|
|
|
Una
donna |
|
|
Romanzo di Sibilla Aleramo
pubblicato nel 1906. Sotteso da una evidente filigrana
autobiografica, il romanzo, il primo e più importante
dell'Aleramo, è la sofferta testimonianza del ruolo cui è
storicamente condannata la donna e del travaglio interiore
vissuto per approdare al recupero della propria dignità
sociale e culturale. Al di là della prosa così tipicamente
e mollemente ottocentesca, il contenuto violentemente
polemico mette in discussione tutte le strutture sociali,
fondate unicamente sull'ipocrisia, di una cittadina
dell'Italia meridionale, scossa dall'evidenziarsi di nuovi
programmi civili e politici, che diventa, ben presto, il
microcosmo simbolico dell'intera società. La protagonista,
quasi fatalmente condannata a ripercorrere la parabola già
vissuta dalla madre, impazzita, dopo un tentato suicidio,
per l'impossibilità di sopportare le vessazioni e i
tradimenti cui la sottopone il marito, il destino, cioè,
che concatena i ruoli di figlia, moglie sottomessa e madre
sacrificata, giunge attraverso un travagliato contatto con
il mondo culturalmente attivo di Roma, alla propria
sofferta liberazione. Trasferitasi bambina con la famiglia
nel meridione, dopo aver dovuto interrompere gli studi,
diventa la segretaria del padre nella fabbrica di questi e
vive guardata con diffidenza dalla gente per la sua
intraprendenza e la sua autonomia. Ben presto alla figura
del padre vengono riconosciuti tutti i difetti e i limiti
che le sono reali; si tratta, per la ragazza, quasi di un
trauma acuito dal cambiamento che la vita le impone: il
matrimonio con un giovane non amato, tipico esponente del
tradizionalismo dell'ambiente. Ogni momento della sua vita
è catalizzato, così, dalla presenza di un uomo: dapprima
il padre, a torto ritenuto, in ogni frangente, il
migliore; poi il marito, essere squallido e opportunista,
che la sposa dopo averla stuprata e che continua a
violentare, per tutti gli anni del matrimonio, la sua
interiorità, la sua personalità, la sua sessualità; e
infine il figlio, un bambino al quale è così profondamente
legata da accettare per lui, per molto tempo, una vita che
non è e non può essere la sua. Il trasferimento nella
grande città, reso necessario dall'instabilità economica
della famiglia, e la ripresa del lavoro che la mette a
contatto con persone idealmente e culturalmente attive,
realizzano il distacco anche intellettuale da quel mondo
chiuso. Si attua, in questo modo, una drammatica presa di
coscienza della nuova realtà e si oggettiva il grande
lavoro da compiersi: "Femminismo! Organizzazione di
operaie, legislazione del lavoro, emancipazione legale,
divorzio, voto amministrativo e politico... Tutto questo,
si, è un compito immenso, eppure non è che la superficie:
bisogna riformare la coscienza dell'uomo, creare quella
della donna!" La vita con il marito, a questo punto, si è
resa materialmente impossibile e il conseguente forzato
distacco dal figlio viene accettato per l'impulso alla
rivolta che lei, figlia, sente. Attorno al personaggio
centrale della donna, ruota una serie di figure corpose,
delineate con realismo e acutezza psicologica: uomini come
il medico o il dongiovanni di provincia, entrambi
portavoce, anche se in maniera diversa, del grigiore
meridionale, o come il filosofo, la cui personalità, al
tempo stesso problematica ed eterea, influenza il
cambiamento della protagonista, e figure di donne,
passivamente oppresse o vivacemente attive. Viene
tracciata così l'immagine di una società in cui la
repressione sessuale, violenta o subdola mente infiltrata,
è l'elemento più evidente e più tormentoso: proprio per il
ritratto realistico offerto, il romanzo della Aleramo
coinvolge ideologica mente ancor oggi per l'imprevedibile
modernità del discorso.
M. Ros
|
|
|
|