Letteratura italiana: Analisi del Novecento

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Analisi opere
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Lettere di Dino Campana e Sibilla Aleramo
 

Carteggio pubblicato nel 1958, riedito in Campana-Opere e contributi, nei due volumi a cura di Enrico Falqui, stampati nel 1973. Contiene cinquantasei testi (lettere, frammenti, cartoline, telegrammi) di C., trentasei lettere della A., più alcune carte strettamente legate alla storia del loro amore, fra le quali una poesia inedita della A., "Per Dino Campana": gli scritti sono compresi fra il 22 luglio 1916 e i primi mesi del 1918. Già dalla prima lettera alla A., si evidenzia la posizione ideale di C., la sua polemica contro il mondo culturale fiorentino dovuta alla profonda divergenza che separa lui, "poeta puro", dagli schemi culturali dell'Italia ufficiale e al risentimento personale contro Giovanni Papini e Ardengo Soffici, che, nell'inverno 1913, gli avevano perduto il primo manoscritto dei Canti Orfici (v. O.) dal titolo Il più lungo giorno che era stato loro proposto in vista di una possibile pubblicazione su "Lacerba". Il rapporto che lega C. e la A. è, per ora, di carattere esclusivamente letterario e culturale: in questa prospettiva è significativo il richiamo a Walt Whitman, la cui poesia suggestiva era profondamente amata da entrambi e il riferimento alla guerra, scoppiata, ormai, da quasi due anni, interpretata in chiave intimamente individuale, sentita come momento unico in cui potersi compiutamente realizzare: "Finita la guerra "non esisterò più" ammesso che esista ancora". Durante il mese di luglio, la corrispondenza continua con lettere colme al tempo stesso di ritrosia e di speranza, di toni formali e di tenerezza finché viene deciso l'incontro avvenuto ai primi di agosto al Barco e durato alcuni giorni. Ora gli scritti della A., sempre più frequenti, accentuano i toni di fervore entusiasta già presenti in precedenza e dovuti, allora, soltanto alla corrispondenza che il suo mondo interiore aveva trovato con quello di C., in seguito alla lettura delle sue poesie e delle sue prose liriche; accanto a essi, però, e accanto alla fede nel loro amore, nasce in Sibilla, con il timore per la salute e per l'instabilità nervosa di lui, accentuato anche dal silenzio epistolare di C. una trepida insicurezza: "...so che se tu domani mi scrivessi che è stato un sogno, che ti sei svegliato, che non mi ami, troverei nel mio orrore da chinare il capo... Perché amarmi, tu?" Anche C., però, palesa ben presto la propria nascente passione: per l'esaltazione orfica di questo amore, egli crede di aver finalmente appagato nella realtà e non più solo, come fino allora, nella poesia, il suo desiderio di purezza ideale. Sibilla diventa per lui anche una sicurezza materiale cui rivolgersi nei momenti di bisogno. Dopo i primi screzi fra i due, il ritrovarsi, anche se a volte solo epistolare, riporta a entrambi, verso la fine di ottobre, felicità ed entusiasmo, ma il loro legame comincia a logorarsi per le inquietudini nevrotiche di C. e per la sua sempre costante ansia di fuga. Datate al novembre e dicembre 1916 sono alcune lettere di C. a due nuove corrispondenti, Astrid Anhfelt, giornalista svedese amica di Sibilla, e la contessa Castiglioni, diventate mediatrici dei suoi rapporti con la donna dopo una prima frattura dovuta al carattere violento di C. Soprattutto la Anhfelt, in questo momento, è vicina al poeta, aiutandolo materialmente e incarnando per lui l'esempio di una vita equilibrata, sicura, così diversa e per questo rimpianta, dalla "contraddizione orribile" della sua esistenza. Poi, dopo la riconciliazione con Sibilla, un nuovo distacco dovuto alla lontananza di C.: la sua smania di sempre nuovi orizzonti lo ha portato prima a Livorno, poi a Torino (ed è la madre, Fanny Campana, che in lettere preoccupate alla A. fa riferimento al soggiorno del figlio in quelle città). L'assoluto silenzio epistolare di C. è interrotto l'8 marzo '17 con una lettera glaciale di abbandono, cui fa seguito un disperato e ardente telegramma del giorno seguente. È il momento in cui egli cerca di riconquistare con lettere trepide e disperate la donna, che, sola, può restituirgli un poco della pace che ha definitivamente perduto. Un anno dopo verrà ricoverato nel manicomio di Castel Pulci e già ora le lettere contengono una esaltazione anormale, acquistando sempre più un valore di tragica testimonianza sul progredire della malattia. La follia gli fa vedere prossima una nuova stagione di felicità poetica, torna a sentirsi "il poeta del presente e dell'avvenire" per precipitare, subito dopo, nello sconforto e nella disperata passionalità di giuramenti di amore eterno. Anche le vicende esterne risentono dello squilibrio psichico in cui il poeta è caduto: a Novara è incarcerato perché trovato senza documenti e ancora una volta egli invoca la presenza di Sibilla. Le sempre più sporadiche lettere di lei sono, invece, testimonianza di un amore ancor vivo, ma rifiutato razionalmente, di un sentimento ormai senza "fede" che, però, può rendere anche felice "di patire così, morire così d'amore". Nell'ultima lettera del carteggio, probabilmente diretta a Mario Novaro, certamente del 1918, quindi posteriore all'internamento a Castel Pulci, C. torna a sentirsi "il poeta puro tramite egli solo di una stretta unione fra le culture francese e italiana" mentre, con l'aggravarsi delle condizioni mentali, il tono assume un'aura di sacrificio accettato: "La trasfusione si opera con il sangue dell'agnello... aiutate l'opera divina". È l'esaltato testamento spirituale di chi vuole commettere ad altri il compito ideale che non può più assolvere.
Margherita Russi
 

 

Luigi De Bellis