TEATRO
Il
teatro di Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) è già "in
nuce" nel "Manifesto del teatro futurista sintetico",
pubblicato nel 1915 (Futurismo). Tale teatro è il logico
prolungamento della sua concezione dell'arte, riflesso
teorico, a sua volta, del suo temperamento artistico:
Marinetti è "parolibero" a teatro come nella sua lirica.
Come nella lirica e nel romanzo il "paroliberismo" è lo
sforzo che fa lo spirito per sfracellare ogni preconcetto
ordinamento grammaticale sintattico e metrico, per
adeguarsi all'onda fluente, allo slancio vitale della Vita
immediata, sentita come successione di qualità sempre
nuove, come urto ed equilibrio di energie in continuo
movimento, come tumultuare di violente sensazioni
infinitamente molteplici tra le quali si stabiliscono per
un attimo le più imprevedute relazioni, così il "Teatro
futurista sintetico" è lo sforzo per sfracellare ogni
preconcetto ordinamento e schema scenico e per adeguarsi
alla Vita, sentita anche qui come flusso vitale
perpetuamente rinnovantesi e che si svolge al di là di
ogni logica concatenazione. Alla laboriosa combinazione
dell'intreccio o "azione", assurda perché "la realtà ci
vibra intorno assalendoci con raffiche di frammenti di
fatti combinati tra loro, incastrati gli uni negli altri,
confusi aggrovigliati caotizzati", succede la
stilizzazione della vita in "gesti" culminanti,
definitivi, essenziali. Ai laboriosi sviluppi psicologici,
l'"atmosfera" in cui il dramma cova e finisce poi per
scoppiare in un grido o in un gesto elementare. La
soppressione di ogni logica e verosimiglianza permetterà
il passaggio rapido dal piano della realtà al piano della
fantasia, dal piano dell'esistenza al piano del sogno,
l'intersezione e l'interferenza dei due piani, la
reintroduzione del simbolo (inteso come realtà sensuale,
fisica, che ne richiama un'altra o vi si sostituisce), e
tutto il gioco delle simultaneità temporali e spaziali
variate all'infinito, unico mezzo per dare allo spettatore
la sensazione fisica dell'ondeggiante complessità della
vita. Il personaggio cesserà di essere quel tale e tal
signore, così e così fatto, definito una volta per sempre
e tutto in una volta, cesserà di essere un "carattere":
incarnazione della mutevole Vita, concepita come alogico
flusso di qualità in eterno divenire. La lista dei
personaggi si allargherà fino a comprendere signori ignoti
all'antica drammaturgia animale, vegetali, minerali, cose
inanimate naturali o artificiali, onde anch'esse della
Vita infinita, che in certi momenti e condizioni palpitano
di un'anima oscura e misteriosa, acquistano significato,
entrano a far parte del dramma. Parole, gesti, atti,
svolgendosi sopra un piano diverso da quello comune e
banale, possono essere strani, inusitati quanto si vuole,
purché siano carichi di significato concentrato ed
esplosivo. E si cercherà sempre la "sorpresa", la sorpresa
a ogni costo, perché la sorpresa - pensa Marinetti -
spezzando la crosta superficiale della Vita, Vita
banalizzata e cadaverica, ci dà il senso della Vita
perennemente vergine e nuova. Artisticamente non si tratta
che di tentativi non del tutto riusciti, ma, intanto,
essi, fin dal 1915, hanno operato come efficace fermento
dissolutivo di un mondo drammatico sopravvissuto a se
stesso, e privo di ogni ragione di vivere. Con quelle
bizzarrie si opponeva al vecchio dramma psicologico alla
francese, matematico sviluppo di dati contenuti in
premesse inizialmente poste e che tutti avevano capito fin
dal principio che se ne sarebbero svolti, l'esigenza che
il teatro fosse qualcosa di più e di meglio che la
paziente e gelida analisi della vita interiore. Non arte
effettuale, ma esigenza di arte nuova: l'importanza e il
significato del "teatro futurista sintetico" è tutto qui.
E come presa in giro e parodia del teatro verista e
psicologico che si faceva prima della guerra, bisogna ben
riconoscere che alcuni dei suoi esperimenti sono riusciti
e hanno toccato il segno. E se non avesse avuto altro
effetto che di spianare la via a Pirandello, il "teatro
futurista sintetico" non sarebbe passato invano sulle
scene italiane. Tralasciamo di parlate di Re Baldoria,
rappresentato a Parigi nel 1909 col titolo di Roi Bombance,
e delle "sintesi" pubblicate nel Teatro sintetico
futurista (1916) e in Elettricità sessuale (1920), opere
nelle quali di teatrale non c'è che la forma dialogica, e
restringiamoci a parlare solo dei lavori di Marinetti
rappresentabili e di fatto rappresentati. Nel Tamburo di
fuoco, rappresentato a Milano nel 1922, il filo del dramma
non è che un pretesto a uno sfoggio magnifico e sontuoso
d'immagini multicolori e multisone, riempite di una
vibrazione energica che le prolunga e le sorpassa, e ne fa
un momento non di passività docilmente accettata, ma di
vita intensa dello spirito. Nei Prigionieri, dramma in
otto sintesi, rappresentato a Milano, nel 1927, è il senso
nostalgico della impossibile libertà umana negata e
distrutta dalle prigioni in cui la Vita si compiace di
chiudere tutti gli esseri, è l'erotismo insaziato e la
noia di un'esistenza sempre uguale che tormenta i
prigionieri, è l'atroce lezzo della vita promiscua, il
balenare della pazzia, l'incubo della morte che passa.
Vulcani, dramma in otto sintesi, rappresentato nel 1927, è
un'esaltazione del vulcano dalle rosse vampe e
dall'ardente lava, cioè della vita intensa, dinamica,
torrenzialmente straripante oltre ogni argine e diga, ma
che pure la Scienza e la Religione riescono a fermare.
L'Oceano del cuore è un contrasto fra anime estranee,
chiusa ciascuna nel suo mondo interiore, impenetrabile e
impermeabile ai mondi in cui sono chiuse le altre. Questi
ultimi quattro drammi di Marinetti, come già i suoi
precedenti esperimenti di "Teatro Sintetico", non
superano, in genere, il livello di tentativi solo
parzialmente realizzati. Soprattutto in Prigionieri v'è
qualche bel quadro intensamente suggestivo, ma bisogna
riconoscere che, nel complesso, queste sintesi
drammatiche, sintetiche nel particolare, lo sono assai
poco nel tutto, e che, perciò, nonostante la brevità
materiale, riescono nel fatto prolisse. Le belle immagini
marinettiane, calde e sanguigne, polpose e carnali,
abbondano, ma non mancano nemmeno le immagini rutilanti
che abbarbagliano e non illuminano, suonano e non creano.
Appunto anche più grave: la modernità di questi drammi è
tutta superficiale ed esteriore, tutta fatta di trovate
sceniche, ma ciò che davvero importa, il fondo di
sentimenti e di passioni, ove se ne tolga una furibonda ed
esasperata sensualità e sessualità, non esce dai limiti
dell'umanità normale e passatista. L'esigenza profonda che
è al centro del teatro marinettiano: al teatro costruito
sostituire elettriche folgorazioni sceniche, al teatro
architettonico sostituire il teatro lirico, non è
pienamente realizzata. Egli ha lavorato soprattutto per
altri. Adriano Tilgher
POESIA
Rivista di letteratura fondata a Milano nel 1905 da
Filippo Tommaso Marinetti, Sem Benelli e Vitaliano Ponti e
pubblicata fino al 1909. La collocazione cronologica di
Poesia, a immediato ridosso della pubblicazione del
"Manifesto" marinettiano, potrebbe legittimarne una
lettura in chiave prefuturista: in realtà, la rivista di
Marinetti è il documento di un esercizio antologico
pochissimo tendenzioso e in più d'un caso indiscriminato
delle esperienze poetiche italiane e straniere più
recenti. Se si pensa che il primo numero ospita versi
inediti di D'Annunzio e di Paul Adam, e lettere di
consenso all'iniziativa editoriale marinettiana di
Pascoli, di Guido Mazzoni e di Giovanni Marradi, risulterà
chiaro quanto sia incerto, in Poesia, il confine tra
"passatisti" e "futuristi" sia pure potenziali. Accanto ad
Ada Negri, ad Alfredo Oriani, a Sem Benelli, scrivono
sulla rivista alcuni dei poeti più originali della nuova
generazione, da Guido Gozzano ad Aldo Palazzeschi, o
autori stranieri quali Frédéric Mistral, Paul Claudel,
Jean Cocteau; né mancano significative anticipazioni di
scrittori che saranno molto vicini al Marinetti futurista,
da Paolo Buzzi a Luciano Folgore. Tra le varie inchieste
promosse da Poesia (una delle quali riguarda la bellezza
della donna), particolarmente importante è quella che ha
per oggetto il "verso libero", cui Marinetti attribuisce
una funzione radicalmente innovativa rispetto agli
istituti poetici della tradizione. Di particolare
interesse e il ruolo assolto in quest'ambito da un
collaboratore di Poesia eccezionalmente "autonomo", Gian
Pietro Lucini, che proprio alla Ragion poetica e programma
del verso libero dedica nel 1908 quello che può essere
legittimamente ritenuto il suo più significativo
contributo teorico.
Franco Contorbia
MAFARKA IL FUTURISTA
Romanzo pubblicato in francese a Parigi e in italiano a
Milano, nella trad. di Decio Cinti, nel 1910. Narra le
avventure di un eroe africano, il giovane re
Mafarka-el-Bar, il quale dopo aver sbaragliato in
battaglia gli eserciti dei Negri che assaltano la sua
città, non sazio di affermare la sua sete di vita in
molteplici avventure, vuol superare la bassura della
materia, e per consolare il dolore della madre che
nell'Ipogeo piange la morte in battaglia dell'altro figlio
Magamal, lottando contro tutte le leggi naturali genera,
senza il concorso della donna, il figlio Gazurmah, eroe
alato, in cui trasfonde la sua vita e il suo slancio verso
la libertà senza limiti. Il romanzo, il primo del
Marinetti, rimane la sua migliore opera in prosa ed è
anche quella che nell'esaltazione della sensualità
dilatata fino all'eroismo e rivestita di volontà di
potenza, mostra più scopertamente la filiazione del
Futurismo dal dannunzianesimo, di cui, come è stato detto,
è a un tempo il prolungamento e il rovesciamento.