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 Autore Luigi De Bellis   
     

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FRANCESCO PETRARCA

ERANO I CAPEI D'ORO A L'AURA SPARSI

 

 

Questo sonetto rielabora il tema stilnovistico della donna-angelo e descrive la situazione tipica della donna che incede (il v. 9 «Non era l'andar suo cosa mortale» va confrontato con il sonetto dantesco Tanto gentile, e con altri di Guinizzelli e di Cavalcanti).
Osserviamo, però, che l'immagine di Laura è più mossa e meno stilizzata di quella della donna-angelo e inoltre che essa, per effetto dell'elemento di natura introdotto dal senhal «l'aura» (qui presentato nel primo verso, e comparso da poco nel Canzoniere), coinvolge, sia pure qui soltanto per mezzo di questo elemento appena accennato anche se carico di movimento, la partecipazione del paesaggio alla rappresentazione.

Ma la vera grande novità del sonetto sta:

- nella prospettiva temporale molto varia e mobile, con rapidi passaggi da un tempo verbale all'altro, da presente, imperfetto a passato (con spicco molto forte e significativo dei due passati remoti del v. 8 e del v. 13), con prevalenza dell'imperfetto, sin dal verso iniziale, che riporta la scena nella sfera del ricordo, in equilibrio fra la bellezza splendida del passato e la tristezza e il decadimento fisico del presente;

- nella varietà e mobilità dei rapporti fra soggetto e oggetto, con una prospettiva anche in questo caso continuamente cangiante. Ha attirato l'attenzione su questo aspetto della sintassi del sonetto lo studioso Georges Giintert:

«Il sonetto si avvia a disporsi su una serie di soggetti paralleli ("i capei", "il vago lume", "il viso"), ma già nella seconda quartina il rapporto Laura-io tende sottilmente ad invertirsi. Con il v. 6 siamo passati, quasi insensibilmente, da un soggetto che intendeva Laura (per sineddoche) ad un nuovo soggetto (io) che subordina a sé quanto è stato detto. La nuova prospettiva è dovuta anche al fatto che quell'io che dice "non so se vero o falso" è un io-arbitro, diverso da quello che vide il fascino di Laura. E quando nel v. 7 il capovolgimento dell'oggetto in soggetto (" I' che l'esca... ") s'è compiuto, si vedrà che il Petrarca, per arrivarci, ha dovuto descrivere un meandrico giro che coinvolge tanto l'io-protagonista quanto quello che lo contempla a distanza.
L'effetto cui sembra mirare il poeta, spostando in tal modo l'angolo visuale, è quello di una prospettiva interna continuamente cangiante: all'interrogativo ("non so se vero o falso") e al dubbio, che creano un'atmosfera evanescente ed arcana, si associa una lenta transizione sintattica che, simile al moto descrivente un arco o una spirale, va da Laura all'io e viceversa. Lo stesso andamento flessuoso si riflette nelle terzine: da un primo momento cui sottende un soggetto riferibile a Laura (ancora per sineddoche: "l'andar suo", "le parole") - messo in posizione assoluta - si approda di nuovo al soggetto "io", che attira a sé altri due attributi di Laura, che per quanto oggetti ormai, restano ritmicamente dominanti: "Uno spirto celeste, un vivo sole / fu quel ch'i'vidi... ". L'impressione complessiva è quella di un interiore flusso e riflusso, simile all'agitarsi della coscienza, in cui si alternano inquieti ragionamenti ("ch'or ne son sì scarsi", "qual meraviglia...", ecc.) ed evanescenti ricordi, riflessioni e visioni della memoria».

 

 

 

© 2009 - Luigi De Bellis