Letteratura italiana: Analisi del Novecento

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È la prima raccolta complessiva degli scritti "non politici" di Piero Gobetti (1901-1926), pubblicata a Torino nel 1927, a cura di Santino Caramella, presso le "Edizioni del Baretti". Il primo volume comprende saggi e articoli di "arte, religione e filosofia", il secondo di "teatro, letteratura e storia". La sezione "arte" risulta eminentemente da un taccuino di appunti sulla pittura moderna, in parte composto durante un soggiorno a Londra: forse il testo più rilevante è quello sulla "poesia di Gainsborough". Gli scritti di religione e filosofia si accentrano sui due maggiori interessi teoretici di Gobetti, che lo portarono alla valutazione del modernismo, da un lato, e dall'altra dell'idealismo italiano. Aveva tradotto egli stesso Laberthonnière, e qui è ripubblicata la sua prefazione a Il realismo cristiano e l'idealismo greco insieme a un saggio su Blondel, del quale vedeva sia la concreta conquista della soggettività e universalità dell'azione, sia la "opzione mistica", che, secondo Gobetti, lo riportava al di qua di Hegel. Gli studi sul cattolicesimo proseguono con un'analisi del pensiero di Toniolo, del quale Gobetti sottolinea la scarsa pertinenza di economista, e dell'azione di Filippo Meda, in Italia, come soluzione pratico-empirica all'esigenza dell'inserimento dei cattolici nella politica italiana. Gobetti affronta daccapo i problemi della pubblicistica cattolica nello scritto seguente, su "La nostra cultura politica" (ancora Meda e Miglioli), dove ritiene di coglierne, in Sturzo, uno scioglimento drammatico: "svegliando coscienze individuali, suscitando impulsi autonomi, egli opera come un liberale, e non sa più egli stesso fermarsi a mezza strada: il messianico del riformismo pratico servirà alla Chiesa o allo Stato? Il riformista del messianismo resterà cattolico o seguirà la logica del libero esame?". Una Conclusione che anticipa il dualismo intrinseco a tutte le "democrazie cristiane" del secondo dopoguerra. Nello stesso tempo, Gobetti manda innanzi non solo la definizione del suo rapporto con Salvemini, ma in particolare con l'idealismo, Croce e Gentile. L'uno e l'altro gli appaiono in questi scritti (seguiti da altri profili: di Cattaneo, di Mosca, giù fino ad Amendola) nella indissolubilità delle rispettive posizioni filosofiche e politiche. In Croce, Gobetti vede soprattutto il "liberale europeo", e perciò la fondazione genuina di un antifascismo, rivelatosi tuttavia abbastanza tardi; di Gentile, che senza dubbio lo aveva interessato profondamente per il suo soggettivismo attivistico, viene via via scoprendo l'impronta spaventiana come un limite alla formazione di una metodologia della concreta indagine storico-politica, e il settarismo (c'è la rievocazione di un colloquio: "il Gentile mi rispose con la simpatica grettezza di un pastore protestante") che doveva già immedesimarsi con il lealismo fascista. Da questi scritti emerge forse come più significativa la definizione del gobettismo come "illuminismo", nel breve saggio così appunto intitolato. Nel II volume, la prima sezione, di "storia e critica del teatro contemporaneo", costituisce un complesso di materiali che integrano la Frusta teatrale con studi particolarmente notevoli su Pirandello (quattro paragrafi), Ibsen, Bracco, Lodovici. La conclusione sul teatro italiano è paradossale e amara: il teatro italiano non esiste. "Pirandello è sicuro di essere diventato il poeta di una nuova civiltà, il relativismo; gli hanno fatto inventare il teatro della doppia verità, più antico di Shakespeare. È vero che alla sua sveltezza di siciliano è riuscito talvolta, specialmente nei Sei personaggi, di trovare toni modernissimi di "poeta della dialettica", ma questo è un giuoco troppo arrischiato e sottile perché giovi ripeterlo... Tolto alla sua malinconia incolta, patetica e agreste, portato in mezzo ai problemi contemporanei che non intende, Pirandello si è fatto futurista e profeta di dinamismo; il suo dialogo è diventato polemico, giornalistico e spoglio di candore, e il suo mondo si è popolato di sradicati e di giocolieri". La sezione di "letteratura" ha riferimento solo a contemporanei, dalla Voce (Boine, Prezzolini, Slataper) ai futuristi (Marinetti), più il bel profilo di un "accademico ribelle" (il germanista Farinelli) e alcune altre figure della cultura torinese: Sibilla Aleramo, Barbara Allason e Augusto Monti. La pagina finale, sull'"untuoso" Ojetti, che "si studia di farsi sopportare dai potenti", rende più evidente, nell'antitesi, il quadro, anche non voluto, della Torino seria e ardente del primo dopoguerra, in una parola proprio la Torino gobettiana. L'ultima serie degli scritti, "Considerazioni sul tempo presente", dà anche la misura eccezionale di G. giornalista. C'è qualcuno dei suoi famosi "attacchi": "Rosa Luxemburg è in Svizzera, esule, non ancora ventenne: dame hystérique et acariâtre, la insultano i suoi compagni socialisti polacchi..."; qualcuna delle sue "scoperte" di inviato, quando a Londra, al centro della "Little Italy" di Saffron Hill, lo scandalizza una targa, "George Penvary Engineer": "male si nasconde questo Giorgio Pennavaria, che tra sé e i suoi compagni di emigrazione ha cercato di mettere le sue risorse di uomo furbo"; e infine la sua rapida, ultima illustrazione di quanto resta ancora, nell'Italia ormai fascista, del fecondo illuminismo del suo Piemonte, risalutato in "Visita a Edoardo Giretti".
Umberto Segre

 

Luigi De Bellis