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Ragazzi
di vita |
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Romanzo pubblicato nel 1955. Questa
prima opera narrativa dell'autore è costituita da una
serie di episodi collocabili in un periodo compreso fra
l'ingresso degli alleati a Roma e l'inizio della guerra di
Corea (ma le vicende storiche rimangono estranee agli
interessi dello scrittore). La coesione del romanzo è
dovuta da un punto di vista estrinseco alla presenza
ricorrente di alcuni personaggi, primo fra tutti il
Riccetto (di cui si assiste al passaggio dalla adolescenza
alla giovinezza) e da un punto di vista intrinseco alla
persistenza di una lingua fortemente connotata in senso
espressionistico in cui il ricorso al romanesco (e ad
altri dialetti) e al gergo del sottoproletariato urbano
risponde all'esigenza di un'adesione senza diaframmi al
mondo delle borgate romane. Personaggi principali
potrebbero essere, oltre al Riccetto, il Caciotta, il
Lenzetta, il Begalone, Alduccio o chiunque altro del
"giro": li accomuna l'appartenenza a un medesimo ambiente,
alla razza arcaica, precristiana e preindustriale del
sottoproletariato che vive nelle misere periferie della
città eterna. La loro psicologia segue meccanismi comuni e
affonda le sue radici in un'infanzia d'abbandono e di
povertà; continua è, in questi ragazzi, l'oscillazione fra
violenza e bontà, fra brutalità e dolcezza, fra ingenuità
e scaltrezza, fra spregiudicatezza e pudore. A zonzo per
le vie di Roma in cerca di cibo e di avventura, sulle
"rive piene di canne e di fratte" dell'Aniene, al lido di
Ostia, essi vivono alla giornata, tra qualche furtarello e
qualche espediente: per loro che soffrono la fame il bene
e il male sono valori relativi. Regola fondamentale cui
uniformarsi sembra essere quella di mostrarsi quanto più
possibile insensibili e indifferenti a tutto; ma, a
intermittenze, emerge una loro scontrosa generosità. Così
il Riccetto salva una rondine che stava per annegare
(mentre nell'episodio finale non potrà fare nulla per
salvare il piccolo Genesio, travolto dalla corrente del
fiume); Agnolo e Oberdan sono come impietriti di fronte a
Marcello che agonizza in ospedale in seguito al crollo
delle scuole dove era alloggiato; tra i loro sogni c'è
quello di possedere un cane. È in questi momenti in cui il
racconto sfiora il patetico, che più esplicita è la
tenerezza dell'autore. verso i suoi personaggi, più
marcata è la sua partecipazione al loro destino di
emarginati. Manca una sia pure embrionale coscienza
politica, la loro ribellione rimane a livello irriflesso.
Aggrappati al predellino del tram o addormentati su una
panchina di Villa Borghese (per constatare al risveglio la
sparizione delle scarpe), alle prese con madri disfatte e
urlanti, ciniche e disperate, i "ragazzi di vita" di
Pasolini si sparpagliano dentro e fuori l'Urbe, non senza
una loro scanzonata allegria, esibizionisti e rumorosi,
strafottenti e attaccabrighe. La scrittura raggiunge
momenti di grande forza rappresentativa, la componente
neorealistica si integra con l'indole lirica dell'autore,
la pagina diventa evocativa di nitide immagini: la scena
sembra allora più "girata" che descritta, con precisi
effetti cromatici e sonori. Ecco le urla dei ragazzi
trasteverini che giocano a pallone, la "lagna" dei "pischelli
che litigano correndo sui selciati" e persino "il brusio
delle mascelle maschili e femminili che masticano la pizza
o il crostino, all'aperto, in Piazza Sant'Egidio o al
Mattonato". Al di là del realismo brutale che impronta il
gergo di questi giovani, gergo che coincide nel libro con
una precisa scelta stilistica da parte dell'autore,
ritroviamo in quest'opera il mito, caro a Pasolini, di una
condizione preadolescenziale, di uno stato di infantile
purezza di chi, pur nella degradazione e nell'abbrutimento
del mondo, mantiene una sua inconsapevole innocenza.
Giorgio Bertone
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