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IL REALISMO
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FANTASTICHERIE
Composta
attorno al febbraio 1878, questa
"novella" (ma il termine in
questo caso è improprio) è in
realtà una lunga lettera nella
quale l'autore rievoca i pochi
giorni che un'elegante signora
avrebbe trascorso con lui ad Aci
Trezza, e da ciò trae spunto per
riflettere sulla vita e sui
"valori" di questo villaggio di
poveri pescatori e paragonarli e
contrapporli a quelli del mondo
borghese e cittadino cui la
visitatrice appartiene. Leonardo
Sciascia pensa che «questa donna
non è mai esistita» è si chiede
se non sia «possibile dire che
Verga ha fatto di lei la custode
e il simbolo del ricordo, che in
lei ha oggettivato la memoria».
Il titolo - Fantasticheria -
d'altra parte è da intendersi
come abbandono alla rievocazione
di figure umane e situazioni
care all'autore, come lirico
vagheggiamento di quel mondo che
troverà compiuta espressione nei
Malavoglia. Per i problemi che
in queste pagine vengono
affrontati - contrapposizione
tra mondo borghese e mondo
povero, genesi dei valori morali
del mondo povero, criteri da
seguire per un'eventuale
rappresentazione di tale mondo -
siamo di fronte alla «più vera e
profonda dichiarazione di
poetica che Verga abbia mai
fatto» (Sciascia).
Il testo è illuminante per
comprendere la genesi dei
Malavoglia e i problemi che la
rappresentazione del loro mondo
poneva a Verga; alle rr. 54-57 è
abbozzato poi con sufficiente
chiarezza quella tecnica che si
definisce «l'artificio della
regressione». Un argomento sul
quale riteniamo utile
soffermarci è quello
dell'ambivalenza dello scrittore
nei riguardi del mondo della
"povera gente". II suo
atteggiamento infatti è duplice.
All'ipotetica destinataria di
queste pagine - una raffinata
signora interessata al povero
mondo di Aci Trezza, animata da
una disposizione paternalistica,
ma sostanzialmente incapace di
comprenderlo - il Verga dichiara
(rr. 30-34) che a «quei poveri
diavoli» basta poco «perché
trovino fra quelle loro casipole
sgangherate e pittoresche» tutto
ciò che il bel mondo cui ella
appartiene si affanna a cercare
nelle metropoli e nei luoghi
alla moda. II mondo dei poveri
diavoli è presentato quindi come
alternativa positiva alla
dissipazione mondano-borghese.
II concetto è ripetuto nella
conclusione (rr. 172-174): le
«irrequietudini del pensiero
vagabondo» si potrebbero placare
«nella pace serena dei
sentimenti miti» che quel mondo
si tramanda da una generazione
all'altra. L'autore fa una
rassegna precisa di questi
sentimenti (rr. 167-171): il
«tenace attaccamento» al luogo
che è toccato in sorte; la
«rassegnazione coraggiosa ad una
vita di stenti»; la «religione
della famiglia che si riverbera
sul mestiere, sulla casa e sui
sassi che la circondano». E al
giudizio spregiativo
dell'interlocutrice- «l'ideale
dell'ostrica! » -, obietta che
si tratta invece di «cose
serissime e rispettabilissime».
Ma questo mondo di sentimenti
perenni, questo universo della
continuità nell'immobilità può
tragicamente incrinarsi; anche
al suo interno possono
insinuarsi ed esistere con
effetti devastanti
l'inquietudine, la brama di
cambiamento, il rifiuto dei
modelli tradizionali. Anche in
un mondo del genere c'è posto
allora per il dramma:
«allorquando uno di quei
piccoli, o più debole o più
incauto, o più egoista degli
altri» si stacca e si avventura
nel mondo, è destinato ad essere
travolto (rr. 183-186).
Queste due posizioni chiariscono
a sufficienza, ci sembra, le
oscillazioni e le ambivalenze di
Verga di fronte al mondo che
proprio al tempo di queste
pagine si accingeva a
rappresentare o già stava
rappresentando. Risulta
evidente, infatti, che quel
mondo gli appariva ora come Eden
da contrapporre alla «società
delle Banche e delle Imprese
Industriali», intatta monade,
luogo deputato dei valori
immutabili, ora invece come
terreno su cui potessero
scatenarsi le forze capaci di
distruggere la pace serena dei
sentimenti miti, semplici. È
chiaro - e I Malavoglia, nei
quali c'è posto per lo zio
Crocifisso e per don Silvestro
`é per Piedipapera, oltre che
per padron 'Ntoni, sono lì a
provarlo - che sul
vagheggiamento
populistico-romantico di
un'integrità della campagna
prevalse l'altra prospettiva,
quella «dettata invece
dall'approfondimento di una
oggettiva visione della vita
materialisticamente fondata,
secondo la quale la società
arcaico-rurale non può che
essere regolata, dalle stesse
leggi naturali che si possono
rintracciare anche nella vita
borghese e cittaina» (Luperini).
E tuttavia i segni di questa
duplicità o oscillazione sono
visibili: se il mondi dei
Malavoglia è dominato
dall'inesorabile meccanismo
della pura economicità, Verga
non rinunzia al vagheggiamento
del mondo dell'autenticità, dei
sentimenti miti e semplici, all'idoleggiamento
di una mitizzata società
patriarcale: padron 'Ntoni, (nel
complesso), la Longa, Mena,
Alessi, la Nunziata, la cugina
Anna ne sono incarnazioni.
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