Il primo
quindicennio del sec. XX vede
ancora primeggiare, in campo
politico, la figura di Giovanni
Giolitti, il quale, messe in
qualche modo da parte le riserve
mentali verso le classi
emergenti, affronta con maggiore
lealtà e determinazione il
problema di salvaguardare la
pace sociale nell’ordine e nella
giustizia, potenziando lo
spirito democratico delle
istituzioni. Egli promuove la
nazionalizzazione delle
ferrovie, fa promulgare leggi in
favore del lavoro delle donne e
dei minori, dà slancio allo
sviluppo industriale soprattutto
nel settore automobilistico: nel
giro di pochi anni, dall’unica
fabbrica di autovetture, la
FIAT, che fu fondata nel 1899,
si registrano nel 1906 ben
settanta industrie
automobilistiche. Tuttavia
questo notevole incremento
industriale, che esaltò non
pochi italiani, era comunque
assai lontano dai livelli di
industrializzazione di altri
paesi europei come Francia e
Inghilterra in particolare,
sicché in termini sociali
aggravò il conflitto fra
imprenditori e operai, perché
questi chiedevano una fetta non
piccola del presunto benessere
economico, mentre quelli si
sentivano sempre più incalzati
dalla spietata concorrenza
straniera che, tecnologicamente
più avanzata, aveva costi di
produzione inferiori. Per
arginare il conflitto sociale,
Giolitti si impegna
maggiormente sulla strada delle
riforme: promuove un incremento
massiccio dell’insegnamento
elementare, nazionalizza le
assicurazioni sulla vita, fa
votare dal Parlamento il
suffragio elettorale universale
(1912): gli elettori passano da
due a nove milioni!
Intanto all’orizzonte europeo si
avvicina lo spettro di una
grande guerra che coinvolgerà
quasi tutte le potenze mondiali.
L’opinione pubblica italiana si
schiera su due fronti: quello
dei neutralisti (liberali
giolittiani, cattolici e
socialisti) e quello degli
intervenisti (liberali
conservatori e mussoliniani).
Questi ultimi prevalgono con
l’appoggio della monarchia e gli
Italiani parteciperanno alla
prima guerra mondiale dal 24
maggio 1915 al 4 novembre 1918,
lasciando sul campo ben 670.000
morti ed ottenendo il possesso
di Trieste, del Trentino e
dell’Istria, ma non quello della
Dalmazia, di Fiume e di Valona.
Dopo la guerra lo scontento
generale crebbe a dismisura e
agevolò l’ascesa dell’ “uomo
forte”, di quel Benito Mussolini
che, espulso dal PSI, aveva
fondato il Partito Fascista ed
aveva avuto l’incredibile
audacia di ordinare alle sue
bande di squadristi di marciare
su Roma ed occuparla
militarmente (28 ottobre 1922).
Il debole Vittorio Emanuele III,
per scongiurare il peggio,
conferì a Mussolini l’incarico
di formare il governo, ma dopo
una breve esperienza
parlamentare, com’era da
attendersi, il Duce sciolse
tutti gli altri partiti e diede
inizio alla dittatura fascista,
che durerà fino al 25 luglio
1943. Durante la dittatura la
politica interna fu
completamente asservita agli
interessi dei capitalisti, le
libertà civili individuali
furono del tutto abolite: chi
non era iscritto al Partito
Fascista non poteva aspirare a
occupare un posto di lavoro
pubblico e veniva perseguitato
in tutti i modi; la stampa era
sottoposta a rigida censura; gli
intellettuali ed i politici
dissidenti furono neutralizzati
o col domicilio coatto (es.
Carlo Levi), o con l’esilio
volontario (es. Pietro Nenni e
Luigi Sturzo), o col carcere
duro (es. Antonio Gramsci),
oppure furono assassinati (es.
Giacomo Matteotti e Carlo
Rosselli). L’opera più dannosa
il fascismo la svolse
nell’educazione, inculcando
nelle giovani coscienze il culto
della personalità del Duce ed il
fascino sinistro di un
esasperato militarismo
(“Credere, obbedire e
combattere!”; “Meglio vivere un
giorno da leone che cento da
pecora!”; ecc.).
Si giunge così al secondo
conflitto mondiale, ben più
tragico del primo, a cui
l’Italia partecipa a fianco
della Germania di Hitler. Nel
1943 Mussolini è costretto alle
dimissioni e viene arrestato,
mentre il nuovo Primo Ministro,
Badoglio, firma l’armistizio per
l’Italia. Ma Mussolini fugge dal
carcere con l’aiuto dei Tedeschi
e dà vita alla Repubblica di
Salò: inizia la guerra civile
tra fascisti (affiancati dai
Tedeschi) e partigiani della
libertà (appoggiati dalle forze
alleate).
Mussolini, nuovamente catturato,
viene fucilato a Dongo il 28
aprile 1945. Le forze della
Resistenza, riorganizzati i
partiti politici, effettuano un
referendum istituzionale per
fare scegliere dal popolo la
monarchia o la repubblica.
L’esito fu favorevole alla
Repubblica e la nuova Carta
Costituzionale andò in vigore il
1° gennaio 1948.
Quadro letterario
I primi decenni del Novecento
segnarono il prevalere, in campo
poetico, almeno da parte del
mondo accademico e scolastico,
della triade CARDUCCI - PASCOLI
- D'ANNUNZIO (le “tre corone”
assunte a simbolo dell’Italia
rinnovata così come, un secolo
prima, Parini - Alfieri -
Foscolo erano stati considerati
il simbolo del rinnovamento
civile degli Italiani); ma,
dietro di loro, una gran folla
di giovani poeti premeva per un
più deciso e integrale
rinnovamento della poesia,
vivendo in modo più autentico e
drammatico la crisi decadente
della società intera:
crepuscolari, futuristi, poeti
puri, ermetici interpretarono in
modo diverso il tormento
angoscioso della solitudine e
dell’alienazione, seguiti poi
dai neorealisti, che vollero
invece impegnarsi in una presa
di coscienza più attiva dei
problemi sociali, e da vari
gruppi di neo-avanguardia, che
hanno avanzato - e tuttora
avanzano - proposte di
rinnovamento della poesia a
volte stravaganti, a volte
suggestive, a volte interessanti
e significative.
Nel campo della narrativa e del
teatro, mentre da un lato ci fu
la riscoperta e la rivalutazione
dei “veristi” (specialmente del
Verga ad opera di Luigi Russo),
dall’altro si ebbe
l’affermazione sempre più larga
ed a livello europeo dell’opera
di Pirandello e Svevo, mentre la
critica ufficiale e di regime
osannava sempre più al
D’Annunzio. Ma nel frattempo
andava sviluppandosi una
letteratura di opposizione al
fascismo che poi sfociò in
aperta denunzia della tirannide
e in una commossa rievocazione
della Resistenza e si impegnò
nell’opera di riedificazione
democratica del Paese
(neorealismo). Col diffondersi
poi di nuove branche nell’ambito
delle scienze sociali e con
l’adozione della gestione del
rinnovamento da parte di
istituti (partiti politici,
sindacati, associazioni di
categorie, movimenti di
opinioni, ecc.) sempre più
largamente rappresentativi
dell’opinione pubblica, la
narrativa ed il teatro si sono
in gran parte liberati del peso
di un impegno sociale diretto e
si sono rivolti maggiormente a
ridefinire la propria identità
ed il proprio ruolo, approdando
all’elegia o imboccando strade
varie di sperimentalismo.
Le riviste
In tutto il complesso panorama
letterario del Novecento gran
rilievo ha avuto l’attività di
numerose “riviste”, che hanno
dato vita ad un dibattito
culturale estremamente vasto ed
appassionato.
Fondatori e animatori delle
riviste più impegnate, tutte
pubblicate a Firenze, furono
Giovanni Papini e Giuseppe
Prezzolini. Questi diedero vita
a “Il Leonardo” (1903-1907) con
l’intento di aggregare un gruppo
di giovani intellettuali,
“desiderosi di liberazione,
vogliosi d’universalità,
anelanti ad una superiore vita
intellettuale”, per contrastare
il nascente socialismo in
politica, affermare il
pragmatismo in campo filosofico
(Papini) e il misticismo nel
campo dell’arte cui si assegnava
il compito di «rivelazione di
una vita profonda» (Prezzolini).
Entrambi gli scrittori fondarono
poi “La Voce” (1908-1916),
accentuando la polemica
antisocialista ed
antidemocratica, inneggiando
alla conquista della Libia e
proclamando la necessità
dell’intervento italiano nel
primo conflitto mondiale, ma
anche auspicando la nascita di
una nuova figura di letterato
che ripudiasse l’estetismo
dannunziano e si calasse nei
problemi quotidiani della vita
nazionale (dopo il 1914 la
direzione della rivista passò a
Giuseppe De Robertis che ne fece
un organo esclusivamente
letterario). Nel 1913 il Papini,
abbandonando “La Voce”, fondò
con Ardengo Soffici “Lacerba”,
organo quasi ufficiale del
futurismo, che ovviamente
annoverò tra i redattori il
fondatore stesso del nuovo
movimento letterario, Filippo
Tommaso Marinetti.
Ci sono ancora da ricordare due
riviste di ispirazione quasi
esclusivamente politica: la
prima, “Il Regno”, fondata nel
1903 da Enrico Corradini,
approfondì la lotta al
socialismo e fu fautore
dell’espansionismo coloniale; la
seconda, “L’Unità”, fondata nel
1911 da Gaetano Salvemini,
rappresentò l’esatto contrario,
ergendosi a paladino delle
libertà democratiche contro il
nazionalismo ed il colonialismo.