Analisi opere di Giovanni Papini

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Parliamo di

  Letteratura italiana del Novecento
Autore recensione
Giorgio Bàrberi Squarotti

 


Opera prima
 

Venti poesie pubblicate a Firenze nel 1917, e seguite, nella prima edizione, dagli "Appunti sulla poesia" in cui l'autore difende la propria poetica. Raccolgono un inventario abbastanza completo dei temi e dei modi del Papini poeta: un discorso ora concettuale, ora descrittivo, in un ritmo privo di estenuazioni musicali, volutamente dissonante, fatto di acutezze lessicali (termini filosofici o violente chiazze di colore dialettale toscano). Soprattutto nelle poesie di intonazione discorsiva, sorrette da un'ironia un po'spavalda, e, qua e là, da improvvise complessità di concetti, si avverte il tardo romanticismo papiniano, con il suo gusto per le avventure spirituali, il suo atteggiamento antiborghese, il suo egocentrismo. La "Seconda poesia", la "Quarta" (che descrive l'ironica aspirazione a una morte anonima secondo un modulo crepuscolare, subito negato dall'affermazione di sé, inevitabile anche nell'attimo in cui dichiara: "vorrei, di nottetempo, piano piano, / lasciar di nascosto la storia del mondo"), la "Settima", la "Decima" (in cui si incontra l'autodefinizione: "sono un falcaccio di poche parole. / Sperpero la mia vita a modo mio"), sono, di questo aspetto della lirica papiniana, prove singolarmente rivelatrici. Più belle le poesie descrittive: vi spicca una campagna toscana netta e precisa, dai colori accesi, dalle figure di case, alberi, persone, stagliate in una luce fissa, in una durezza asprigna (si vedano la "Terza poesia", la "Quinta", sorretta da un vigore di apprensioni dei sensi raro in Papini, l'"Ottava", soprattutto l'"Undicesima", che ha l'incisività di un quadro macchiaiolo, la "Sedicesima" e la "Ventesima", di preziosa e intensa misura). Senonché Papini non riesce mai a dimenticarsi negli oggetti: di qui l'eccesso di intellettualismo che finisce per sciupare anche i paesaggi più efficaci, esprimendosi come demone di una lingua toscana ripetuta nelle sue forme più rare con un'insistenza da dialettologo e vocabolarista, e solo raramente da espressionista felice di colori e forme violente. Del tutto minori i versi di memoria giovanile come la "Quindicesima poesia", o di contemplazione cosmica come la "Nona", o di confessione disincantata e letteraria come la "Diciannovesima", dove si avverte il peso dell'influsso simbolista ("Son l'antico marino degli antichi velieri / che indovina al colore monsoni ed alisei"), privato però di autentica fede nell'immagine nuova. Opera prima è stata in seguito ristampata, insieme a Pane e vino, con il titolo Poesie in versi.

 

Luigi De Bellis