IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL QUATTROCENTO
Matteo Maria Boiardo: Orlando innamorato

Poema cavalleresco interrotto per la morte dell'autore, doveva comprendere un centinaio di canti raggruppati in tre parti; nella sua forma attuale consta di 69 canti, dei quali 29 assegnati alla prima parte del poema, 31 alla seconda, e 9 alla terza. La prima ediz. (Venezia, 1486) contiene solo i due primi libri; la seconda (Scandiano, s. d., ma 1495) ne aggiunge un altro; la terza (Venezia, 1506) dà il poema completo. Il metro è l'ottava rima, l'argomento è tratto dalla materia notissima e allora ormai tradizionale del ciclo carolingio. In occasione di una grande giostra ordinata da Carlo Magno durante la pasqua rosata e alla quale erano intervenuti i più famosi cavalieri del tempo fa improvvisa e sensazionale apparizione a Parigi una bellissima e misteriosa donzella accompagnata da quattro giganti e un guerriero. L'amore fa subito strage dei cuori dei prodi guerrieri convenuti a Parigi, e in modo particolare del cuore di Orlando e di Rinaldo, le due colonne del trono di Carlo. Quella donzella è Angelica, figlia del re del Cataio, e il guerriero che l'accompagna è suo fratello Argalìa il quale, fidando nelle sue armi fatate, sfida a duello i più illustri cavalieri convenuti alla festa. Ferraù abbatte e uccide Argalìa, impossessandosi del suo elmo; Angelica prende la fuga inseguita da Orlando e da Rinaldo. Ma durante la fuga la donzella beve senza saperlo alla fontana incantata dell'amore, innamorandosi di Rinaldo, il quale beve invece alla fontana dell'odio e, preso da vergogna, tronca l'inseguimento e se ne ritorna a Parigi. In questo frattempo Gradasso re di Sericana, bramoso di entrare in possesso di Baiardo, cavallo di Rinaldo, e di Durlindana, la famosa spada di Orlando, arma un formidabile esercito e invade la Spagna, il cui re Marsilio si rivolge per aiuto a Carlo Magno: Rinaldo accorre senza indugio alla testa di un poderoso esercito. Ma Angelica fa rapire Rinaldo per mezzo del mago Malagigi facendolo trasportare in un'isola lontana. Gradasso intanto sconfigge Marsilio, costringendolo a diventare suo vassallo, poi affronta l'esercito francese facendo prigioniero lo stesso re Carlo. Gradasso sarebbe disposto a risparmiare la Francia a condizione che gli vengano consegnati Baiardo e Durlindana, e Carlo accetta: ma interviene Astolfo, comandante di Parigi, che propone a Gradasso di risolvere la cosa in singolar tenzone, lo abbatte, partendo poi subito alla ricerca dei due cugini. La guerra arde anche in Oriente dove Agricane, re di Tartaria, innamorato respinto, ha cinto d'assedio la rocca di Albracà, rifugio di Angelica: sopravvengono in buon punto prima Astolfo, e poi Orlando, che affronta e abbatte Agricane in un memorabile duello. Ma ecco accorrere ad Albracà anche Rinaldo, fuggito dall'isola e ben deciso a strappare Orlando al malefico influsso della donzella; di qui un nuovo feroce duello, finché Angelica, sempre innamorata di Rinaldo, riesce a far partire Orlando per una lontana e pericolosa impresa. La tempesta di guerra imperversa dall'Africa: re Agramante, desideroso di vendicare la morte di suo padre Troiano ucciso da Orlando, prepara una grande spedizione contro la Francia, avendo ai suoi ordini guerrieri famosi e temibili come Ruggiero e Rodomonte. Rodomonte sbarca sulle coste della Provenza mentre Marsilio, per suggerimento del traditore Gano, attacca dalla parte dei Pirenei: il momento è tragico per la Francia. Rinaldo e Orlando si incontrano nuovamente e si riconciliano; ma Rinaldo, ubbidendo a un messo di Carlo, parte verso la Francia; Orlando invece, docile solo al richiamo dell'amore, si dirige verso Albracà nuovamente assediata da Marfisa regina delle Indie. Ma Angelica, saputo del ritorno di Rinaldo, fingendo di disperare delle sorti della rocca assediata, induce l'ingenuo paladino a ritornare in sua compagnia in terra di Francia. Accade peraltro che Angelica beva ora alla fonte dell'odio e Rinaldo alla fonte dell'amore, invertendosi così le parti e complicandosi in modo singolare i rapporti fra questi tre personaggi. Difatti i due cugini, rincontratisi in patria, s'azzuffano di nuovo ferocemente insieme, e grave iattura sarebbe per la Francia se non intervenissero in buon punto l'imperatore e gli altri paladini a sospendere il duello, affidando la fatale donzella al vecchio duca Namo di Baviera, dopo averla promessa in premio a quello dei due cugini che abbia più valorosamente combattuto. Il momento è grave: Agramante, Mandricardo figlio di Agricane, e Gradasso assaltano da ogni parte. Segue una terribile battaglia, perduta dai cristiani perché in un primo tempo Orlando rifiuta di combattere ed è tratto prigioniero in un castello incantato. Rinaldo invece si batte da leone prima contro Ferraù e poi contro Ruggiero, ed è abbandonato dal poeta mentre corre in un bosco in cerca del suo cavallo Baiardo. Bradamante, sorella di Rinaldo, si batte anch'essa con valore, finendo con l'innamorarsi di Ruggiero. L'ultima parte del poema è dedicata alla descrizione dell'assedio di Parigi dove Carlo si era asserragliato, e di una disperata sortita tentata da Orlando e da Brandimarte. Così finisce il poema, la cui azione, con qualche approssimazione nella giuntura, sarà ripresa e continuata dall'Ariosto nell'Orlando furioso. L'abbondanza e la varietà prestigiosa della materia, la moltiplicazione del diletto per i signori e cavalieri adunati "per udir cose dilettose e nove" secondo l'autore dovevano essere il pregio principale del poema. E in realtà questa materia, tolta di mano ai cantastorie popolari, è qui tutta affidata all'arbitrio e alla felicità inventiva del poeta: manca un'intrinseca necessità nella concatenazione dei fatti, la prospettiva d'insieme riesce confusa, ma intenso risulta il clima di una narrazione sovrabbondante e fantastica entro il quale, vera sostanza poetica del poema, risaltano i singoli episodi. Simbolo ed espressione di questo felice arbitrio immaginativo è l'unico motivo che in un modo o nell'altro regge il poema: l'amore, forza potente, ma sinonimo di arbitrio e di capriccio, se per amore di donna si intraprendono guerre feroci e si abbandona la patria dietro l'evanescente fantastica di una bella donzella. Così l'amore si fa capriccio, negazione di quel che v'è di più profondo nell'uomo, e, trasferita in cotesto piano, la grandezza epica e umana della vasta tela vien meno, mentre l'idealità cavalleresca (coraggio, prodezza, fascino dell'avventura), con la quale appaiono travestiti la materia e i personaggi del ciclo carolingio, rimane tutta alla superficie. C'è infatti, in questo mirifico giuoco di un'immaginazione fastosa colorata dai riflessi della società colta e cortigiana dell'età umanistica, la coscienza del distacco dal reale in che consiste l'ironia implicita del poema: il fine sorriso di superiorità del poeta colto di fronte alla vecchia materia che egli imprende a cantare togliendola di mano ai cantori popolari: di qui quel senso divertito, quel giocare coi propri personaggi di cui spesso si compiace il Boiardo. Poeta meno armonioso ed elegante e più diseguale dell'Ariosto, il Boiardo è peraltro più energico e risentito nel rilievo, e, nella figurazione di certi episodi, di maggiore immediatezza epica. V'è ancora in lui la schiettezza del cantore popolare, che si afferma anche nella lingua del poema, diseguale e dura ma colorita ed efficace, venata di elementi dialettali: qualità e difetti che urtavano le delicate orecchie dei letterati cinquecentisti, sì che Francesco Berni, compose un Rifacimento dell'Orlando innamorato, ammodernandolo nello stile ma snaturandolo nella sua intima sostanza.

Daniele Mattalia

© 2009 - Luigi De Bellis