|
|
|
Giuseppe Ungaretti:
Vanità |
|
|
Vanità, una delle più tarde liriche dal
fronte. Vanità è giudicata da Pasolini il «capolavoro»
delle «composizioni rarefatte» ungarettiane. In essa
«meglio si configura l'ineffabilità ungarettiana, la
parola in trasparenza, il sintagma volatilizzato in
nuclei semantici senza peso», e in essa «si riscontra
quella situazione di abbandono, di confidenza, di
allegria, molto giovanili, che sono il sottofondo fisico
più ancora che psicologico del primo libro ungarettiano»
(Pasolini usa qui il termine "allegria" secondo
l'interpretazione di Contini, che egli stesso descrive:
allegria «come momento attivo dell'atto liberatorio
della poesia, come passaggio dal piano della
vicissitudine umana al piano linguistico»). Si tratta,
comunque, dell'illuminazione improvvisa di una
dimensione di limpidezza, di infinito (e di eterno?) che
pare radicalmente negata dalla provvisorietà torbida e
finita del presente. Il poeta coglie questa intuizione
nel rischiararsi improvviso d'uno specchio d'acqua
colpito dal sole (o dalla stessa limpida trasparenza
dell'acqua). Rinvenirsi «ombra» può - come si è
osservato in nota - mantenere implicazioni negative (del
resto presenti irrimediabilmente nel titolo), in parte
risolte però nel moto lieve dell'acqua che culla appunto
l'ombra del poeta e forse la sua illusoria intuizione.
Con il Gioanola si deve ricordare che «una delle
opposizioni immaginative fondamentali della poesia
ungarettiana è quella tra "deserto", con le connotazioni
dell'aridità e sete e abbandono ed esposizione alla
morte, e "acqua", con le connotazioni contrarie della
protezione, del conforto, del rifugio». Il critico
compie quest'osservazione a proposito della lirica I
fiumi, ma è chiaro che essa può applicarsi anche al
finale di Vanità. Notevole la genesi "africana" di
questa opposizione deserto/acqua, che talora complica le
stesse rievocazioni della passata solarità.
|
|
|
|