Letteratura italiana: Opere di Pasolini

   Home        

 

Parliamo di

  Autori del Novecento italiano: PASOLINI
Analisi opere
 1 Passione e ideologia
2 Poesie
3 Ragazzi di vita
4 Scritti corsari
5 Una vita violenta
6 La meglio gioventù

 


La meglio gioventù
 

Raccolta di poesie in dialetto friulano. La prima parte comprende le "Poesie a Casarsa" (1941-43) in una seconda stesura che riadotta il friulano casarsese "nella sua istituzionalità", come Pasolini avverte nella "Nota", la "Suite furlana" (1944-49) e un'"Appendice" (1950-53); la seconda "Il testament coran" (1947-52) e il "Romancero" (1953) che contiene la poesia eponima. Il dialetto è conquistato come sistema linguistico libero, "fresco" e duttile di contro a una lingua letteraria frusta e codificata, e rivelato come strumento essenziale di un "ritorno" alla propria terra friulana; un ritorno ideale e sentimentale, intellettuale e fisico, agli oggetti amati della propria infanzia e adolescenza. Sono visi di giovinetti, canti di campane e di madri nell'aria ora tersa ora nuvolosa del paese che, coi suoi tratti netti e prefissati, i tetti di paglia, la neve, è oggetto costante della fantasia e del rimpianto ("Ploj a tai cunfins"). La struggente nostalgia, l'atto d'amore con cui il poeta insegue nelle vibrazioni più intime le figure umane e la natura e tenta di appropriarsene, si stende in metri cantabili, in "contrasti" ("La domenica uliva"), in ritmi ben scanditi, in litanie che attingono al popolare ("Aleluja", "Li letanis dal bel fi'"). Ma sotto la melodia c'è la sorvegliata coscienza tecnica del letterato che ha ben presente la tradizione colta da Pascoli agli ermetici, i procedimenti analogici, il surrealismo anche transalpino; come d'altra parte, sotto la religiosità cristiana, quasi francescana della propria disponibilità al mondo materno, traspare il sottile intellettualismo delle scelte stilistiche. Ma Pasolini è ben consapevole di queste operazioni, anzi il suo "ritorno" si configura programmaticamente come un itinerario d'amore e di filologia, nella coscienza, che viene chiarendo anche in termini teorici, dell'impossibilità di una poesia popolare - Passione e ideologia - e in iniziative culturali quale la fondazione, con altri poeti, dell'Academiuta di Lenga Furlana (1945). Con la "Suite furlana", nell'essenzialità del paesaggio e dei colori - il nero, il rosa, il violetto - via via s'accentuano e ricompaiono le figure delicate della Madre-fanciulla e di Narciso, le figure della vita, sensualmente e teneramente accarezzate, e anche di contro, quelle della morte, dell'improvviso spegnersi della luminosa vitalità, del calore del sangue ("Lenga dai frus di sera", "Dansa di Narcis"). Nel "Romancero" perdura il mito del Friuli, il mito consolatorio per il poeta cittadino, dell'innocenza e della felicità originarie. P. vi specchia ancora la sua anima e i suoi fermenti intellettuali, arricchendolo di nuove figure e temi attinti anche dagli studi sulla poesia popolare e dialettale dell'intera penisola: compaiono costellazioni "preclassiste", i "siòrs" i ricchi, contrapposti ai garzoni, ai giovanetti poveri, ai "puòrs" ("I dis robas"); e anche il dato più puntualmente storico dell'occupazione tedesca e della Resistenza ("El testament coran") si stempera nella musicalità popolareggiante del verso. E accanto agli altri colori s'aggiunge il blu della tuta dell'operaio ("Vegnerà el vero Cristo"). È sopraggiunto il recente acquisto culturale di P., la "scoperta di Marx"; la tematica pubblica, i problemi politici sono ancora in vero ricondotti al contesto morale di partenza: lo sfruttamento, l'emigrazione ("La meis zoventut"), la violenza nazista sono sentiti innanzitutto come privazione della bellezza e della felicità di questi giovani, della loro innocenza e purezza: di qui il costante tono di dolce favola e di canto. Le poesie dell'"Appendice" (1950-52) infine nascono sotto l'insegna del congedo ("Conzeit"); ora la distanza dal Friuli, anziché nutrire la nostalgia, è la causa di un'incomprensione dolorosa, di un "tradimento": il poeta lo ritrova con la sua gioventù "sconosciuto" ("Lunis"), e "chiuso" al proprio atto d'amore e di comprensione ("Cansion"). S'interrompe così il circuito vitale di un rapporto poetico e ideologico.
Giorgio Bertone

 

Luigi De Bellis