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Nostra
dea - Vita e morte di Adria e dei suoi figli |
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NOSTRA DEA Commedia
in tre atti di Massimo Bontempelli (1878-1960), il terzo
dei suoi lavori teatrali, scritta nel 1925, rappresentata
nello stesso anno al Teatro degli Undici, con la regia di
Luigi Pirandello e pubblicato a Milano sempre nel 1925.
Alla base di questa commedia, come spesso in altri lavori
teatrali di B., si ritrova un'invenzione, uno scherzo
assurdo e paradossale. Ma Dea, la donna che cambia essenza
a ogni mutar di vestito, riesce non solamente un astratto
simbolo della nervosa ed equivoca femminilità
novecentesca, bensì una mutevole creatura umana che
provoca, a seconda dei suoi diversi stati d'animo, diverse
e sottili reazioni negli uomini che incontra e affascina.
Attraverso questa duplice figurazione di Dea la commedia
passa dai toni caricaturali e gai a quelli concitati e
poetici del febbrile monologo di Vulcano, il ruffiano
dilettante della donna straordinaria, che giunge con
disperata fatuità a dichiarare il suo amore non alla
donna, ma al guardaroba di quella fantomatica creatura,
innamorato com'è, non di una donna sola, che non sa
neppure distinguere, ma di mille donne, rappresentate dai
vestiti di quell'unico mistero inesistente che è Dea. Le
figure di Nostra Dea, però, al pari che di altri drammi
bontempelliani, non sono psicologicamente svolte, bensì
fissate una volta per sempre, anche quando, come nella
protagonista, mutano a ogni mutar di vestito. Mario
Alicata
VITA E MORTE DI ADRIA E DEI SUOI FIGLI
Romanzo di Massimo
Bontempelli (1878-1960), pubblicato a Milano nel 1930.
L'affascinante Adria ha raggiunto cinque anni prima
dell'inizio del racconto la perfetta bellezza e ha
stabilito "come suo dovere sacro di dedicarvisi tutta". Da
questo istante essa acquista della propria bellezza "quel
senso religioso che la fa intendere quale un dovere e un
alto sacrificio", e crea senza frivolezze e ambizioni
tutto il complesso rituale del proprio culto. Anche il
marito e i figli, Tullia e Remo, sono chiamati alla
celebrazione di questo culto, e possono avvicinare la
madre soltanto una volta la settimana, e senza espansioni
affettive. Partecipa alla loro adorazione un unico
innamorato, Guarnerio, designato a questo ufficio dal
destino. Ma durante un ballo, questi, come folgorato
dall'amore per Adria, impazzisce e uccide due persone,
provocando una frattura nel ritmo austero e miracoloso che
la protagonista aveva creato intorno a sé. Cinque anni
dopo, Adria incontra il figlio di uno degli uomini uccisi
da Guarnerio e, turbata, acquista improvvisamente nozione
del tempo trascorso, sente che il proprio mito non deve
essere intaccato dagli anni che sopravvengono a far
sfiorire la sua bellezza e decide, prima che il declino
incominci, di ritirarsi lontano, di sottrarsi per sempre
agli sguardi di tutti. Parte quindi per Parigi dove ha
scelto la sua dimora, e Remo e Tullia, rimasti a casa col
padre, scelgono anch'essi la loro via: Remo parte per la
Germania a studiar musica, Tullia entra in un collegio,
mentre il padre muore improvvisamente nella solitudine.
Passano gli anni, e mentre Remo non dà più notizie di sé,
fra Tullia e Adria nasce, attraverso uno scambio di
lettere, una nuova consuetudine di affetto, grazie alla
quale Tullia crede di poter vedere, almeno una volta, la
madre: ma questa, sempre ferma alla propria decisione,
rifiuta l'incontrarla. Scoppia la guerra, e Tullia,
durante un'ardita azione in terra nemica, viene fucilata
come spia: secondo la profezia della madre ella ha fatto
nella vita "qualche cosa molto bella". Remo è ora a
Marsiglia: e qui un giorno è beffeggiato da un suo
compagno di vizio, mentre contempla il ritratto di Adria
che Tullia gli aveva fatto pervenire prima di essere
fucilata. Lo uccide, ed è costretto a fuggire, assumendo
l'identità del morto che era implicato nella tratta delle
minorenni. Scompare così, definitivamente, dal mito di
Adria. Questa è l'ultima a morire, nell'incendio da lei
stessa appiccato alla casa quando giunge il termine
fissato dalle autorità per lo sgombero della zona che deve
essere demolita. E - dice l'A. - "come niente fu trovato
del suo corpo, così temo che nell'incendio dell'ultima
notte di settembre, sia di lei morta anche l'anima". Il
romanzo, lucido in una sua estrosità inventiva, appare
agli occhi dei lettori di oggi come una delle più belle
favole metafisiche dell'A. E, anche se legato all'aura
magica del novecentismo, mantiene un suo ritmo efficace di
immagini che ne sono il frutto stilistico migliore. Le
varie ristampe confermano l'interesse del pubblico anche
di là dalla testimonianza letteraria, fondamentalmente
polemica e di natura intellettualistica. Mario Alicata
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