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Rubè |
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Romanzo pubblicato a
Milano nel 1921. Vuole essere un tentativo di
interpretazione tipica della crisi dell'uomo
contemporaneo, sullo sfondo della violenta rottura esterna
provocata dalla prima guerra mondiale. Il suo
protagonista, che dà il titolo al libro, è l'uomo in cui
ogni volontà, ogni scelta, ogni atto è corroso all'interno
da una critica spietata e crudele, da un'analisi
minuziosa, esasperata, che finisce per disseccare
qualunque possibilità di sentire e di agire: l'uomo
completamente alienato da se stesso, in una società
confusa e convulsa, dove non riesce a trovare una
soluzione al suo dramma. Il giovane avvocato siciliano
Filippo Rubè, che fa pratica professionale a Roma,
trasportato dalla fredda e insieme delirante e corrosiva
logica che lo distingue, diviene acceso interventista, e
si arruola nel reggimento d'artiglieria dove ha un comando
il maggiore Berti, padre di Eugenia, a cui Rubè è legato
da un contraddittorio sentimento di attrazione, sapendola
segretamente innamorata di Federico Monti, un medico suo
amico, il quale a sua volta sta per sposare Mary Corelli,
anch'essa del gruppo degli amici romani di Rubè. Nei primi
giorni di guerra un brevissimo bombardamento aereo provoca
in Rubè un'esagerata reazione di eccitazione e di
turbamento, e diviene per lui una nuova ragione di
spietata analisi di sé, che lo porta quasi alla pazzia:
egli si accusa di essere un vile, si tormenta fino ad
ammalarsi, finché confessa tutto a Eugenia, iniziando cosi
con la donna quel difficile e confuso rapporto di amore e
odio, di disprezzo e di compassione, che lo legherà per
tutta la vita. Ottenuta una licenza di convalescenza, Rubè
ritorna a Roma per qualche tempo, poi visita la famiglia
al suo paese natale, Calinni: e proprio questo evento
detta a B. alcune fra le sue pagine più felici, per la
perfetta delineazione dei rapporti con la madre, da cui
Rubè si fa ancora mandare denaro, e dello sfondo
siciliano, così profondamente coerente con le ambiguità,
le crudeltà, le viltà e gli slanci del protagonista.
Tornato al fronte, Rubè passa per nuove esperienze e per
nuove ambiguità; ferito gravemente, rientra a Roma e
convince Eugenia a divenire la sua amante: comincia così
un periodo teso e atroce di incontri senza amore, dominati
dalla crudeltà di Rubè nel chiarire sempre a ogni costo le
viltà e gli inganni, senza concessioni all'affetto, e
dalla freddezza quasi ostile della donna, tanto più aspra
e distaccata quanto più umiliata. Guarito, Rubè viene
inviato in missione speciale a Parigi, dove conosce la
bellissima moglie di un generale francese, Celestina
Lambert, e ne fa la confidente delle sue oscure passioni,
delle sue ambiguità, finendo per conquistarla. Ma alla
fine Celestina, con il suo buon senso, riesce a smontare
l'ostinato discorrere di Rubè e a respingerne l'amore.
Dopo la guerra, Rubè sposa Eugenia (più o meno velatamente
costrettovi dal fratello di lei), e si stabilisce a Milano
dove ha altre sconcertanti esperienze nella vita della
fabbrica in cui è impiegato: il suo gusto per la
discussione astratta e per l'analisi lo porta a difendere
i socialisti, e a intervenire all'assemblea degli
impiegati durante uno sciopero; e finisce licenziato.
Anche il matrimonio si rivela un fallimento: da un lato
l'ostile freddezza di Eugenia, dall'altro la corrosiva
incapacità di affetti e di abbandoni di Rubè. Intanto
questi ritrova Garlandi, un ufficiale conosciuto in
guerra, e si lascia trascinare da lui fra i primi gruppi
di fascisti, partecipa a qualche riunione. Con una grossa
somma vinta al gioco, parte per Parigi, ma si ferma invece
a Stresa; e qui ritrova Celestina Lambert. Questa volta
l'amore divampa. Rubè fa credere alla moglie di essere a
Parigi per affari, le manda lettere contraffatte e intanto
passa i suoi giorni con Celestina. L'avventura ha una
conclusione tragica: un giorno, mentre Rubè e Celestina
sono in barca sul lago, scoppia una tempesta, e Celestina
muore annegata; Rubè viene arrestato e imputato di
omicidio. Assolto in istruttoria con l'aiuto di amici
influenti, Rubè è ormai un uomo distrutto: cerca invano la
pace nella fede, nella solitudine della campagna, nel suo
paese natale, dove si rende conto di essere ormai un
estraneo, senza possibilità di rientrare nell'ordine
antico. Sono queste le pagine più belle del romanzo,
grandiosamente desolate, amarissime, sullo sfondo del
bruciato paese siciliano. Rubè decide di ritornare da
Eugenia; le scrive dandole appuntamento a Bologna. Ma alla
stazione i due non si incontrano per un banale equivoco:
disperato, mentre vaga per la città, Rubè viene preso in
mezzo a un corteo socialista e finisce calpestato dalla
cavalleria intervenuta a domare la sommossa. Entrambe le
parti in lotta se lo attribuiranno come martire della
propria causa: i fascisti, ricordandone l'attività a
Milano e il passato di combattente; i socialisti,
vantandone l'esperienza di fabbrica e la partecipazione al
loro corteo. Questa conclusione è apertamente simbolica: e
vuole indicare il destino contraddittorio di una
generazione già intimamente corrosa da una malattia
mortale dello spirito, e distrutta dalla guerra, incerta
quindi e combattuta senza capacità di scelta fra gli
opposti estremismi, sbandata, vinta. In tal senso Rubè è
un tipico romanzo della "generazione perduta", e ha in
questo suo carattere di documento il suo pregio migliore,
che ne segna la resistenza al tempo: là dove, invece,
certi mezzi narrativi sono spesso di maniera (la vincita
al gioco, l'adulterio, la morte nel lago, ecc.) e
testimoniano un durare di strutture ottocentesche, che
contrastano col ritmo minuziosamente analitico del
romanzo.
Giorgio Barbieri Squarotti
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