IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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FRANCESCO PETRARCA

IL PENSIERO, IL PROFILO INTELLETTUALE E MORALE

 

 

Per mettere a fuoco l'originalità filosofica del Petrarca, le opere più utili sono i saggi polemici del '52-55, "INVECTIVE CONTRA MEDICUM" e del 67-70 "DE SUI IPSIUS ET MULTORUM ALIORUM IGNORANTIA".
Ne emerge la missione che egli assegna alla filosofia e alla cultura in genere: conoscere l'uomo, guarirne le malattie morali, condurlo a Dio. E cercare, cercare la verità senza l'ossequio assoluto ad una o a un'altra "autorità".

Perciò egli esce fuori dai confini della filosofia medievale, e meschino, verso l'ideale patria perduta dell'antichità, nella maturità Petrarca "pervenne alla coscienza dell'importanza degli studi classici non più per un'evasione dal ma per un'interpretazione del presente, per l'esame dei problemi della vita interiore, per la ricognizione dell'umano destino, per all'instaurazione di più autentici rapporti e valori umani. "Gli antichi insomma non come monumenti da contemplare ma come maestri la cui lezione va ricondotta al presente, per dar vita ad una condizione umana più ispirata ad autentici valori morali (libertà, giustizia, pace ecc.).
"E accanto agli antichi" andarono assumendo posizione e significato (di continuità/integrazione) i grandi scrittori cristiani, soprattutto S. Agostino, maestro esemplare nell'esplorazione "dei conflitti più sconcertanti della coscienza."


LA FEDE NELLE LETTERE

Ecco perché altissimo fu il valore che Petrarca assegnò alla retorica (=letteratura). "La parola", per lui, significo il "tramite", tra passato e presente, "della sapienza e della civiltà". In questa luce si spiega l'importanza particolare che assunsero per Petrarca i miti di Orfeo (che ammansiva le belve) e di Anfione (che commosse alberi e sassi), come emblemi di una poesia che vince la durezza, la crudeltà, la barbarie, educa moralmente gli uomini, li conduce alla mansuetudine, alla tolleranza, cioè alla civiltà.


IMITAZIONE E ORIGINALITA'

Ecco, allora, cosa significò per il Petrarca lo studio degli antichi: "dilatare il patrimonio delle proprie esperienze umane, riconoscere i valori più propri dell'uomo, abilitarsi ad esplorare e portare alla luce della coscienza i problemi, le passioni, i contrasti della propria vita interiore.".
Infatti è fondamentale riconoscere che al centro degli interessi culturali e poetici di Petrarca era "l'uomo" (non la natura, non la storia, non la teologia, non la politica, non cioè il mondo esterno all'individuo). E l'uomo su cui si appuntava la sua indagine, era l'uomo che vive con gli altri, nella complessità di un destino che è immortale e si decide tra cose mortali. Ma la sua indagine non si riferiva a formule astratte [vedi i passi nell'antologia del Sapegno], non alla pura conoscenza intellettuale della verità e della virtù, ma piuttosto alla delineazione di esempi che smuovessero la coscienza. Perciò Seneca era preferibile ad Aristotele: il secondo ti dice cos'è la virtù, e nient'altro, l'altro ti insegna ad amarla.
Ecco perché gli scrittori latini gli appaiono formidabili maestri. Ma attenzione: essi restano ai suoi occhi pur sempre "uomini", con i propri limiti, problemi, particolarità. Perciò non sono modelli astratti, ma "persone" con cui dialogare, da cui imparare a esplorare se stessi, a conoscere la virtù, la realtà.
Allora, "l'imitazione" non è ripetizione meccanica e passiva di quello che gli antichi hanno detto o hanno scritto, ma "studio e assimilazione delle esperienze morali ed artistiche degli antichi" al fine di rielaborarle, riviverle, applicarle a sé e al presente, in una ricerca contrassegnata da libertà e originalità. "Non voglio una guida che mi leghi, ma che mi preceda; insieme con la guida siano sempre i miei occhi, il mio giudizio, la mia libertà."


POLEMICA CON LA CULTURA MEDIEVALE

Naturalmente la cultura di Petrarca, con i suoi metodi e con i suoi fini, entrava "in rotta di collisione con la dominante cultura medievale trecentesca, governata ed egemonizzata dallo schema del trivio e del quadrivio e dalla filosofia scolastica delle università.

1. Petrarca attaccò risolutamente e coraggiosamente la dialettica medievale che sapeva solo discutere astrattamente di problemi morali e che si esauriva nella discussione: in essa la ragione non si faceva strumento per la ricerca della verità.
Perciò egli è l'uomo moderno, modernamente e tormentosamente in cerca della verità.
2. Filosofia, per Petrarca, è scavare in profondità nell'animo dell'uomo. E il Petrarca comincia da sé: ecco il Secretum, che è lo specchio della crisi succeduta al 1341. Ma dal Secretum non esce un uomo nuovo, esce solo uno spietato esame di coscienza, la conferma dell'impossibilità di diventare un uomo nuovo. Petrarca non abbandona la selva oscura mai definitivamente: divino e umano, di cui tenta un'impossibile conciliazione (vorrebbe che le cose terrene durassero eterne come quelle divine, e che il piacere terreno, l'amore e la gloria non si tingessero dell'ombra del peccato), restano lontani tra di loro e contrastanti irrimediabilmente.
3. Pero c'è una certezza, un valore non contraddetto nella dimora morale del Petrarca: la "cultura," che è conoscenza, e perciò in certo modo dominio, del dissidio. E cultura è quella formata, in larga misura sui classici, venerati come ideali supremi di pensiero e di vita, cultura che senza sforzo, o con minimo sforzo, egli avvicina alla saggezza cristiana.
"Non v'ha cosa che pesi meno della penna, né più di quella diletti... Non temo d'affermare che di tutti i piaceri sortiti all'uomo sulla terra lo studio delle lettere è non solo il più nobile, ma anche il più durevole... E se frattanto giungerà la mia fine... bramo che essa mi trovi intento a leggerle e a scrivere, o se Dio voglia, a pregare e a piangere." E si noti che le due 'fini', quella 'laica' e quella 'religiosa' sono sostanzialmente intercambiabili, desiderabili ambedue.
Commenta il Martellotti: "e così - verità o leggenda - ci vien descritta la morte del Petrarca fin dalle più antiche testimonianze: un posarsi stanco sui libri."
Queste parole, scritte quasi a suggello della sua vita - siamo nel 1373 ed è una delle ultime cose da lui scritte -, potrebbero essere considerate in realtà la sintesi della sua intera esistenza intellettuale, e ne racchiudono anche l'originalità.
Morire tra gli amati classici o con il suo Dio sulle labbra: il suo sogno, proprio di chi in quelli ritrovava Questo e in Questo trovava stimoli che a quelli lo riportavano. Un andirivieni, però, senza vera pace, perché i traguardi delle due strade erano diversi, anzi su piani diversi.
4. Questa fusione di ansia cristiana e sapienza classica si ritrova in due opuscoli: "LA VITA SOLITARIA" e il "DE OTIO RELIGIOSORUM," ove la solitudine è elogiata purché non sia barbara, cioè senza amici e senza libri e senza la bella natura; e l'ascesi dei monaci è ammirata ma sentita come troppo radicale, e perciò essa è sostituita con la solitudine del letterato, nella consapevolezza che la poesia è maestra di moralità.
5. Si rinviene, nell'ultima convinzione, più di un preannunzio della futura, imminente età dell'Umanesimo.
da Santoro, Le stagioni



IL MAGISTERO CULTURALE

Petrarca fu, oltre che sommo poeta, grande, insostituibile "maestro di cultura" non solo per gli italiani, ma, tramite l'umanesimo, per l'Europa intera.
Egli ne ebbe parzialmente coscienza: infatti poco prima di morire scrive al Boccaccio e di sé dice "per impulso da me ricevuto molti oggi sono in Italia, e molti per avventura anche fuori, che presero a coltivare questi studi, negletti per tanti secoli...", Petrarca mostra di aver avvertito che da lui ha preso l'avvio un movimento internazionale di cultura fondato sul ritorno degli scrittori antichi, latini (e in controluce, greci).
Per intendere il senso del magistero culturale di Petrarca non basta riconoscere che esso coincise con il culto dei classici, perché quel senso sta nel valore che per lui assumeva la sapienza degli antichi, nel metodo con il quale a quel mondo occorreva accostarsi.


ANALISI DI LIRICHE

VOI CH'ASCOLTATE

1. aristocraticità dell'esperienza umana e poetica di P., espressa nella duplice selezione del pubblico: a) un pubblico di lettori di poesia b) tra esso, chi abbia esperienza d'amore.
L'aristocraticità genera anche richiesta di "complicità", cioè di pietà e di perdono, comprensibili tra idem sentientes.
2. L'esame delle rime.
a. le rime sono consuete, non rare, e si ripeteranno in numero ristretto.
Povero è il rimario di Petrarca, povero il lessico. Ma sceltissimo, senza echi municipali, popolari, plebei. Lingua purissima e, per questo, pronta a sfidare i secoli, perché meno legata a un luogo geografico e culturale, quasi a-storica, aspirante all'immortalità. Cfr. anche l'osservazione di Brioschi e Di Girolamo sul legame tra aiòn e Petrarca, come rifiuto del krònos.
b. la rima SUONO/SONO identifica il suo essere nella poesia, che è definita come eco lontana, depurata del dolore, cioè della realtà (non dolore, ma sospiri; non sospiri, ma 'suono', cioè musica, eco dei sospiri).
c. la prosecuzione in RAGIONO/PERDONO introduce al senso del sonetto: RAGIONARE su questa vita risolta in poesia fa nascere la speranza del PERDONO.
C'è una giunta alla definizione di poesia: il poeta ragiona nel vario stile e piange; cioè nello stile si rintraccia la sofferenza ma anche la riflessione, la conoscenza chiara del proprio dolore. Se la vita fu (ed è) disordine, la poesia è conoscenza della vita e sua risoluzione nell'ordine dell'arte.
d. la rima VERGOGNO/SOGNO richiama per assonanza la prima, e le parole, con lieve cambiamento fonico, arricchiscono il senso: di quell'esperienza il poeta si vergogna, perché riconosce che fu, che è, un sogno.
e. la sequenza successiva di rime: CORE/ERRORE/DOLORE/AMORE è comunissima; però amore è congiunto a dolore (cioè fu doloroso) e a errore (cioè condusse al peccato).
3. Le allitterazioni (che in Petrarca sono sempre volute) danno proprio fonicamente il senso di un'oscillazione, di un ritmo di composizione e opposizione.

Infatti il suono in "V" c'è nelle quartine e nelle terzine (ed è richiamo, unità, composizione) con un valore fonico di smorzatura, di sospiro (ed il significato lo conferma: Voi - invocazione; vane speranza, van dolore, mi vergogno, vaneggiar - sembrano tutti accompagnati da un ahimè). Il suono "P" interrompe la sequenza "V" con un altro valore fonico (sofferenza, scontro) ma è a sua volta ripreso dalla fine delle quartine alla fine delle terzine (cioè tra "V" e "P" c'è unità ma anche tensione).
Questa analisi dei valori fonici fa concludere che il sonetto (come tutto il Canzoniere d'altronde) va letto sotto il segno dell'unità e della varietà.

(Quel "Voi ch'ascoltate..." - scrive Dotti - è ben altro che un semplice rivolgersi al lettore per catturare la sua benevolenza. C'è il richiamo a che il lettore si concentri tutto nel problema di modo che, rivivendo in sé le passioni terrene sofferte dal poeta e da lui descritte come sempre in movimento e fluttuanti, alla ricerca tanto desiderata quanto vana di un approdo ultimo e conclusivo, impari da sé e per sé, sulla scorta di un'esperienza tutta umana e terrena (ma nobilitata dall'arte) a perfezionarsi e a migliorarsi. Di qui anche... la tensione del poeta a chiudere in un verso... un insegnamento, un "conoscer chiaramente"... il frutto insomma di un'esperienza che, provvisoriamente conclusa, viene riconsegnata al mondo degli uomini": tema unico, tono dominante, esperienza di un solo individuo; ma anche sfumature, situazioni, variazioni, contraddizioni in quel "tema", anzi "quel" tema sono appunto le contraddizioni, che sono oggetto di una ricerca continua di individuazione e di armonizzazione.
4. Due stilemi (=caratteristiche dello stile di un autore) tipici: coppia di parole (duplicazione nome, aggettivo, verbo) anche in antitesi.
Questo stilema (piango e ragiono; vane speranze e van dolore;...) marca un'analisi, oppure un'opposizione, oppure la individuazione più precisa di un significato: insomma uno stilema che riconduce al RAGIONO, alla poesia come conoscenza di sé.
5. I temi e i modi verbali, mentre indicano con evidenza l'oscillare tra vita che fu (quand'era..., nudriva, fui,...) e coscienza attuale (sono, ragiono, spero,...) sempre con stretto riferimento un individuo (c'è la prima persona singolare), nella conclusione del sonetto dilatano, con l'infinito presente, il valore dell'esperienza individuale allargandola a tutti i lettori capaci d'intenderla.
E torniamo, così, ad uno dei significati centrali del sonetto, e del Canzoniere: un'esperienza individuale in cui molti possano riconoscersi, esemplare in qualche modo. Ma i "molti" sono comunque selezionati.

In conclusione:
il sonetto proemiale si pone quindi come testo che ne presenta un altro [il Canzoniere] di cui tenta una definizione (il suono etc.); che sceglie il suo pubblico; che nella letterarietà indica la chiave di lettura suggerita ai lettori (del vario stile... cioè il lettore si trova di fronte a un'elaborazione, e trasfigurazione poetica di un'esperienza di vita), che sono partecipi della crisi dal poeta sperimentata".

E noi sappiamo che crisi non individuale, ma storica, epocale.


DI PENSIER IN PENSIER...

Commentando la canzone Sapegno scrive una pagina utile a dissipare l'equivoco romantico e "volgare" dell'immediatezza nel fare poetico.
"Nella canzone è il gioco mutevole e discorde, rapido e incoerente dell'immaginazione... ma quel gioco vi è, non rivissuto tumultuosamente, sì contemplato da una mente tranquilla, che lo ricompone nei suoi momenti essenziali, lo ricostruisce nel suo contrasto.
Questa canzone non è uno sfogo... Tra il fervore primo della passione e la rappresentazione di esso, appassionata ma lucida, s'indovina un altro momento ideale..: il momento dell'esame di coscienza, momento tutto intellettuale...
Donde il tono distaccato e lontano... la precisione del linguaggio psicologico (or ride... or teme etc..) donde anche l'architettura solidamente costruita... donde infine quello straordinario sdoppiarsi del poeta da se stesso e contemplare la propria immagine dolente e pensosa come qualcosa di caro e di estraneo."
Questa canzone è un testo importante dell'introspezione psicologica petrarchesca, in cui è reso con verità l'abituale altalenare dei sentimenti. Petrarca si dibatte tra speranze e timore, tra gioia e dolore, fiducia e sbigottimento. E talvolta, stanco di questo dissidio, vorrebbe lasciare quel suo vivere dolce amaro. Ma lo riafferra la speranza, perché l'immagine di Laura, sempre più bella, lo insegue dovunque.
In questa canzone ritroviamo proprio alcuni elementi fondamentali della personalità del Petrarca: il cammino tortuoso dei sentimenti, sempre dominato dall'incertezza; il desiderio di separarsi da questo tormento; l'incapacità di farlo, perché il suo fascino è troppo forte.
In fondo c'è il Petrarca del Secretum, che riconosce il suo errore, ma non sa liberarsene.
Questa canzone è anche importante perché è esempio molto alto di quanto il Petrarca riesca a rappresentare, e perciò in qualche modo, a dominare, il suo dissidio, attraverso il canto [v. prima il commento di Sapegno]: perciò la sua poesia ha quella limpidezza di stile e di vocaboli che la caratterizza, perché il poeta, di fronte alla sua pena non sa vincerla veramente; sa però analizzarla lucidamente, intenerirsi soavemente per essa e cantarla ("cantando il duol si disacerba...").
Per un richiamo, suggerito da questa canzone, alla più generale qualità della poesia petrarchesca, cfr. Getto (Storia, p.102-3) :
"Se materia della poesia petrarchesca è questo groviglio di contraddizioni... la forma in cui essa si presenta è limpida, equilibrata, armoniosamente perfetta... Per il Petrarca la poesia è indagine sottile della coscienza, ma non sfogo immediato dei sentimenti etc..".
Questa canzone serve anche di esempio, di altissimo documento, per un'altra qualità della poesia di Petrarca: la selezione del reale, che conduce alla stilizzazione, e che fa tutt'uno con il classicismo formale, cioè con la selezione - idealizzazione stilistica e lessicale.
Per chiarire questi due aspetti, cfr. Getto pp.99-100 ("si ha l'impressione che la realtà esterna non esista, se non come memoria o allusione, e che l'unica realtà sia l'interiorità del poeta...") e poi Getto, pp.103-4 ("per conquistare questo equilibrio è necessario un esercizio quasi ascetico di rinuncia... nella realtà [si opera] una rigorosissima selezione").


ERA 'L GIORNO CHE AL SOL SI SCOLORARO

1. Ha l'aspetto di un sonetto stilnovista, ma è distante dallo stilnovismo.
2. I tempi al passato (marcati in rima) svolgono già il tema del trascorrere del tempo, cui si contrappone la forza di una dedizione che sfida il tempo [dialettica tempo/eternità].
3. La sovrumanità della donna è affermata per litote, che sposta in fine di verso le parole che negano l'affermazione della litote (umana, mortale).
4. "Parea" con significato di sembrava si contrappone al "pare" di Dante: da una poesia dell'apparizione (verità) a una poesia del dubbio (moderna).


CARATTERI GENERALI

da Santoro, Le epoche
* Travaglio nell'ordinamento e nella cura stilistica.
* Consapevolezza che, pur di fronte al latino, quel volgare aveva il suo indiscusso valore.
* Non si creda che Petrarca volgare sia altro dall'umanista. Anzi. "Nella poesia volgare Petrarca riflette l'attitudine all'esplorazione psicologica conquistata con lo studio dei classici [è sempre l'indagine sull'uomo], fruisce delle più diverse suggestioni degli scrittori antichi, traduce nella lingua e nello stile quell'ideale di equilibrio, di chiarezza interiore, di misura che caratterizza il suo classicismo."
* Dov'è la poesia del Canzoniere? E' nella evocazione e trascrizione dell'esperienza amorosa, esplorata nelle sue più varie e contrastanti manifestazioni e sentimenti.
A questa inquieta ricerca, che approda al riconoscimento di un'inquietudine senza riparo, si accompagna, però, la coscienza dell'eccezionalità del proprio sentire, che in fondo nobilita e impreziosisce il dolore. Ha scritto Petrarca: "Viva o mora o languisca un più gentile / stato del mio non è sotto la luna!"
* Questa esperienza sentimentale (e morale, perché Laura ingloba in sé anche i conflitti morali dell'esistenza) non è però trascritta come sfogo. "Risulta da una costante convergenza, sempre sul filo di un finissimo equilibrio, di sentimento e intelligenza, di stati d'animo autentici e di disciplina letteraria."
* Insomma il Canzoniere "è la prima, grande trascrizione lirica del destino d'inquietudine e di solitudine dell'uomo moderno."


LO STILE

Quando si definisce soave e armonioso lo stile di Petrarca, occorre spiegare concretamente, con esempi, cosa sia questa soavità e che significato culturale e addirittura morale abbia quella petrarchesca ricerca dell'armonia.
Si veda il manuale di Brioschi e Di Girolamo a p. 154, ove il verso dantesco è messo a confronto con quello petrarchesco.
Quest'ultimo tende alla ordinata, simmetrica distribuzione delle unità nei versi (come mostrano i primi due endecasillabi di Solo e pensoso, fondati sul chiasmo).

Questa scelta (opposta alla tensione degli accenti e al "disordine" del verso dantesco) ha un significato profondo: il modello petrarchesco "invita l'artista ad oltrepassare la superficie caotica delle apparenze per riprodurre nella sua opera il ritmo ideale [= l'ordine] delle cose. In termini platonici, prevale il tempo dell'essere, non c'è il tempo del divenire, oggetto della mimesi.

[Ecco perché Petrarca egemonizza un'epoca letteraria, il Rinascimento o viene recuperato comunque quando la cultura di quell'epoca mira - platonicamente - all'ordine ideale, il quale, se non c'è nelle cose vive nell'arte, che appunto sostituzione e integrazione della vita: perciò Petrarca testimonia e riassume una civiltà (quella che seleziona il vissuto riordinandolo nell'armonia dell'arte, mentre Foscolo la crisi di questa civiltà, come molto bene il manuale citato spiega, utilizzando Le Grazie (II, vv. 581-95).


LA VITA

Petrarca, a differenza di Dante, è scrittore che ha molto scritto su se stesso, e in fondo tutta la sua opera letteraria è una ininterrotta indagine su se stesso, condotta all'interno della propria coscienza morale e dei propri sentimenti e delle proprie idee.

Avviciniamoci direttamente perciò, senza intermediari, a questa personalità di uomo e di poeta, leggendo un passo da una sua lettera, indirizzata da Valchiusa, in Provenza, nel 1353, ad un amico fiorentino, Zanobi da Strada:

 

 

"Ecco qual è ogni giorno la mia vita. Mi alzo dal letto a metà della notte ed esco di casa allo spuntar del giorno: ma sia in casa sia nei campi studio, e penso e leggo e scrivo. Per aridi monti, per valli rugiadose, per grotte coperte di muschio tutto il giorno mi aggiro e passeggio sull'una e sull'altra sponda della Sorga, non distratto né veduto da altre persone e sto solo in compagnia dei miei pensieri e insieme ad essi ora torno al passato ora progetto il futuro. Alla guida di Dio mi abbandono, e mentre con ogni sforzo mi adopero ad essergli obbediente, ripongo in Lui tutta la mia speranza.
Ho raccolto qui, in questa piccola valle, tutti quelli che mi furono amici, e non solo quelli che di persona conobbi ma soprattutto quelli che morirono molti secoli prima che io nascessi, e che io ho conosciuto e ammirato per la loro virtù, il loro ingegno, le loro grandi imprese. E con questi ultimi godo di conversare più che con tanti che credono di essere vivi solo perché respirano e vedono il loro fiato quando fa freddo.
Così, in simile compagnia, vagando per questi luoghi sto quasi sempre solo."

 



Quando scrisse questa lettera Petrarca aveva 49 anni. Alcuni anni prima, nel 1341, era stato solennemente incoronato e acclamato, a Roma, poeta e la sua fama era diventata universale, e gli aveva dato onori, agi, ricchezza, la venerazione quasi dei signori e dei discepoli.
Si narra perfino che un giorno due eserciti contrapposti sospendessero la guerra per consentire al poeta di proseguire nel suo viaggio, in mezzo ai due schieramenti.
Chi era quest'uomo, come era vissuto fino ad allora, come visse fino alla fine dei suoi giorni, nel 1374, a settant'anni?
Di ogni poeta, certo, è utile e interessante conoscere la vita e il profilo psicologico. Nel caso del Petrarca, più che utile è indispensabile, perché tutta la sua opera, come s'è detto, è in fondo una ripetuta e approfondita analisi, spesso tormentosa, della propria coscienza.

DALLE PAGINE DI GETTO (che ricalcano Bosco), si possono ricavare questi elementi essenziali e queste tappe fondamentali:

1. La giovinezza, tra Bologna e Avignone, fino al 1327. L'incontro con Laura. Il servizio presso i Colonna.
2. I viaggi continui, in Francia, Belgio, Germania, e per tutta l'Italia centro-settentrionale. L'irrequietezza del carattere, che meglio emerge da un confronto con Dante. Sua condizione di apolide, che, però, sente come patria l'Italia tutta e non più una città.
3. Le contraddizioni del carattere, diviso fra desiderio di sicurezza e di tranquillità e inquietudine continua, bisogno di novità e di conversazioni, di essere alla ribalta e intanto necessità di star solo.
4. Episodio emblematico dell'ascensione al monte Ventoso e della lettura di Agostino.
5. Desiderio di gloria (1341, Roma) cui segue la crisi più incisiva, sull'esempio del fratello (1343).
6. Ideali politici e di riforma della Chiesa: tornare a Roma (Cola di Rienzo) e alla Chiesa evangelica. Attacchi alla Curia avignonese.
7. I soggiorni degli ultimi anni: Milano (53-61) e le critiche dei nemici della tirannide viscontea; Venezia (61-67) e Arquà (67-74).
8. La figlia, il genero, l'amicizia con il Boccaccio.


da WILKINS, VITA DI PETRARCA, FELTRINELLI, '64

* Tratto dominante della sua personalità è il desiderio di amare e di essere amato: ecco il posto che nella sua vita ebbero Laura, la madre, gli amici, il fratello, il genero, i "suoi" antichi.

Anche la morte non era che una separazione temporanea proprio dagli amici.

* Secondo aspetto dominante: la fama. ("Questo d'allor ch'io m'addormiva in fasce// venuto è di dì in dì crescendo meco // e temo ch'un sepolcro ambedue chiuda"). Però questa brama s'illanguidì col tempo.

* Laura e la gloria, infatti, gli parvero in conflitto con la speranza della salvezza... e tale consapevolezza lo gettava nel dolore profondo. Ma questo conflitto è solo un aspetto [non forse un simbolo?] del conflitto fra le gioie molteplici della vita e il concetto che lui aveva della religione.

* Petrarca amava molto la natura, il mondo, era curioso di uomini e costumi. Eppure sebbene questi fossero tutti doni di Dio era implicito in quei doni un rischio di deviazione.

* La religione personale di Petrarca era soprattutto fatta di credenze e precetti e implicava la rinunzia a molte cose belle (anche se oneste) della vita [eredità ascetica]. Egli invidiava Gherardo ma non sapeva imitarlo.

* Circa l'indole mentale è sorprendente la sua capacità di capire tutto, d'ogni materia, d'ogni argomento. Aveva memoria poco meno che prodigiosa. Unica ed eccezionale, dati i suoi tempi, la sua attitudine all'introspezione.

LA LIBERTA' NELLA CULTURA

Poco prima di morire scrive a Boccaccio, con splendido orgoglio: "Apparentemente sembra che io sia vissuto coi principi, ma in verità furono i principi a vivere con me."

C'è tutta la superbia dell'umanista, pago della libertà della pagina, che è per lui 'la libertà', e consapevole che la politica (= il suo signore) è al suo servizio, cioè al servizio della sua libertà, e non viceversa, come volgarmente appare.

ALCUNI NODI DELLA SUA BIOGRAFIA

da Santoro, Le stagioni ecc.

* Avignone (1326-36) fu per lui centro di conoscenze, relazioni vantaggiose ed esperienze culturali. Lì conviveva l'eco della tradizione lirica provenzale con le ampie possibilità di studi classici offerte dalla ricchissima biblioteca pontificia e dai "tesori" dei monasteri francesi e fiamminghi.

Proprio in quegli anni, nel 1333 cade un avvenimento di rilievo per lui, un'eccitante esperienza letteraria, il ritrovamento del Pro Archia di Cicerone (= inno di lode alla poesia e ai poeti).

* Il decennio 1343-53 è caratterizzato da un più meditato ripiegamento su se stesso, alla ricerca dei valori dell'esistenza, delle risposte sull'umano destino e l'umana condizione. Nel 1348 moriva Laura. Nel 1350-51 incontrava, prima a Firenze, poi a Padova, Boccaccio, col quale strinse ventennale amicizia.

Documento di questa amicizia, tra le tante, sono queste parole, da una delle Senili (in mezzo alle quali spicca un mucchietto di epistole indirizzate appunto al certaldese): "Se un solo pane io m'avessi, sarei lieto di dividerlo con te. [...] Se solo un letticciuolo io avessi nella mia camera sarebbe largo abbastanza per accoglierci ambedue."

Boccaccio fu certamente conquistato dalla personalità e dalla cultura di Petrarca, ma Boccaccio, certamente, trasmise a Petrarca il suo amore per Dante.

 

 

 

© 2009 - Luigi De Bellis