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L'uomo
è forte |
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Romanzo di Corrado Alvaro pubblicato a
Milano nel 1938, dopo qualche difficoltà della censura
fascista conclusasi con la soppressione d'una ventina di
righe e con l'obbligo all'A. di premettere al suo libro
un'avvertenza "in cui dichiarava che l'azione di esso si
svolgeva in Russia". Alvaro,
scrivendolo, pensava invece all'atmosfera politica
italiana di quegli anni, anche se il tema dell'oppressione
e della paura è trattato in termini così generali, quasi
allegorici, da poter applicarsi a qualsiasi paese e
periodo di tempo ("dovunque l'uomo fu oppresso"). Nelle
ristampe del dopoguerra (dal 1944 in poi), infatti, lo
stesso Alvaro
non ha voluto aggiungere le venti righe censurate perché
"rimetterle al loro posto indicherebbe nell'autore una
pretesa che egli non ha". Il protagonista, l'ingegner Dale,
ritorna, da un lungo soggiorno all'estero, nel suo paese
natale, e vi respira subito un clima di diffidenza verso
lo straniero come verso un apportatore di spirito di
rivolta. Ritrova un'amica del passato, Barbara, una donna
enigmatica e inquieta, la cui attrazione verso di lui si
mescola al timore di essere sorvegliata e accusata di
intesa con il nemico. I loro incontri si svolgono così in
un'atmosfera di tensione e di mistero, che, se conferisce
fascino ai loro rapporti, impedisce d'altra parte ogni
abbandono fiducioso. Il sospetto di essere controllato si
accresce, di riflesso, in Dale, che vede tentativi
d'indagine e minacce in tutte le persone che avvicina, dal
Direttore dell'Ufficio tecnico industriale di Stato, cui
si è presentato per cercare lavoro, alla sua segretaria,
alla cameriera dell'albergo (Olga). A poco a poco Barbara
cede all'ossessione dei propri timori e consiglia a Dale
di mettersi in salvo, preavvertendolo che lo denuncerà
come un nemico del popolo per mettere sé stessa al sicuro:
ma lo stesso Inquisitore (da cui ella si reca per la
denuncia) diffida delle accuse di Barbara e preferisce
aspettare che Dale si comprometta da sé. E così avviene:
Dale, snervato da un colloquio ambiguo con il Direttore, e
ancor più spaventato dall'atteggiamento sfuggente di lui,
in uno scatto d'ira lo uccide. Poi fugge e, acciuffato dai
seguaci del regime, viene colpito da un proiettile di
rivoltella da uno di essi (Isidoro): ma non muore, perché
a salvarlo sopraggiungono proprio altri seguaci che lo
ritengono vittima dei controrivoluzionari e, perciò, lo
soccorrono e lo curano. Nel romanzo ogni elemento storico
e lasciato indefinito, e ogni personaggio è soltanto il
simbolo di una situazione astratta. I pochi riferimenti
positivi, però (gli accenni a un nuovo corso della storia
fondato sulle forze del popolo e in antitesi con le
tradizioni del passato; il rigore di un regime tagliato
fuori da ogni rapporto con il mondo esterno fino a temer
l'infiltrazione di un privato cittadino d'oltre confine;
l'organizzazione capillare del sistema poliziesco, e altri
elementi simili), sembrano alludere più alla Russia
sovietica che all'esperienza alquanto provinciale e
pittoresca del fascismo in Italia. E, anche se
l'intenzione dello scrittore non era questa, tale essa
appare oggi nei suoi risultati espressivi. Per il resto il
romanzo si svolge soprattutto come un'analisi interiore
della psicologia dei due protagonisti (Dale e Barbara) e
del dilagare in loro della paura come di un processo
patologico, i cui addentellati con la realtà
progressivamente si perdono (e fa pensare, per questo, al
clima metafisico-surreale di Kafka). Proprio in questa
direzione quasi metafisica l'inquietudine di Dale e di
Barbara, trova i momenti più intensi e riesce a supplire
all'indefinitezza dell'impianto storico. Alvaro, insomma,
ha colto uno stato della coscienza, moderna, di fronte al
dramma, della libertà, che va oltre il dato storico
particolare: ed è proprio per questa generalità del
discorso che egli ha potuto superare il sospetto di un
romanzo polemico e comporre un'opera di maggiore
significato. Giorgio Pullini
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