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Ultima raccolta di prose di
Vincenzo Cardarelli (pseud. di Nazareno Caldarelli,
1887-1959), pubblicata a Milano nel 1947. Contiene gli
scritti più importanti per una comprensione e definizione
della poetica, della cultura e della personalità medesima
dello scrittore. Inoltre documenta le ragioni ideali e le
motivazioni letterarie che animarono, soprattutto
attraverso l'attività di Cardarelli che la diresse, la rivista La
ronda, da cui le lettere italiane ricavarono negli
anni venti una decisa impronta classicistica. Attraverso
questi scritti, prose liriche e diario spirituale,
confessioni di vita intellettuale e morale e pagine di
estetica e di critica, il mito della classicità cardarelliana si accampa in una sua nostalgica zona di
ideale perduto, e solo miracolosamente attinto in quel
Leopardi invocato come correttivo di tutti i rigurgitanti
romanticismi; ma proprio per essere una "malinconia di
letterato defunto" (come disse L. Russo), quell'ideale
acquista un valore umano di così pregnante evidenza da
rappresentare la ragione e il centro autentico di tutta
una vita e di una non dimenticabile ricerca di poesia.
Tutta la prima parte del volume esprime questa sorta di
nostalgico diario intellettuale e morale, un commento, tra
limpido e ironico, delle proprie intenzioni e del proprio
sogno di restaurazione: dalle pagine di "Passo di Ronda"
che, commentando il famoso Prologo della rivista ("La vita
a trent'anni è come un gran vento che si va calmando"),
registrano, in modulazioni riposate, in toni spenti e
colmi di levigata amarezza, il senso della solitudine
umana e l'avvertimento arcano della morte; fino a "Parole
all'orecchio", vero "zibaldone" di pensieri cardarelliani,
in cui, nel registro di una prosa leopardiana quant'altra
mai, nel tono distaccato e pur colmo di presenza morale,
fantasie letterarie scaturite favolosamente dal paesaggio
toscano si alternano a spunti di poetica (sono qui alcuni
famosi pensieri sullo stile: "Pensare bene un'immagine,
pensarla preziosamente, e scriverla nel modo più semplice,
quasi sciatto"). Ma il discorso torna sovente alle
predilette considerazioni sul destino di solitudine
dell'uomo onesto e fedele a sé stesso, "testimone
importuno": una sorta di commemorazione, atteggiata in
pose di classica solennità, della propria figura di
"oltraggiato" dalla vita. La seconda parte contiene più
diretti e speciali documenti della poetica e del
leopardismo cardarelliano (le pagine sulla lingua italiana
e quelle sul cammino della poesia leopardiana,
particolarmente felici); e per altra via ribadisce l'alto
ideale dello scrittore, la nostalgia d'uno stile come
creazione assoluta, espressione alta e purissima della
personalità, sforzo di attingere, in tempi di frammentismo
spirituale, una architettura che superi l'immediatezza e
la dispersione, che renda classici e interiormente
disciplinati gli elementi della spiritualità
contemporanea.
Arcangelo De
Castris Leoni |