Jacopo Sannazzaro:
Salici
Poemetto in
esametri latini probabilmente
composto poco prima del 1501. Il
poeta era stato ospite del conte
Troiano I Cavaniglia
(1477-1528), accademico
pontaniano, nel soggiorno irpino
di Montella. Il carme dedicato
all'amico - che con lui doveva
dividere presto l'esilio di
Francia per la fedeltà verso il
re Federico di Napoli - si
ispira certo ai bei salici che
lungo la riva di un fiume
accompagnavano le passeggiate e
le riflessioni dei due
nobilissimi spiriti e di altri
familiari. Nell'insieme
riecheggia delicatamente un
mondo umanistico, fatto di miti
e di antiche età, vagheggiati
con un nostalgico desiderio di
pace. La favola dei satiri e dei
fauni che un dì inseguivano
lungo le rive del Sarno le ninfe
di quei luoghi meravigliosi, e
le persuadevano alla danza
sull'erba, si svolge in una
movenza di mito dell'età
dell'oro: troppo sognante è la
beatitudine pànica di quel
mondo: e un dì satiri e fauni si
rivelano - nel turbamento che in
loro genera la grazia delle
divine fanciulle - procaci,
terrigni, violenti. Il dio del
fiume e le ninfe del Sarno
cercano di salvare le infelici
dalla rapina e dallo strazio,
offrendo come estremo rifugio le
loro cerulee acque; allora esse
si tramutano, in un disperato
appello, in salici, e, nel
fuggire i maligni iddii silvani,
ancora protendono le braccia
verso la limpida corrente. Così
aleggia nel luogo - per la
rievocazione gentile dei poeti e
dei cuori amanti della bellezza
- l'antico fascino di tanta
felicità di natura.