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Quasi
una vita |
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Diario di Corrado Alvaro (1895-1956),
pubblicato a Milano nel 1950, copre gli anni tra il 1927 e
il 1947, e gli fa seguito, per gli anni tra il 1948 e il
1956, Ultimo diario, edito ancora a Milano nel 1959. I due
libri costituiscono una sintesi delle riflessioni e dei
temi tipici dello scrittore; non si tratta dunque di un
diario privato o di una autobiografia, ma di una "raccolta
di appunti che dovevano servire per me, per i racconti, i
saggi, le opere che avrei scritto un giorno, che tuttavia
spero mi sia dato il tempo e la lena di scrivere". Perciò,
più che contenere pensieri di interesse pubblico, o almeno
concepiti in rapporto a fatti non soltanto privati, queste
pagine si soffermano soprattutto sui particolari "di fatti
veduti o sentiti riferire da persone informate e da
testimoni, o aspetti di ore e di giorni" e danno appena un
cenno di avvenimenti più grandi. Proprio in questi limiti
risiede una delle caratteristiche più originali
dell'opera, la quale si presenta come la testimonianza di
un moralista sull'importante periodo storico che,
attraverso il fascismo e la guerra, ha condotto l'Italia
alla ripresa della democrazia e al risveglio economico.
All'Alvaro,
che non prescinde mai dall'unità della persona singola
intesa come centro fondamentale di ogni fenomeno di vita,
interessano di un regime politico specialmente i riflessi
sul costume e sulla coscienza individuale. La sua
attenzione si rivolge contemporaneamente alla società e al
singolo, ma a quella per concentrarsi su questo, in
quanto, al di là di ogni condizionamento operato dalla
storia politica, egli giudica la coerenza di un'epoca
soprattutto da come l'individuo può o meno salvare
l'integrità del proprio mondo morale. Così, durante il
fascismo, Alvaro
rimane in Italia e riesce a conservare l'autonomia di una
propria opposizione ideale, della quale, nel dopoguerra,
si sforzerà di minimizzare l'importanza definendo "molto
esagerata" la fama di antifascista che lo accompagnava.
"Ero antifascista, precisa, per temperamento, per cultura,
per indole, per inclinazione, per natura. Non sono mai
stato un antifascista professionista". Del fascismo
critica in particolare i facili miti, i loro riflessi sul
costume della piccola e media borghesia italiana, ma ciò
non gli impedisce di sottolineare con spirito
anticonformistico le manchevolezze dell'esperienza
antifascista, dal 1943 in poi, in una società quasi del
tutto priva di dignità e di coerenza. Protesta per
esempio, contro i criteri indiscriminati dell'epurazione,
e più ancora contro il sistema di colpire in basso per
salvare in alto, che favorisce un'atmosfera di generale
sospetto e che, data la sopravvivenza delle vecchie forme
di censura e di prevenzione esercitate da autorità rimaste
inamovibili, accentua lo scetticismo della borghesia e
prepara il terreno al malcostume dell'immediato
dopoguerra. Procedendo nel tempo, il discorso di Alvaro
si allarga da considerazioni di carattere storico
concernenti soltanto l'Italia a riflessioni più vaste su
aspetti della civiltà contemporanea in genere. Svolto il
tema della rilassatezza dei costumi italiani durante
l'occupazione angloamericana, egli passa a esaminare
alcuni caratteri del suo tempo, dall'ostentazione di
erotismo all'estetismo come strumento di commercio e di
successo; dal capovolgimento dei valori naturali della
giovinezza e della vecchiaia all'incapacità dell'individuo
di costruirsi una storia nell'ordine del tempo e alla sua
conseguente solitudine di fronte alla morte. Sul piano
sociale, il mondo di oggi gli appare dominato da un
arrivismo economico che trascura i valori dello spirito,
contrappone violentemente le diverse classi, e determina
in ogni gruppo una mentalità collettivistica
indifferenziata che livella le personalità e annulla
l'uomo. Questi fenomeni, privati e pubblici, portano
inevitabilmente al trionfo dei mediocri. Lo scetticismo di
Alvaro
s'accentua ulteriormente in Ultimo diario, sino alla
sconsolata affermazione "No, la storia non ha senso". Ma
la conclusione non è rinunciataria, in quanto l'Alvaro
torna a riconfermare la propria fede nell'esempio, come
strumento di formazione dei giovani, e nella fantasia,
come illusione che aiuta a vivere. In questi libri, Alvaro
fa dunque un esame di coscienza di sé stesso, dell'Italia,
e del mondo contemporaneo, con quella chiarezza e quella
discrezione che gli sono proprie: grazie a esse la sua
opera non è soltanto un importante documento storico, ma
un'affermazione di dignità tra le più ferme e angosciate
della cultura novecentesca. Giorgio Pullini
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