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FRANCESCO PETRARCA
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DEI RIMEDI DELL'UNA E DELL'ALTRA
FORTUNA
Trattato morale in due libri.
Iniziato nel 1354 e compiuto nel
1366, è dedicato ad Azzo di
Correggio: l'intento è di
offrire all'uomo i mezzi per
resistere così alla propizia
come all'avversa fortuna del
pari pericolose, e forse più la
prima della seconda, all'anima
umana. A tal fine l'autore
svolge una serie di meditazioni
morali in forma di dialoghetti
schematici: interlocutori ne
sono, nel primo libro dedicato
alla prosperità, il Gaudio o la
Speranza che si allietano di
beni posseduti o attesi dagli
uomini, e la Ragione che ne
dimostra la vanità, e nel
secondo, dedicato
all'infelicità, il Dolore o il
Timore, i quali parimenti si
rattristano di un male presente
o avvenire, e la Ragione ancora,
che dimostra come irragionevoli
siano quei sentimenti umani.
Passano così sotto gli occhi dei
lettori tutti i casi possibili
della vita umana, i beni più
grandi che l'uomo possa
conseguire o sperare, come il
sommo pontificato, un'alta
potenza politica o la gloria per
i propri scritti, e i beni più
modesti che ci allietano
l'esistenza, insieme con le più
grandi sventure e le più lievi
molestie: e l'opera viene a
essere, come voleva l'autore,
non un trattato sistematico, ma
una raccolta di brevi
ragionamenti, fra i quali il
lettore può trovare quello più
appropriato al suo stato, per
trarne un ammonimento e un
conforto. Per tale assunto e per
la stessa forma ne risulta
accentuata la tendenza ascetica
dello spirito petrarchesco, e il
proposito di dimostrare la
vanità d'ogni bene e d'ogni male
conduce l'autore talora al
paradosso o alla contraddizione.
Inoltre, poiché egli ama
rafforzare i suoi ragionamenti
con un'erudizione al suo tempo
peregrina, più d'una volta può
sembrare che più della tesi
sostenuta gli stia a cuore
quell'erudizione, come quando a
proposito dei bei dipinti egli
espone quanto sa della pittura
antica. Ma l'opera nasceva
realmente dall'intimo dello
spirito del poeta, che sentiva
del pari l'allettamento delle
cose terrene e l'anelito a una
pace in cui potesse acquietarsi,
e che riconosceva in ogni uomo
tale irrequietezza, come dice
nella bella lettera dedicatoria,
forte affermazione di pessimismo
e a un tempo espressione
dell'esigenza a superarlo in una
filosofia morale cristiana e
stoica, che sia guida e sostegno
nella vita. A tale filosofia
morale mira il poeta,
spregiatore della filosofia
delle scuole, nei Rimedi e in
tutta l'opera sua: e che lo
scrittore venisse incontro a
tendenze del tempo suo come a
quelle dell'età posteriore è
provato dalla straordinaria
diffusione di questa opera,
compendiata e tradotta e
stampata in numerose edizioni
sino al sec XVIII.
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Mario
Fubini | |
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