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IL SEICENTO
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La lira
Raccolta
di liriche pubblicata nel 1602
col titolo generico di Rime,
ristampata nel 1614 con
l'aggiunta di una terza parte
alle due di cui constava la
prima edizione. La raccolta
comprende oltre 800 poesie, tra
sonetti canzoni madrigali
stanze, e in alcune di esse è da
riconoscere il meglio della
poesia mariniana. Certo, anche
in questa raccolta e nelle
stesse cose migliori, il Marino
ci appare, piuttosto che un
poeta, un virtuoso della poesia,
che non rifugge dal trattare
qualsiasi soggetto e sa variare
all'infinito i medesimi motivi,
incapace peraltro di raggiungere
in uno o in pochi componimenti
poetici quell'espressione
definitiva e unica dell'animo
che è propria dei poeti veri.
Anche qui, sebbene in maniera
meno meccanica che nel maggiore
poema, la virtuosità ostentata
diventa ingegnosità, che si
compiace di sorprendere con
l'arguta e inattesa deduzione,
con le antitesi e i paralleli
singolari, con le ricercate
assonanze e allitterazioni.
Prima ancora che per le loro
doti poetiche, queste rime sono
importanti come uno dei primi e
più cospicui esemplari, sui
quali si educò il gusto dei
lettori e dei poeti del
Seicento: nella Lira, infatti,
nelle sue divisioni e
suddivisioni, nei vari argomenti
e nei vari motivi delle liriche,
è già, si può dire, tutta la
poesia secentistica. Da parte
sua il Marino si rifaceva al
Tasso minore delle Rime erotiche
e cortigiane, all'autore del
Pastor fido e, per certo gusto
paesistico e descrittivo, al
Tansillo, e molto attingeva
dalle fonti più svariate, da
Ovidio in special modo e dai
Greci: di suo portava una vena
di accesa sensualità, che
supplisce, nelle sue cose
migliori, la mancanza di un
qualsiasi sentimento, ma non
può, nonostante l'abilità del
verseggiatore, ispirare una
poesia varia e complessa. Tale
ispirazione hanno la canzone dei
"Baci", composta dal poeta a
diciotto anni e divenuta subito
famosa, e, con quella, le altre
canzoni, i madrigali, i sonetti
che egli compose sullo stesso
argomento, quasi gareggiando con
se stesso in un virtuosismo non
puramente retorico; né
ispirazione diversa hanno le
poesie encomiastiche e
cortigiane, quali le due canzoni
"La Ninfa del Tebro" e "La bella
inferma", nelle quali il poeta
si abbandona a un gioco di
leggiadre iperboli; o le
descrizioni di scene naturali,
che si trovano in special modo
fra le "Rime marittime e
boscherecce", in cui il poeta
riprende i temi e i motivi della
poesia pastorale dell'antichità
e del Rinascimento.
Né in queste rime in cui il
soggetto è sempre l'amore, né in
quelle definite dall'autore come
"amorose", risuona un solo
accento di passione vera o si
scorge l'immagine di una donna
amata o amante: la poesia
erotica del Marino o cade nella
lascivia, per non dire
nell'oscenità, o si salva in un
gioco d'immagini e di suoni,
come nella bella canzonetta
"Eco", o in quell' "Amore
incostante" che può far pensare
al celebre catalogo di Leporello
del Don Giovanni mozartiano e
sembra preannunciare certe
canzonette gnomico-sentimentali
del Seicento. Assai più povera,
per non dire nulla, per quanto
la produzione sia molto copiosa,
è la poesia del Marino intorno
ad altri argomenti: il troppo
celebrato sonetto
sull'infelicità umana, "Apre
l'uomo infelice allor che
nasce", non è altro che lo
svolgimento retorico, di un
luogo comune; e, fra la molta
rimeria sacra, appena si può
ricordare per una certa vena di
tenerezza la canzone sulla
Madonna che cerca Gesù Bambino
smarrito e lo ritrova in disputa
coi dottori. Unica invece resta
in tutta l'opera del fecondo
rimatore napoletano la canzone
giovanile per la morte della
madre, dal metro insolitamente
grave e solenne e improntata
d'un accento d'affetto sincero:
vi si rivela anche, in qualche
verso robusto, un fondo di
tristezza che era forse
nell'animo di questo letterato,
avido di piaceri, di ricchezze,
di onori, ma che non diventò mai
per lui un motivo di vera
poesia.
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Mario
Fubini | |
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