso che si
ripeta fino a divenire legge immutabile: è dunque
"meraviglioso che il sole ogni sera tramonti e ogni
mattina risorga, dai memorabili secoli millenni e
miliardenni con gli stessi aspetti e divisioni di tempi".
Per gli abitanti dell'isola la vita si ripete senza
mutamenti e avvenimenti in un ambito minimo, il loro senso
della realtà è misurato sulle varianti minime e la loro
coscienza è regolata dal Sole che, con i suoi giri intorno
alla Terra, misura la maturazione alla calma, cioè alla
felicità degli uomini. E come la Fenice per Europa, il
Sole è, per gli abitanti dell'isola senza nome, la verità
e l'essenza della vita: verso il Sole perciò un giorno
corrono con la loro nave ("... forse anche i loro corpi
stanno per diventare luce e niente altro...") gli isolani
attuando quello che era il sogno e il desiderio angoscioso
di Garcia nel secondo mito ("... e dunque andare, andare
sempre, in direzione d'eterno,... diventati angeli"). Ma
rimane Argentina che, abbandonata da Ruggero, deve
assolvere un altro misterioso dovere dell'esistenza, e
attendere, ignara e solitaria, che si compia quello che la
Terra vuole da lei, anzi dal "solo suo corpo anche a costo
della sua anima": la visione della fanciulla nuda, sciolta
da ogni pensiero, le due mani congiunte sul grembo in
trepida stupefazione chiude così il giro del Sole
rinnovando anche al di là di ogni conquista superumana il
senso di ineffabile eternità della vita quotidiana nelle
più naturali manifestazioni. Giulio
Marzot
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