IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL REALISMO

DE ROBERTO: I VICERE'


Progetto e composizione


Sul finire degli anni Ottanta, sensibile alle suggestioni che derivavano dalla poetica e dalla produzione di Zola e di Verga, Federico De Roberto concepì il progetto di un grande ciclo narrativo incentrato sulle vicende generazionali di una famiglia dell'aristocrazia catanese: gli Uzeda.
Nella realizzazione però non rispettò l'ordine cronologico delle vicende: L'illusione, pubblicata nel 1891, si colloca infatti logicamente come un seguito o comunque come «un episodio collaterale» (Spinazzola) del Vicerè, pubblicati tre anni dopo. Il vero e proprio proseguimento della narrazione si ha con L'imperio che, concepito tra il 1894 e il 1895 ma rimasto in una redazione non definitiva, è stato pubblicato postumo nel 1929.

La vicenda


Ridotta all'essenziale, la vicenda de I vicerè si incentra sui rapporti che fra di loro e con la società contemporanea intessono i figli della principessa Teresa Uzeda di Francalanza (il romanzo si apre con la descrizione della lettura delle sue disposizioni testamentarie).
La famiglia Uzeda, di antica aristocrazia, da sempre a Catania ha esercitato il potere in tutte le sue forme (come i vicerè spagnoli) e i figli della principessa Teresa perseguono ossessivamente in questa difesa dei loro privilegi. Ala dilanianti contrasti di interessi oppongono il primogenito principe Giacomo, travolto da una cinica avidità, al fratello, il dissoluto conte Raimondo, cui alla fine riesce a sottrarre la quota ereditaria; e il cocciuto e violento don Blasco, costretto a farsi frate, alla di lui sorella Ferdinanda (e a tutti gli altri) che accumula ricchezze esercitando spietatamente l'usura. Intanto parecchie cose cambiano nella società meridionale (le vicende narrate si collocano tra il 1850 e il 1880), ma i "vicerè" accettano e sfruttano le novità esteriori purché l'essenziale - la gestione del potere - non cambi. E così il duca Gaspare fa il doppio gioco fra rivoluzionari e borbonici, ma finisce senatore del Regno d'Italia; don Blasco specula sulla vendita dei beni ecclesiastici; Consalvo, figlio del principe Giacomo, mima con lucido calcolo atteggiamenti democratici (la descrizione di un suo istrionesco comizio conclude il romanzo) e si fa eleggere deputato. I Vicerè, ad onta della "rivoluzione" risorgimentale, restano sempre vicerè.

Personaggi e ambienti


De Roberto imposta la sua narrazione ciclica in un modo ben diverso da quello seguito da Verga nel ciclo de «I Vinti». Verga progetta e in parte realizza un ciclo narrativo che inizia con la descrizione dei livelli più bassi della stratificazione sociale e via via passa alle classi superiori: il che comporta varietà di ambienti e di personaggi da rappresentare. De Roberto invece circoscrive il suo interesse a un solo ambiente: oggetto di rappresentazione sono quindi i riti mondani, gli intrighi, le lotte per il potere - all'interno delle parentele e all'esterno, di fronte al mutare della situazione socio-politica - di un'unica classe, quella egemone, cioè l'aristocrazia. Questa limitazione, questa attenzione pressoché esclusiva per un ambiente sociale non impedisce però al narratore di presentarci una straordinaria varietà di personaggi, di singole individualità: a parte i personaggi minori (come collocazione sociale e come importanza nell'impianto narrativo) - servitori, faccendieri, famuli, piccoli borghesi, ecc. - che si muovono nell'orbita di Uzeda, c'è all'interno di questo clan familiare una galleria quanto mai ricca e variegata di personaggi che, individualmente connotati, si alleano e si scontrano in una complessa lotta per la ricchezza e per il potere. È difficile qui dare un'idea di questa varietà tipologica, che è una delle più significative caratteristiche di questo grande affresco narrativo. Ci limitiamo a richiamare l'attenzione solo su alcuni: la vecchia principessa Teresa, che nel romanzo è descritta, per così dire, in absentia: le sue disposizioni testamentarie e i ricordi che su di lei affiorano via via nelle conversazioni, o nei litigi, dei figli ne delineano la personalità ambiziosa e dispotica sino alla crudeltà; Giacomo, l'abile e avido primogenito, che riesce a carpire agli altri fratelli le loro quote di eredità e i loro beni; Gaspare, che ha qualche velleità liberale, ma che nel '48, con spregiudicato opportunismo, sta in bilico fra rivoluzione e reazione borbonica e nel '60 con la vittoria garibaldina diventa "gattopardescamente" sindaco di Catania e poi senatore, per meglio curare i suoi interessi; la "zitellona" Ferdinanda - cui la cognata, la principessa Teresa, ha impedito di sposarsi -, che accumula ricchezze esercitando l'usura e non trascura occasioni per inveire contro i tempi "democratici".
Ma il personaggio che un lettore dei Vicerè non può dimenticare è don Blasco, cognato anche lui della principessa Teresa: costretto a farsi frate - ma nell'aristocratico convento di S. Nicola - senza vocazione, ridotto allo stato laicale dopo la soppressione dei conventi e arricchitosi con l'acquisto dei beni ecclesiastici, perennemente in lite con i parenti, sanguignamente cocciuto e collerico, donnaiolo, bestemmiatore, don Blasco è certamente la più felice creazione di De Roberto «che lo descrive con un tono di grandiosa epicità che a tratti sfiora i1 grottesco» (Bàrberi Squarotti). E a questo proposito Leonardo Sciascia ha osservato che «tanti personaggi della narrativa siciliana (e specialmente certi personaggi di Brancati) son venuti fuori dalla tonaca di don Blasco».

L'infeudamento del Risorgimento


In una prospettiva che non si limiti soltanto alla storia letteraria, mantenga conto dei problemi politico-culturali della società italiana, I Vicerè sono di fondamentale importanza come testimonianza di quella "delusione risorgimentale" che è presente in tanta pubblicistica e in tanta letteratura del secondo Ottocento (da Carducci a Verga a Villari, ecc.). La spregiudicata difesa del potere gestito da generazioni, il cinico trasformismo degli Uzeda - specie di Gaspare e di Consalvo - e il loro camuffarsi da democratici per continuare a essere di fatto i "vicerè", assumono il significato di esemplare paradigma del comportamento della classe dominante italiana nel secondo ottocento e di quel processo che è stato definito «infeudamento del Risorgimento» (G. Trombatore): il potere oggi col "democratico" regno d'Italia resta sempre nelle mani di coloro che lo avevano ieri, col regno borbonico. È un tema questo nel quale si fondono amara delusione e lucida analisi e che nella narrativa siciliana avrà cospicua presenza: dal Verga di Libertà e di .Mastro-don Gesualdo a I Vicerè, dal Quarantotto di Sciascia al Gattopardo di Tomasi. E non è fuori luogo ricordare che proprio il grande successo di quest'ultimo romanzo ha rilanciato l'interesse per I Vicerè e ha fatto scoprire ai lettori con quanta maggiore profondità di analisi socio-politica (rispetto al Gattopardo) sia qui rappresentato il medesimo periodo storico.

Le modalità narrative


Sul piano specifico delle tecniche narrative I Vicerè rappresentano la sintesi di due diverse esperienze che il De Roberto aveva condotto contemporaneamente: quella del romanzo o racconto psicologico (modello, lo scrittore francese Paul Bourget) e quella del romanzo o racconto naturalisticoveristico, portato anzi agli estremi limiti dell'impersonalità come esemplarmente risulta dalle novelle Processi verbali. Da ciò la coesistenza nel romanzo di oggettivi e scientifici "referti" sui comportamenti e sulle tare di alcuni personaggi e, nel contempo, di introspezioni psicologiche: «Egli diceva queste cose anche per se stesso, per affermarsi nella giustezza delle proprie vedute...») o di rivelazioni dei pensieri dei personaggi o di moderati interventi del narratore a commento dei comportamenti dei personaggi: «Se fosse stato più accorto, avrebbe preso con le buone la vecchia, senza rinunziare...».

 

© 2009 - Luigi De Bellis