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IL REALISMO
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CARDUCCI: LA POESIA BARBARA
La denominazione di «poesia
barbara» per indicare la poesia
in lingua moderna che si propone
di imitare metricamente la
poesia classica è stata
introdotta saldamente nell'uso -
dopo essere affiorata
sporadicamente in tempi
precedenti, ma con scarsa
fortuna rispetto a denominazioni
alternative - da Carducci, che
chiamò «barbare» le odi da lui
composte con l'intento di
riprodurvi l'andamento metrico
classico, «perché tali [barbare,
cioè straniere] sarebbero
sembrate al giudizio dei greci e
dei romani». Il tentativo
carducciano si riallacciava a
una serie di tentativi compiuti
in occasione del Certame
coronario del 1441, per il quale
Leon Battista Alberti e Leonardo
Dati composero in volgare versi
e strofe esemplati sulla
struttura metrica classica.
Questi primi esperimenti, come
pure altri numerosi eseguiti nel
Cinquecento, si fondavano sulla
convinzione che fosse possibile
determinare anche per
l'italiano, come per le lingue
antiche, la distinzione tra
sillabe lunghe e sillabe brevi,
e perciò ricreare esattamente
gli schemi dei versi
quantitativi (cioè, fondati non
sul numero delle sillabe e sulla
posizione degli accenti, quali
sono i versi moderni, ma sulla
complessiva quantità sillabica
contenuta, derivante dalla somma
di sillabe lunghe e di sillabe
brevi - due brevi per una lunga
- nei limiti di precise regole
di successione e sostituzione)
propri della poesia classica.
Rivelatosi questo sistema
incertamente stabilito nei
principi e sconveniente per
diversi motivi negli effetti, ne
fu adottato in seguito uno
diverso, cercando di riprodurre
con versi italiani presi
singolarmente o variamente
combinati fra di loro il ritmo
dei versi latini quale risultava
a una lettura non metrica, ma
grammaticale, che cioè
rispettasse gli accenti naturali
delle parole. Questo secondo
sistema ebbe egregi
rappresentanti, nel Seicento e
nel Settecento, in Gabriello
Chiabrera, Paolo Rolli, Giovanni
Fantoni. E a esso,
perfezionandolo con nuove
invenzioni formali, si attenne
Carducci, che pure aveva
studiato a fondo il precedente,
raccogliendone anche
un'antologia di esempi (La
poesia barbara nei secoli XV e
XVI, 1881), e che ben conosceva
un altro differente sistema,
sperimentato soprattutto in
Germania nel Settecento e
nell'Ottocento, consistente nel
riprodurre la successione degli
accenti dei versi classici così
come erano fissati dalle norme
della lettura scolastica. Egli
si provò anche nell'impresa di
costruire l'equivalente italiano
del distico elegiaco, ossia
della coppia formata da un
esametro e un pentametro,
impresa mai prima tentata in
italiano perché giudicata troppo
difficile data la variabilità
del numero di sillabe che i
versi potevano accogliere, e
scelse per ciascuno di essi vari
accoppiamenti di versi italiani.
I saggi carducciani di poesia
barbara, per l'importanza che
loro veniva dall'autore e dal
non essere meri esercizi
tecnici, ma spesso suggestive
prove liriche, destarono
interesse, discussioni,
imitazioni, e contribuirono
anch'essi (contro i propositi di
Carducci, che inscriveva la
restaurazione della metrica
antica in un generale programma
di restaurazione classicistica)
a liberare la forma poetica
italiana dai suoi tradizionali
vincoli metrici.
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