Le opere di Corrado Alvaro

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Parliamo di

  Corrado Alvaro
Analisi opere
1 L'età breve
2 Gente in Aspromonte
3 Itinerario italiana
4 Poesie grigioverdi
5 Quasi una vita
6 Racconti
7 Tutto è accaduto
8 L'uomo è forte
9 Vent'anni

 


Quasi una vita
 

Diario di Corrado Alvaro (1895-1956), pubblicato a Milano nel 1950, copre gli anni tra il 1927 e il 1947, e gli fa seguito, per gli anni tra il 1948 e il 1956, Ultimo diario, edito ancora a Milano nel 1959. I due libri costituiscono una sintesi delle riflessioni e dei temi tipici dello scrittore; non si tratta dunque di un diario privato o di una autobiografia, ma di una "raccolta di appunti che dovevano servire per me, per i racconti, i saggi, le opere che avrei scritto un giorno, che tuttavia spero mi sia dato il tempo e la lena di scrivere". Perciò, più che contenere pensieri di interesse pubblico, o almeno concepiti in rapporto a fatti non soltanto privati, queste pagine si soffermano soprattutto sui particolari "di fatti veduti o sentiti riferire da persone informate e da testimoni, o aspetti di ore e di giorni" e danno appena un cenno di avvenimenti più grandi. Proprio in questi limiti risiede una delle caratteristiche più originali dell'opera, la quale si presenta come la testimonianza di un moralista sull'importante periodo storico che, attraverso il fascismo e la guerra, ha condotto l'Italia alla ripresa della democrazia e al risveglio economico. All'Alvaro, che non prescinde mai dall'unità della persona singola intesa come centro fondamentale di ogni fenomeno di vita, interessano di un regime politico specialmente i riflessi sul costume e sulla coscienza individuale. La sua attenzione si rivolge contemporaneamente alla società e al singolo, ma a quella per concentrarsi su questo, in quanto, al di là di ogni condizionamento operato dalla storia politica, egli giudica la coerenza di un'epoca soprattutto da come l'individuo può o meno salvare l'integrità del proprio mondo morale. Così, durante il fascismo, Alvaro rimane in Italia e riesce a conservare l'autonomia di una propria opposizione ideale, della quale, nel dopoguerra, si sforzerà di minimizzare l'importanza definendo "molto esagerata" la fama di antifascista che lo accompagnava. "Ero antifascista, precisa, per temperamento, per cultura, per indole, per inclinazione, per natura. Non sono mai stato un antifascista professionista". Del fascismo critica in particolare i facili miti, i loro riflessi sul costume della piccola e media borghesia italiana, ma ciò non gli impedisce di sottolineare con spirito anticonformistico le manchevolezze dell'esperienza antifascista, dal 1943 in poi, in una società quasi del tutto priva di dignità e di coerenza. Protesta per esempio, contro i criteri indiscriminati dell'epurazione, e più ancora contro il sistema di colpire in basso per salvare in alto, che favorisce un'atmosfera di generale sospetto e che, data la sopravvivenza delle vecchie forme di censura e di prevenzione esercitate da autorità rimaste inamovibili, accentua lo scetticismo della borghesia e prepara il terreno al malcostume dell'immediato dopoguerra. Procedendo nel tempo, il discorso di Alvaro si allarga da considerazioni di carattere storico concernenti soltanto l'Italia a riflessioni più vaste su aspetti della civiltà contemporanea in genere. Svolto il tema della rilassatezza dei costumi italiani durante l'occupazione angloamericana, egli passa a esaminare alcuni caratteri del suo tempo, dall'ostentazione di erotismo all'estetismo come strumento di commercio e di successo; dal capovolgimento dei valori naturali della giovinezza e della vecchiaia all'incapacità dell'individuo di costruirsi una storia nell'ordine del tempo e alla sua conseguente solitudine di fronte alla morte. Sul piano sociale, il mondo di oggi gli appare dominato da un arrivismo economico che trascura i valori dello spirito, contrappone violentemente le diverse classi, e determina in ogni gruppo una mentalità collettivistica indifferenziata che livella le personalità e annulla l'uomo. Questi fenomeni, privati e pubblici, portano inevitabilmente al trionfo dei mediocri. Lo scetticismo di Alvaro s'accentua ulteriormente in Ultimo diario, sino alla sconsolata affermazione "No, la storia non ha senso". Ma la conclusione non è rinunciataria, in quanto l'Alvaro torna a riconfermare la propria fede nell'esempio, come strumento di formazione dei giovani, e nella fantasia, come illusione che aiuta a vivere. In questi libri, Alvaro fa dunque un esame di coscienza di sé stesso, dell'Italia, e del mondo contemporaneo, con quella chiarezza e quella discrezione che gli sono proprie: grazie a esse la sua opera non è soltanto un importante documento storico, ma un'affermazione di dignità tra le più ferme e angosciate della cultura novecentesca.
Giorgio Pullini

 

Luigi De Bellis