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 Autore Luigi De Bellis   
     

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FRANCESCO PETRARCA

DELL'IGNORANZA SUA E D'ALTRUI


Famosa operetta latina scritta polemicamente nel 1367 contro alcuni giovani averroisti veneziani che lo avevano attaccato come "buon uomo, ma privo di cultura". Nel contrasto tra il suo mondo spirituale e quello delle diatribe contemporanee, il grande poeta si dilunga in un eloquente discorso contro quelli che considerano la dialettica come scopo a se stessa, senza tendere con tutte le forze alla ricerca di una più profonda verità. Si nota nelle affermazioni schiette e meditate dell'autore come egli non avvertisse il valore della cultura intesa in una sua sfera combattiva e costruttiva, ma la considerasse come elemento adatto a preparare il terreno a una ricerca più sostanziale del bene. Vano è il sapere dei dialettici dinanzi a una meditazione illuminata dalla scienza antica e dalla buona novella di Cristo: nella ricerca di inutili formule errano quanti si affidano al gioco della dialettica. Tra invettive, digressioni, accenni autobiografici, il Petrarca fa sentire la sua concezione della scienza, intesa come introduzione alla felicità: non tra le sottigliezze della logica, ma nelle profondità della morale bisogna cercare i dettami che guidano la nostra vita. I filosofi morali sono così i veri maestri di virtù, essi hanno una linea di condotta e incitano alla meditazione. Nulla di astratto e di vacuo deve essere nella cultura di un uomo; tanto meno è da tener conto di questa o quella setta, perché alla fine si disconoscono il vero e il suo valore nell'esistenza terrena. E tanto meno l'autorità di uomini famosi deve impedirci di accostarci alla verità con fede e ansia di conoscenza per migliorarci e per seguire il vero fine dell'anima nostra. Famoso è il riferimento ad Aristotele che fu certo un dottissimo filosofo, ma ignorò anch'esso cose non poche e di importante valore, tanto più per quello che riguarda la salute suprema. All'autore greco è da contrapporsi la saggezza di Cicerone, più intima e persuasiva: così Platone, nella sua profonda conoscenza della natura, della società e soprattutto dell'intimo cuore umano, ha detto parole essenziali per una buona guida della vita: si avverte in lui uno spirito di cui il Cristianesimo, non potuto conoscere, sarebbe stato il naturale fondamento. A maggior ragione il Petrarca fa sentire l'intimità del suo cristianesimo fatto di meditazione e di contemplazione di una dottrina eterna. Questi accenni antiaristotelici (oltre che antiaverroisti) sono assai sintomatici nel grande poeta: in quanto, pur indicando, in una forma polemica, una tendenza che sarà caratteristica nella cultura del primo Rinascimento, mostrano una posizione più che altro sentimentale e quasi autobiografica.

Mario Fubini

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