Parliamo di |
|
Autori
del Novecento italiano |
|
Guglielmino Grosser |
|
|
|
|
Il
neorealismo |
|
|
Il dopoguerra: bisogno
di impegno nel reale
Un'altra guerra e la caduta del fascismo sono i grandi
eventi storici che fanno da sfondo a un nuovo profondo
rivolgimento culturale e letterario. In questo caso, come
vedremo, il nesso con la realtà socio-politica è
direttamente determinante anche nell'elaborazione della
nuova poetica. In Italia nell'immediato secondo
dopoguerra, dopo l'esperienza della Resistenza, si fa
vivissimo negli intellettuali (soprattutto delle più
giovani generazioni) il bisogno di impegno concreto nella
realtà sociale e politica del paese. L'antifascismo
represso, prima, e poi l'adesione concreta o ideale al
moto di rivolta popolare e l'entusiasmo per la
riconquistata libertà, ma anche i problemi posti dalla
nuova condizione storica determinano in molti scrittori,
in larga misura schierati con i partiti della sinistra, la
volontà e anzi l'esigenza di considerare la letteratura
come una manifestazione e uno strumento del proprio
impegno (agiscono in questo senso anche modelli culturali
stranieri, come quello offerto da J.-P. Sartre). Esemplari
alcuni interventi in questo senso di Vittorini (e più
problematicamente di Pavese), che possono essere
considerati autentici documenti se non di poetica, almeno
del clima in cui la poetica neorealistica si andava
sviluppando.
Ma anche assai significativa di tale clima visto dalla
parte di uno scrittore è la testimonianza retrospettiva
(del 1964) di Calvino: «L'esplosione letteraria di quegli
anni fu, prima che un fatto d'arte, un fatto fisiologico,
esistenziale, collettivo. Avevamo vissuto la guerra, e noi
più giovani - che avevamo fatto appena in tempo a fare il
partigiano - non ce ne sentivamo scbiacciati, vinti,
"bruciati", ma vincitori, spinti dalla carica propulsiva
della battaglia appena conclusa, depositari esclusivi
della sua eredità. [...] L'essere usciti da un'esperienza
- guerra, guerra civile - che non aveva risparmiato
nessuno, stabiliva un'immediatezza di comunicazione tra lo
scrittore e il suo pubblico: si era faccia a faccia, alla
pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva avuto
la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari drammatiche
avventurose, ci si strappava la parola di bocca. La rinata
libertà di parlare fu per la gente al principio smania di
raccontare: nei treni che riprendevano a funzionare,
gremiti di persone e pacchi di farina e bidoni d'olio,
ogni passeggero raccontava agli sconosciuti le
vicissitudini che gli erano occorse, e così ogni avventore
ai tavoli delle "mense del popolo", ogni donna nelle code
dei negozi; il grigiore delle vite quotidiane sembrava
cosa d'altre epoche; ci muovevamo in un multicolore
universo di storie».
In questo clima profondamente mutato si spiegano anche i
giudizi assai severi che ora si formulano nei confronti
del decadentismo e dell'ermetismo: in generale si ripudia
la tendenza ad evadere in altre dimensioni (astratte,
fantastiche, metafisiche, ecc.) e in particolare si
rinfaccia all'ermetismo quella sua programmata astensione
dal confronto politico-culturale col fascismo, che ora
viene sentita come un'ambiguità colpevole. Tanto più che -
in coerenza magari con le ragioni più "metafisiche" del
loro impegno - la gran parte degli ermetici si era
astenuta anche dal partecipare alla Resistenza, mantenendo
anche in questo caso un atteggiamento di distacco e
isolamento, che pare ora perdere una parte delle ragioni
ideali che prima gli erano state attribuite. Gli stessi
ermetici, poi, cesseranno di costituire un gruppo omogeneo
e imboccheranno strade diverse, accogliendo anch'essi in
parte le istanze di una poesia civilmente impegnata (è il
caso di Quasimodo, ad esempio).
Questo diffuso e prepotente bisogno di impegno concreto
nel reale - oltre a ridursi in racconti e romanzi ispirati
alla Resistenza e alla vivace rappresentazione della
realtà dà luogo, sul piano della riflessione culturale, ad
importantissimi dibattiti che hanno per tema via via il
ruolo e i doveri degli intellettuali nella società, il
passato rapporto degli intellettuali col fascismo e quello
attuale col partito comunista, il rapporto tra creatività
artistica e impegno politico, tra ideologia e letteratura
e via dicendo. Le riviste costituiscono ancora una volta
il luogo deputato di questi dibattiti: e « Il Politecnico»
di Elio Vittorini si colloca subito in prima linea. In
questi stessi anni si diffonde la conoscenza del pensiero
gramsciano, che esercita un influsso considerevole
sull'elaborazione letteraria del secondo dopoguerra,
attraverso la sua riflessione sul ruolo degli
intellettuali nella storia italiana, la sua proposta di
una letteratura nazional-popolare in cui la tradizionale
separatezza tra intellettuali e popolo finalmente si
annulli, il suo ideale di intellettuale organico, ecc...
Alla scoperta dell'Italia reale
Sul piano della produzione letteraria e della poetica il
clima rievocato da Calvino e queste sollecitazioni
culturali si traducono in quella che viene definita la
stagione del neorealismo (alcuni dei suoi frutti migliori,
avvertiamo subito, sono nella produzione cinematografica
di registi come Rossellini, De Sica, Visconti, ecc.). Più
che di una corrente unitaria per il neorealismo si deve
parlare probabilmente di un «libero incontro di alcune
individualità ben distinte all'interno di un clima storico
comune, dotato [...] di una forte carica di entusiasmo e
di sollecitazione fantastica» (Asor Rosa). E questa è
anche l'opinione di Calvino, e di molti altri: «Il
"neorealismo" non fu una scuola. [...] Fu un insieme di
voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta
delle diverse Italie, anche - o specialmente - delle
Italie fino allora più inedite per la letteratura».
Tuttora valida appare, entro certi limiti, la definizione
che ne diede a caldo uno dei critici che guardarono con
più simpatia al movimento: «Il neorealismo in Italia è
sorto [...] come espressione di una profonda frattura
storica, quella crisi che fra il '40 e il '45 con la
guerra e la lotta antifascista, investì, sconvolse fino
alle radici e cambiò il volto all'intera società italiana.
Il neorealismo si nutrì, quindi, innanzi tutto di un nuovo
modo di guardare il mondo, di una morale e di una
ideologia nuove che erano proprie della rivoluzione
antifascista. In esse vi era la consapevolezza del
fallimento della vecchia classe dirigente e del posto che,
per la prima volta nella nostra storia, si erano
conquistate sulla scena della società civile le masse
popolari. Vi era l'esigenza della scoperta dell'Italia
reale, nella sua arretratezza, nella sua miseria, nelle
sue assurde contraddizioni e insieme una fiducia schietta
e rivoluzionaria nelle nostre possibilità di rinnovamento
e nel progresso dell'intera umanità. [... Il neorealismo]
si presentò così come arte impegnata contro l'arte che
tendeva ad eludere i problemi reali del nostro Paese;
contrappose polemicamente nuovi contenuti (partigiani,
operai, scioperi, bombardamenti, fucilazioni, occupazioni
di terre, baraccati, sciuscià, segnorine) all'arte della
pura forma e della morbida memoria [...]; cercò un
mutamento radicale delle forme espressive che
sottolineasse la rottura con l'arte precedente e potesse
esprimere più adeguatamente i nuovi sentimenti; si pose il
problema di una tradizione di arte autenticamente
realistica e rivoluzionaria a cui riferirsi, scavalcando
le esperienze decadenti dell'arte moderna» (Salinari).
Poetica e ideologia
Ma proprio per questi stessi motivi - a parte ogni
giudizio sugli esiti artistici, in molti casi mediocri la
poetica del neorealismo, da un punto di vista tecnico e
formale, appare assai povera e priva sostanzialmente di
elementi innovatori: il suo significato e la sua ragion
d'essere sono essenzialmente culturali e ideologici, nel
senso di una ridefinizione dei compiti etici e politici
della letteratura. Su questa base si spiegano molti dei
rifiuti e delle scelte culturali degli scrittori. Ad
esempio pare significativo, da parte di molti
intellettuali, il rifiuto in blocco del decadentismo e
delle sue poetiche e tecniche particolari (per non parlare
delle poetiche delle avanguardie) in quanto arte della
borghesia in decadenza morale e politica; un «perniciosissimo
cordone sanitario intorno a tutte quelle tendenze
decadenti e avanguardisti che, che non potevano farsi
rientrare nello schema del `realismo"» lo definisce l'Asor
Rosa. Ma significativa, nella celebre polemica
sull'indirizzo politico-culturale del «Politecnico» che
vide partecipare fra gli altri Alicata e Togliatti da un
lato (ai quali si può attribuire il precedente punto di
vista) e Vittorini dall'altro, appare anche l'accettazione
da parte di quest'ultimo dell'arte del decadentismo in
quanto rappresenta l'«autocritica della borghesia», perché
«rivela vergogna e disperazione d'esser borghesi» e perché
le si può quindi attribuire la qualifica di «arte
rivoluzionaria» (e non nel senso specificamente
letterario, tecnico-formale del termine). Attorno a questi
temi e questi dibattiti si gioca anche la sopravvivenza
del concetto di autonomia della letteratura, che era stato
- ci pare - tra i più significativi apporti della stagione
del decadentismo e che le prese di posizione più
dogmatiche, più conformi allo zdanovismo e alla teoria del
realismo socialista mettevano in discussione e
pretendevano nella sostanza di negare (il cosiddetto
"realismo socialista", ispirato alle teorie di A.A. Zdanov,
in sintesi è la rappresentazione in termini positivi e
politicamente costruttivi della realtà delle masse
popolari impegnate o nella rivoluzione o nella costruzione
della società socialista). Nonostante l'acutezza del
giudizio di Vittorini e la sua grande importanza nel
contesto storico particolare, in quanto difesa
dell'autonomia della ricerca intellettuale e rifiuto di
ogni ingerenza diretta della politica di partito nella
produzione artistica, esso egualmente rivela come la
pregiudiziale ideologica nel parlare di letteratura anche
in uno dei più aperti intellettuali del tempo fosse forte.
Non bisogna quindi stupirsi se, nel clima culturale del
secondo dopoguerra, con le sue aspirazioni e le sue
tensioni, la poetica e la pratica del neorealismo
risentono anche pesantemente di un condizionamento
ideologico e politico, che nella produzione deteriore del
movimento, per ambiguità e scarsa lucidità intellettuale,
finisce con lo sfociare nel fenomeno del populismo (una
rappresentazione idealizzata e sovente acritica del mondo
popolare come mondo depositario di tutti i valori
positivi, che per malinteso ideologismo o per fini di
propaganda contravveniva proprio a quella esigenza di
analisi della realtà che muoveva gli spiriti più vigili
del movimento).
Modelli, temi, forme espressive
Queste istanze nel loro complesso indirizzano gli
scrittori e i teorici a riallacciare i legami con una
tradizione narrativa realistica viva anche negli anni
Venti e Trenta ma trascurata o sottovalutata (da Svevo a
Borgese, da Moravia al minore Bernari) e più ancora a
privilegiare una letteratura, un'arte e una poetica che
hanno le loro radici nel realismo ottocentesco,
predecadente, o in modelli stranieri (ad esempio la
letteratura americana diffusa e propagandata già in epoca
fascista da Vittorini, da Pavese, dalla Pivano e da
altri). Ma è necessario subito precisare che rispetto alla
poetica del naturalismo e del verismo viene ora a mancare
ogni presupposto scientista. Si tende a privilegiare e a
teorizzare il «rispecchiamento» (Lukàcs) della realtà, in
pratica risolvendolo e riducendolo in una rappresentazione
documentaria della realtà storico-sociale, o volgendolo ad
una rappresentazione a seconda dei casi epica o (con
diverso grado di compromissione nei confronti della
letteratura decadente) epico-lirica, mitico-lirica, talora
di denunzia, talaltra celebrativa. Il bisogno di una
«celebrazione», di un epos della Resistenza, magari
attraverso un impianto memorialistico, è del resto una
delle ragioni che muovono molti scrittori che a quel moto
parteciparono o che lo condivisero idealmente. E il moto
resistenziale è uno dei soggetti più frequentati dai
narratori. Le forme espressive e i generi privilegiati
sono il documento, la cronaca, la testimonianza personale,
la memorialistica; lo stesso romanzo d'invenzione assume
sovente queste forme. Si fa anche strada, sulla scorta
dell'esigenza di una letteratura realisticamente
documentaria e di una letteratura nazional-popolare, la
tendenza a utilizzare un linguaggio semplice, disadorno,
antiletterario (rifiuto ulteriore della retorica di
regime, e di tutti i modelli letterariamente sofisticati
d'anteguerra, dalla ridondante e copiosa prosa
dannunziana, al calligrafismo rondesco, alle rarefazioni
simboliste ed ermetiche), sovente ispirato alle parlate
reali e in particolare al dialetto che per la prima volta
fa la sua comparsa sistematicamente nella prosa narrativa
di tipo realistico. Lo stesso ideale gramsciano di una
letteratura nazional-popolare, ad esempio, indirizza ad
una concezione della letteratura apertamente comunicativa
e comprensibile per tutti gli strati della popolazione,
che diventa presso molti critici una sorta di imperativo
categorico: «Ci sono certo oggi molti giovani scrittori (e
alcuni di gran rilievo) che cercano di trasferire nelle
loro pagine le sofferenze e le speranze delle grandi masse
popolari italiane, ma che continuano a parlare una lingua
astratta, culturalistica [...]. Per queste e per altre
simili strade non si arriverà, secondo noi, né oggi né
mai, a costruire una letteratura nazionale e popolare. Il
contatto col popolo, in arte, si stabilisce in primo luogo
con la lingua: che è il veicolo, in arte, della verità, o
della contraffazione, della falsificazione della verità» (Alicata).
Il rischio, spesso tradotto in atto, di questa
inclinazione al nazional-popolare era, come ha mostrato l'Asor
Rosa, oltre che di subordinare l'arte alle esigenze di
partito, quello di «dare ampio spazio [...] ai naturali
umori provinciali dei letterati italiani». E in effetti il
neorealismo - se si escludono alcuni grandi scrittori che
possono essere compresi solo marginalmente nell'ambito del
fenomeno, tra cui ad esempio Pavese - fu in definitiva
anche un moto di riprovincializzazione della narrativa
italiana.
|
|
|
|