LA MODERNITA' DEL PETRARCA
Quando si parla di "modernità"
relativamente a Francesco
Petrarca si deve distinguere il
termine in due ottiche diverse:
una rispetto ai suoi tempi ed
una rispetto ai nostri tempi.
L'Aretino, infatti, fu ai suoi
tempi un grande innovatore, suo
malgrado, della tradizionale
cultura medievale, ma anche un
temperamento ed una coscienza di
intellettuale che per molti
aspetti richiama alla condizione
psicologica degli intellettuali
del nostro tempo.
Per quanto si riferisce ai suoi
tempi possiamo anzitutto dire
che egli, nonostante sentisse
profondamente l'esigenza di
ancorare il suo pensiero e la
sua moralità in un porto di
certezze assolute, in effetti
non riuscì mai a trovare un
punto di riferimento definitivo
e brancolò sempre fra
tentennamenti e contraddizioni
che lo tormentarono per tutta la
vita. Non per niente egli si
andò gradualmente allontanando
da quel filone di pensiero che
attraverso S. Tommaso giungeva
all'aristotelismo, per
avvicinarsi al platonismo
attraverso la lezione di S.
Agostino. Inoltre egli per primo
mise allo scoperto il secolare
equivoco della interpretazione
del mondo classico che dagli
studiosi medievali veniva inteso
come preparazione all'avvento
del Cristo, mentre in realtà
esso rappresentava l'ideologia
pagana sostanzialmente contraria
alla spiritualità cristiana.
Infine il Petrarca ebbe il
grande merito di intuire che non
ci può essere vera cultura, non
ci può essere progresso
scientifico senza la possibilità
di condurre i propri studi
liberamente, senza la
disposizione a cercare nuove
avventure del pensiero e
dell'azione. Egli insomma ebbe
perfetta consapevolezza che la
lezione degli antichi è preziosa
per chi sa attingervi la
capacità di andare avanti, ma
che può divenire opprimente e
negatrice di ogni progresso se
la si vuole considerare
definitiva e perfetta.
Tutto questo fervore di studi,
di ricerche, di meditazioni non
si esplicò, tuttavia, in una
condizione di serenità e di
compostezza spirituale. Esso fu
agitato da un convulso dibattito
interiore che tormentò l'animo
del Poeta per quasi tutta la sua
esistenza. Da una parte il
Petrarca sentiva viva l'esigenza
di approdare a certezze morali e
per questo forse invidiava la
costanza e la coerenza della
personalità di Dante (per cui
nei "Trionfi", ad imitazione del
grande fiorentino, assunse Laura
come simbolo di guida
dell'umanità in pericolo alla
ricerca della Verità e della
salvezza); dall'altra parte
avvertiva tutta la fragilità
della propria coscienza in
perenne lotta fra l'attrazione
dei piaceri mondani, caduchi e
fallaci, e l'aspirazione alla
pace eterna. Sotto questo
aspetto il Petrarca nostra una
sensibilità assai vicina a
quella degli intellettuali della
nostra epoca, che stanno
drammaticamente subendo il
crollo delle vecchie ideologie
ottocentesche senza avere la
forza di crearne delle nuove. E
del suo stato di dubbio e
perplessità il Petrarca ci ha
lasciato una eloquente
testimonianza nel "Secretum",
dove analizza le probabili cause
del suo disagio intellettuale e
morale, riconoscendole
soprattutto nel vizio
dell'accidia e nel suo amore per
Laura, che rappresenta in
generale il richiamo alla vanità
terrena. Ebbene, anche in questa
opera di acuta introspezione, il
Poeta mostra di conoscere i
propri difetti ma ad un tempo
dichiara di non essere certo di
poter mantenere la promessa
fatta a S. Agostino di
allontanare da sé il pensiero di
Laura.