IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL REALISMO

DE MARCHI: DEMETRIO PIANELLI


La vicenda


Un giovedì grasso, a Milano, Cesarino Pianelli - fratello del protagonista, Demetrio - sottrae mille lire dalla cassaforte dell'ufficio dove lavora, per pagare un debito di gioco. Scoperto, dopo aver cercato inutilmente chi gli faccia credito, mentre nelle strade impazza il carnevale, si uccide. Della grave situazione finanziaria della sua famiglia si occupa Demetrio, uomo scontroso e riservato, anch'egli impiegato, ma ancora legato al mondo della campagna da cui proviene, a differenza del fratello, allettato dal lusso della città. I suoi sforzi incontrano forti ostacoli nella cognata, la bella e sprovveduta Beatrice, e nel padre di lei, Isidoro Chiesa, un chiacchierone sconclusionato a caccia di un prestito. Demetrio trova invece conforto nei figli di Cesarino, i1 piccolo Naldo e soprattutto Arabella, bambina sensibile e assennata. Nonostante i suggerimenti del suo capoufficio, il cav. Balzalotti, che lo invita a non occuparsi della faccenda, egli riesce a pagare ogni debito, aiutato anche dal cugino Paolino - un contadino sempliciotto e benestante - che gli confida di essersi innamorato di Beatrice. Qualche giorno dopo, in occasione della cresima di Arabella, Demetrio vede casualmente la cognata in abiti succinti e resta profondamente turbato. Consigliata dalla sua amica Palmira - moglie infedele di un piccolo industriale, Melchisedecco Pardi - Beatrice si reca dal cav. Balzalotti, per chiedergli il prestito a cui tanto tiene suo padre. Di fronte alle profferte galanti del cavaliere la donna reagisce fuggendo, ma non riesce a restituire un braccialetto che questi le ha infilato al braccio. Intanto Demetrio scopre con sconcerto di essere innamorato della cognata e si strugge combattuto tra questo nuovo e legittimo sentimento verso di lei e la lealtà verso il cugino, che nel frattempo gli ha consegnato una lettera in cui chiede la mano di Beatrice. Le vicissitudini amorose del protagonista si intrecciano, intanto, con quelle dei coniugi Pardi, che hanno un tragico epilogo: Melchisedecco, scoperta l'infedeltà della moglie, la uccide. Dopo un lungo travaglio, Demetrio decide di rinunciare all'amore di Beatrice e di consegnarle la lettera di Paolino, ma in quell'occasione la donna gli confessa l'increscioso episodio di cui è stata vittima a casa del cav. Balzalotti, e gli chiede di restituire il braccialetto a1 capoufficio. Ciò avviene in orario di lavoro alla presenza degli altri impiegati e Demetrio, profondamente scosso, dopo un drammatico diverbio col cavaliere, viene cacciato. Segue, inevitabile, il suo trasferimento a Grosseto. Dopo qualche tempo, senza di lui, si svolgerà, in cascina, il matrimonio di Beatrice e Paolino.

Il "gusto della minestra casalinga"


Uscito due anni rima a urtate su «L'Italia col titolo di La bella pigotta ("La bella bambola", soprannome di Beatrice, «bella di fuori, vuota di dentro»), Demetrio Pianella fu stampato con poche modifiche nel 1890. Il romanzo si colloca nella tradizione manzoniana e il suo intento è di proporre una lettura utile e educativa, ma nello stesso tempo popolare e semplice. Diametralmente opposto al linguaggio estetizzante e alle trame scabrose dei dannunziani, il testo è influenzato da una parte dalla letteratura sentimentale, di cui però rifiuta le sdolcinature di maniera e l'enfasi melodrammatica, e dall'altra dal realismo verista, pur allontanandosi dalla diligenza del suo metodo, ritenuto freddo e "notarile". La ricetta delle proposta di De Marchi è quella del gusto della minestra casalinga, risultato dell'esperto dosaggio di "buon senso" ambrosiano, commozione e lingua lombarda. Il primo consiste in una saggezza quotidiana, non pedante, intrisa di spirito pratico e di ironia; la seconda richiede la partecipazione emotiva del lettore, chiamato a immedesimarsi nelle vicende narrate; infine il linguaggio sarà bonario, dimesso, lombardo nella sua struttura sintattica, apparentemente trascurata, e nelle scelte lessicali, vivaci e ammiccanti, ma spesso volutamente logore e banali.

Sentimenti e risentimenti di un impiegato


La condizione dell'impiegato, tanto frequentemente rappresentata nella letteratura moderna, colloca questa figura sociale in una posizione intermedia che la rende contraddittoria e inquieta. Personificazione del piccolo-borghese, diverso dall'operaio per il tipo di attività non manuale svolta e per i modelli di vita più acculturati, l'impiegato ne condivide tuttavia la ripetitività del lavoro, la condizione subalterna e spesso il reddito. Diverso per questi motivi dalla borghesia, egli tuttavia la invidia e la detesta, la imita e la disprezza come fosse un fratello più fortunato. Non è un caso, allora, che le storie di Demetrio e di Cesarino, pur essendo da tanti punti di vista divergenti, siano entrambe storie di impiegati. Esse, infatti sono generate da un'unica matrice, sviluppano in modo antitetico lo stesso disagio verso una società, che nel romanzo appare in trasformazione e in crisi. Cesarino con le sue velleità scimmiotta le regole di una vita lussuosa e mondana; Demetrio con la sua modestia e povertà cerca invece di custodire i valori contadini e chiede di sperimentare sentimenti autentici, quali la solidarietà per la famiglia del fratello o l'amore per Beatrice. Entrambi, pur muovendosi in direzioni opposte - l'uno mosso dal desiderio dell'esteriorità e del nuovo, l'altro dalla nostalgia della verità e della tradizione -, falliscono e pagano: il primo con la vita, l'altro con la solitudine. Cesarino e Demetrio restano degli esclusi: non più contadini, non ancora cittadini, in bilico tra vecchi valori, spenti, sfocati, impraticabili e un mondo retto dalla falsità e dalla prepotenza, dove neppure una passione vera, come l'amore, ha diritto a esistere.
Nel romanzo infatti la maggioranza dei personaggi non sono ciò che vogliono sembrare: basti pensare al cav. Balzalotti che, mascherando la sua grettezza, ostenta qualità che non ha. Molti cadono in questa trappola, restano ingannati - come Cesarino, Beatrice, Isidoro Chiesa, Palmira - e diventano schiavi del voler sembrare. La regola dell'apparenza condanna anche Demetrio. Egli, infatti, a differenza degli altri che non sono ciò che sembrano, non sembra ciò che è, dal momento che i vistosi limiti che ostenta (è rozzo, impacciato, ingenuo, perfino balbuziente) celano virtù nascoste, di cui però nessuno si accorge, se si esclude la piccola Arabella, a cui la vita, non a caso, preserverà un destino non dissimile da quello dello zio.
Il bisogno inappagato di verità, la denuncia della menzogna imperante sfociano nel romanzo in un insoddisfatto bisogno di giustizia. Infatti, nella Milano di Demetrio le apparenze non solo inquinano i rapporti sociali, ma ricevono il premio del successo e del potere: gli onori vanno all'indegno, ancora una volta impersonato da Balzalotti o dal ricco e meschino Paolino. Ecco allora che la vicenda dell'impiegato Demetrio non esprime solo la delusione per i valori perduti: in essa l'appello ai sentimenti porta con sé i risentimenti di un ceto sociale frustrato, la sfiducia verso superiori inattendibili, il rancore verso un'autorità immeritata.

La sconfitta come scelta strategica


Nel romanzo, l'amarezza per la fiducia mal riposta e tradita da chi detiene il potere non si concretizza in un'accusa aperta e politica, né nella proposta di valori alternativi (quali potrebbero essere la fede positivistica nella scienza o quella socialista nella nascente classe operaia). La polemica assume invece le vie indirette della commozione patetica, di un percorso cioè che, pur indignandosi con l'ordine costituito, si identifica con i suoi principi. Escludendo l'invito a seguire altri valori e di fronte all'impossibilità di una difesa ormai inefficace e inflazionata dei vecchi (come erano soliti fare il romanzo sentimentale e melodrammatico dell'epoca), nel Demetrio Pianelli l'autore sceglie di rappresentare il loro fallimento, di descrivere lo squallore di un mondo privo di verità. Per scuotere il pubblico dalla sua assuefazione da una parte a una società priva di ideali e dall'altra al loro reiterato quanto vacuo elogio, gli si mostrano gli effetti della loro scomparsa. In questo modo, invitando il lettore a commuoversi di fronte a Demetrio, a immedesimarsi in un personaggio disarmato e umiliato, lo si colpevolizza; invece che suscitare le sue speranze, si fa leva sul rimpianto per un mondo perduto. Questa strategia si dimostra essere anche un utile espediente per screditare i persecutori diretti e indiretti del protagonista (il cav. Balzalotti e Paolino) e ciò che essi rappresentano (il potere e il denaro). Infatti, attraverso la messa in scena della sua sofferenza, Demetrio lancia loro un'implacabile accusa: offrendosi vittima di personaggi indegni (esponendosi pubblicamente all'ira del capoufficio e rinunciando a Beatrice a favore di Paolino) egli ottiene un beffardo capovolgimento dei ruoli. Non vinta, ma perdente per sua scelta, qui è la vittima a condurre il gioco: scegliendo di perdere, anzi, ostentando la sua sconfitta, egli costringe i suoi oppressori a recitare una parte indifendibile.

 

© 2009 - Luigi De Bellis