Con il romanzo La
storia (1974) ELSA MORANTE (1912-1985) si inserisce
consapevolmente in quel recupero della narrativa
tradizionale che, come si è detto, è una linea di tendenza
degli anni Settanta e in quel tentativo di conquista di un
largo pubblico che è l'obiettivo di una certa critica e
dell'industria editoriale. E ci riesce. Pur tenendo debito
conto dell'eccezionale impegno promozionale, il grande
successo de La Storia si spiega tenendo conto anche (o
soprattutto?) della sua urgenza e quasi visceralità
tematica e della sua scrittura. Alle vicende di un gruppo
di "umiliati ed offesi" che la Storia (quella con la
maiuscola) ferisce e travolge, la voce narrante (concepita
nelle modalità dell'ottocentesco narratore onnisciente)
aderisce a volte con eccessiva immedesimazione, con vero e
proprio patetismo.
Segnalatasi ancora giovane con una raccolta di racconti
(Il gioco segreto, 1941), Elsa Morante si è pienamente
rivelata nelle sue originali qualità narrative col romanzo
Menzogna e sortilegio (1948, premio Viareggio), storia
della decadenza di una famiglia gentilizia del Sud,
seguita per tre generazioni e ricostruita, in
un'allucinata atmosfera di ricordi, supposizioni, indizi,
dalla protagonista-narratrice chiusa nella sua stanza a
rievocare. Il romanzo coniuga l'attenzione realistica con
la sottigliezza dell'analisi psicologica, con una
componente favolosa e trasfigurante, con una scrittura
musicale di alta suggestione. L'isola di Arturo (1957) è
centrato sulla vicenda di un adolescente che dalla
felicità di un rapporto di confidente abbandono al fascino
della natura e di ammirazione e mitizzazione del padre
passa al "disincanto" e vive il crollo del mito del padre
provocato dalla sua fuga, dopo un ritorno nell'isola, con
un suo "amico particolare". Con questo romanzo la Morante
dà suggestiva espressione a un tema che sarà un motivo di
fondo in vario modo presente nella sua produzione: una
struggente nostalgia di vita libera e naturale e un acuto
senso del depauperamento che la consapevolezza acquisita
dopo le fantasie adolescenziali determina nell'individuo.
Il romanzo si presenta quindi come una sorta di "percorso
iniziatico" del protagonista verso la conquista della
maturità. D'altra parte, la polemica contro una società
che intruppa, limita e depaupera è particolarmente
evidente nei versi de Il mondo salvato dai ragazzini
(1968), che con modalità formali d'avanguardia riprende da
un'angolazione originale posizioni e tematiche della
contestazione sessantottesca (della quale costituisce, ci
sembra, l'unico frutto letterario non caduco).
Col romanzo La Storia (1974) la Morante ha tentato il
recupero del romanzo tradizionale, ha voluto parlare un
linguaggio accessibile a tutti, ottenendo un risultato sul
quale sono state espresse, in un vivace dibattito critico,
valutazioni notevolmente discordanti. Col romanzo Aracoeli
del 1982 - storia del non più giovane Manuel, angosciato
dalla solitudine, dalla bruttezza e da un'omosessualità
vissuta come infelicità - la scrittrice è tornata a moduli
stilistici di letteratura "alta".
L'ISOLA DI ARTURO
La vicenda
Il romanzo è ambientato nell'isola di Procida e la vicenda
è narrata in prima persona dal protagonista stesso,
Arturo, che rievoca, ormai adulto, la propria infanzia e
adolescenza. Orfano della madre, morta nel darlo alla
luce, Arturo trascorre un'infanzia solitaria. ma libera e
felice, a contatto con la natura selvaggia dell'isola.
L'unico compagno-amico del ragazzo, se si esclude la cagna
Immacolatella, è il padre, Wilhelm Gerace. Per lui Arturo
nutre un'adorante ammirazione: la sua bionda bellezza (che
già di per sé lo rende diverso e superiore ai bruni
procidani), i suoi continui viaggi (per i quali Arturo
immagina favolose e lontane destinazioni), lo stesso
regale distacco con cui tratta il figlio, lo rendono ai
suoi occhi un eroe affascinante e misterioso. La giovane
vita di Arturo conosce una svolta fatale con l'arrivo a
Procida di Nunziatina, la giovanissima sposa napoletana
del padre: essa è la prima donna, dopo la madre di Arturo,
ad entrare nella «Casa dei guaglioni», la cadente ma
ancora maestosa dimora dei Gerace, da cui le donne erano
bandite, per volontà dell'antico proprietario, Romeo l'Amalfitano,
fanaticamente misogino. Per la matrigna Arturo nutre
complessi sentimenti: prima di gelosia, poi di attrazione.
Quest'ultima, interpretata all'inizio confusamente come
bisogno materno, dopo che Arturo viene iniziato al sesso
da una giovane dell'isola, si manifesta apertamente come
erotica. Ma Nunziatina, anche se attratta dal ragazzo,
resta fedele al suo ruolo di sposa e madre e lo respinge
con fermezza, pur continuando ad offrirgli la sua
femminile dedizione. Dopo aver conosciuto l'amore e il
sesso, Arturo è ormai prossimo ad abbandonare l'infanzia,
ma prima lo attende la prova per lui più dolorosa: la
scoperta del "mistero" del padre, che comporta la
dissoluzione del suo mito agli occhi del figlio. Wilhelm
non è il "cavaliere errante" in cerca di eroiche imprese
dei sogni di Arturo, ma uno squallido individuo, succube
di un poco di buono di cui si è innamorato. Arturo decide
di lasciare l'isola affascinante della sua infanzia, a cui
nulla più lo lega: pur sapendo che «fuori del limbo non
c'è eliso» affronta il mistero della vita adulta.
Strutture e tecniche narrative
Il romanzo è articolato in 8 capitoli, scanditi in
paragrafi, ognuno dei quali reca un titolo. Alcuni di essi
rivestono particolare allusività, sono "interpretativi":
segnalando al lettore reti analogiche e strutture
simboliche del romanzo, lo invitano a superare un'ingenua
adesione all'apparenza realistico-memorialistica del testo
(ad esempio nel primo capitolo Re e stella del cielo e La
bellezza; oppure Regina delle donne e La ragnatela
iridescente nel IV capitolo). Altri titoli poi, nel loro
carattere scopertamente melodrammatico, hanno un sapore
ironico (La grande gelosia, La catastrofe, Il bacio
fatale) e si collegano all'ambiguità del narratore,
diviso, nella sua rievocazione, tra adesione nostalgica e
ironia. La particolare felicità delle immagini visive e in
genere sensitive, la fresca naturalezza con cui oggetti e
paesaggi sono caricati di una valenza mitica, testimoniano
però come la nostalgia sia più forte dell'ironia e come
sopravvivesse nella Morante (che si immedesima fortemente
nel narratore) il culto di un'infanzia libera, autentica,
mitopoietica. L'uso dei titoli didascalici si collega
inoltre direttamente alla particolare tecnica narrativa
impiegata dalla scrittrice in questo libro affascinante.
Come già segnalava Bàrberi Squarotti (1961), il romanzo
non "racconta", anzi è forse fondamentalmente
antinarrativo (e antirealistico): attraverso la finzione
letteraria del recupero memoriale, seleziona e isola nel
continuum dell'esperienza eventi e situazioni che hanno un
carattere esemplare, paradigmatico, per la risonanza
interiore nel protagonista, ma soprattutto per il ruolo
che esercitano nel suo percorso iniziatico. Le vicende
dunque, sebbene conservino un sapore realistico, sono
quasi preordinate ad illustrare le tappe fondamentali del
processo psicologico che porta un adolescente
dall'infanzia all'età adulta:
a) scoperta della
Donna/Madre/Amante,
b) contatto con la Morte,
c) uccisione simbolica (= demitizzazione) del Padre.
La figurazione dei personaggi e il
linguaggio
In questo tipo di struttura narrativa anche i personaggi
tendono continuamente ad assumere un volto mitico e ad
assolvere un ruolo simbolico (si veda lo stesso nome
favoloso e leggendario del protagonista). Al contempo però
sono anche tratteggiati con felice realismo: sul piano
linguistico questo comporta l'inserimento, all'occorrenza,
di costruzioni mutuate dal parlato e la saltuaria adozione
del dialetto. Se il ritratto " linguistico" di Nunziatina
si può considerare in genere efficace, meno convincente
risulta invece l'uso del lessico meridionale per Wilhelm
(forse proprio in relazione al marcato alone mitico da cui
la sua figura è avvolta nella maggior parte del romanzo).
Lo spazio
Se si interpreta il senso dell'intreccio come un "percorso
iniziatico" che Arturo deve attraversare per approdare,
attraverso prove difficili e dolorose, all'età adulta, si
comprende perché nell'opera abbia tanta rilevanza lo
spazio in cui il percorso si compie e perché sia cosa
frequentemente usato un linguaggio spaziale per veicolare
le tematiche portanti del romanzo. Sebbene sia
precisamente descritto, lo spazio-isola tende fin
dall'inizio ad acquistare un valore metaforico, che
significativamente si accentua nei momenti chiave della
vicenda e poi al momento del commiato definitivo. L'isola
(topos letterario assai ricorrente) è il "luogo" solare
dell'infanzia, delle Certezze assolute, Eden felice e
inconsapevole, ma anche, nell'ideologia
utopistico-russoiana della Morante, il simbolo di una
civiltà non alienata e autentica. L'isola è fortemente
connotata come spazio chiuso, autosufficiente; essa è
dominata dal Penitenziario, luogo chiuso per eccellenza.
Ma la stessa «Casa dei guaglioni» è chiusa, prima alle
donne (Romeo l'Amalfitano) e poi a tutti. Nella visione di
Arturo solo il padre-eroe varca i confini dell'isola verso
un "altrove" fascinoso e leggendario. II "chiuso", come
sottolinea Venturi, nella tradizione epico-cavalleresca
cui scopertamente la Morante si richiama, è il luogo del
"sortilegio" e della magia (il Castello di Atlante, il
Giardino di Armida). Anche l'isola di Arturo è «ragnatela
iridescente», che attira «malefica e meravigliosa» il
ragazzo. L'allontanamento dall'isola-infanzia si
configura, nelle fantasticherie «eroiche» di Arturo, come
il varco di un limite, di una frontiera proibita («...
Avevo sempre rimpianto che, ai tempi moderni, non ci fosse
più sulla terra qualche limite vietato, come per gli
antichi le Colonne d'Ercole, perché mi sarebbe piaciuto di
oltrepassarlo io per primo, sfidando il divieto con la mia
audacia...»). Per Nunziatina invece, vincolata allo spazio
chiuso della casa (e in particolare della cucina), i
viaggi immaginari di Arturo si dispiegano in un "lontano"
minaccioso e irreale e persino l'atlante, che il ragazzo
consulta, è «libro delle Parche... trattato di magia
nera»). Le esperienze esistenziali che proiettano
dolorosamente Arturo fuori della «frontiera»
dell'infanzia, sono spesso espresse con un lessico
spaziale (e insieme cavalleresco): ad esempio il tentato
suicidio, viaggio-in-frazione oltre le supreme «Colonne
d'Ercole», in cui le pastiglie di sonnifero sono «monete
barbariche da pagarsi come pedaggio attraverso un ultimo
astruso confine» (cap. v, Le Colonne d'Ercole). Ma
soprattutto è presentato come un itinerario proibito il
percorso che porta Arturo, «funereo Cavaliere errante», a
varcare la soglia del Penitenziario, dove scoprirà
l'abbietto segreto del padre. La fine dell'inchiesta, pur
senza cancellare in lui l'amore, lo libererà per sempre
dal mito del padre e quindi dall'isola maliosa
dell'infanzia. Potrà così allontanarsi e rinnovare, nella
concretezza della vita adulta e della storia, la sua sfida
alla morte.