Letteratura italiana: Analisi del Novecento

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Parliamo di

  Opere di Vitaliano Brancati
Analisi opere
 1 Il bell'Antonio
2 Diario romano
3 Paolo il caldo
4 Il vecchio con gli stivali
5 Don Giovanni in Sicilia

 


Paolo il caldo
 

Romanzo pubblicato a Milano postumo e non del tutto finito nel 1955, con una prefazione di Alberto Moravia. È la biografia del barone Paolo Castorini, la cui vita si svolge tra una torrida Catania e la Roma corrotta, come a dire tra la sensualità innocente e la lussuria malata: la causa che lo sbalza da Catania a Roma è la morte del padre, Michele, la quale per un risucchio di affinità di temperamento butta la madre, Marietta, nelle braccia del cognato Edmondo. Il motivo che, muove il romanzo è la dicotomia operante nel profondo di Paolo, conteso tra la passione avvolta nell'incandescente materia della vita e la legge della ragione che invece si nutre di meditazione morale, di esame di coscienza. Con uno spunto felicissimo, tale dicotomia è operante sulla base di una legge mendeliana, e quasi incarnata, nel nonno - magnifico personaggio, barocco la sua parte, di una vitalità che trabocca avvampante da ogni lato - e nel padre, che è "saggezza, cogitazione e religiosità", e di proposito si richiama all'esemplare leopardiano, alla felicità della ragione (inutile dire che in Paolo prevale e rivive il nonno). A completare questo "salto" mendeliano, mentre sui quarant'anni la stanchezza della carne sembra lentamente rifluire verso una sorta di emaciazione spirituale dove "la parola io si disegnava con un'ombra di D davanti", l'ironia vuole che Paolo s'innamori davvero e sposi una ragazza che poi gli si rivela anemica e di una dolcissima frigidezza. È insomma il ritorno del padre nella sua vita: se per un momento Paolo aveva sperato che la felicità dell'amore fosse l'inizio di una vita, anche letterariamente feconda e onesta, la delusione lo fa sprofondare di nuovo a un livello ormai irredimibile di lussuria, in un reciproco aizzarsi di rimorso, vergogna e desiderio, dove il tormento così sterile della voluttà ricorda gli accenti di Baudelaire, specialmente quello dei diari intimi (Il mio cuore a nudo). Una nota stampata alla fine del libro, e tratta dalle ultime disposizioni dell'Autore, dichiara che il romanzo avrebbe dovuto avere ancora due capitoli, "nei quali si sarebbe raccontato che la moglie non tornava (più) da Paolo ed egli, in successivi accessi di fantastica gelosia, si aggrovigliava sempre di più in sé stesso fino a sentire l'ala della stupidità sfiorargli il cervello". Alla fine, tutto il romanzo appare riportato al motivo dell'aculeo del cattolicesimo confitto entro la massa di un'islamica carnalità che non riesce mai ad appagarsi. È l'impossibile distinzione, traversante tutto il romanzo, tra l'innocente sensualità e la consapevole lussuria: una variante e forse la maschera dell'impossibile affrancamento dalla ossessione sessuale. Ma questo feroce determinismo è soltanto il segno di una crisi non confessata nei suoi principi, il crollo di un mondo morale e religioso il cui residuo fermentando aveva già provocato il giuoco dialettico pirandelliano e inasprito la generazione dei Rubé. Tale motivo, basso continuo ideale da cui Brancati non poteva svincolarsi, trova nel romanzo una spasimata compiutezza artistica. Un certo barocchismo mescolato di motivi decadentistici, un serpeggiare di comico che ha le sue punte crudeli (le beghe letterarie o la mondanità di Roma, la telefonata alla sarta con le interferenze continue), scoppi di intelligenza più incisiva (l'arrovellio sociale del nostro tempo diviso tra il culto della vita collettiva e l'odio per le termiti sociali così proliferanti tra loro), sono alcune tra le note salienti del romanzo.
Artal Mazzotti

 

Luigi De Bellis