IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL SEICENTO

La sampogna


Raccolta di idilli intitolata dallo strumento tradizionalmente attribuito alla poesia pastorale, pubblicata nel 1620 e divisa in due parti, comprendenti la prima gli "Idilli favolosi" e la seconda gli "Idilli pastorali". I primi, in numero di otto ("Orfeo", "Atteone", "Arianna", "Europa", "Proserpina", "Dafni", "Siringa", "Piramo e Tisbe"), non hanno di pastorale che la scena naturale in cui si svolge l'azione e sono più propriamente dei poemetti, nei quali l'autore riprende qualche famosa storia d'amore dell'antichità, alternando al racconto, che è per lo più in endecasillabi e settenari liberamente rimati, squarci lirici in diverse forme metriche. Con questa polimetria, e con gli ampi sviluppi descrittivi, il Marino credeva di avere dato una veste moderna e originale a quelle favole, che egli desumeva, spesso parafrasando e sempre amplificando, dalle Metamorfosi di Ovidio, dagli Idilli di Mosco, dal Ratto di Proserpina di Claudiano, dalle Dionisiache di Nonno Panopolitano e, per l'ultimo, da un omonimo poemetto del poeta spagnolo Jorge de Montemayor. Ma la sua ci sembra piuttosto opera di abile artefice che di poeta, e soltanto di rado, nella descrizione, per esempio, della grotta in cui Diana si bagna con le sue ninfe (nell'"Atteone"), o nella scena in cui Bacco contempla rapito Arianna dormente (nell'"Arianna"), si avviva con qualche tocco di poesia. Più scarsi risultati egli raggiungerà nelle altre favole di amori mitici, poi svolti nelle sonore e pretenziose ottave dell'Adone. Nel consueto mondo pastorale ci portano invece i quattro "Idilli" della seconda parte della Sampogna: "La bruna pastorella", "La ninfa avara", "La disputa amorosa" e "I sospiri d'Ergasto": tre dialoghi, i primi, fra l'amante e la donna amata, e un lungo monologo, l'ultimo, in 119 ottave, di un innamorato infelice. Notevoli sono "La bruna pastorella", per gli accenni alla vita e alle opere dell'autore, e "La ninfa avara", dove lo spirito del poeta, fondamentalmente scettico e inclinato allo scherzo e allo scherno, ha agio di manifestarsi nel contrasto fra l'innamorato che profonde le lodi più enfatiche alla sua bella, e la donna, che si fa beffe di lui e della sua fraseologia letteraria e gli chiede piuttosto, in cambio dell'amore richiesto, qualche più tangibile e concreta ricompensa. È questa una delle cose più sincere del Marino, ma anche devono essere ricordate quelle "Egloghe boscherecce", da lui composte in età giovanile e poi rifiutate, pubblicate a sua insaputa nel 1620 e poi ristampate in alcune edizioni della Sampogna. Più semplici e più brevi degli "Idilli", quelle "Egloghe" sono, in alcune parti almeno, cose assai più ispirate di queste composizioni più mature. Nonostante certa trasandatezza hanno, per esempio, un loro accento poetico le egloghe "Dafni" e "Siringa", che trattano la materia medesima di due "Idilli favolosi", e sanno dare una voce alla passione amorosa di Apollo e di Pan, invano inseguenti le ninfe amate.

Dicesi che fu il corruttore del suo secolo. Piuttosto è lecito di dire che il secolo corruppe lui o per dire con più esattezza, non ci fu corrotti né corruttori. Marino fu l'ingegno del secolo, il secolo stesso nella maggior forza e chiarezza della sua espressione. (De Sanctis).

Né Marino fu un genio, né i marinisti rappresentano l'indebolimento, il frazionamento, la corruttela dell'opera di lui. Il poeta napoletano (che si dimostra in quasi tutta la sua opera retore verboso e non poco pedante) fu, più che altro, l'additatore di una via o di più vie, solo in parte percorse da lui; nelle quali non sarebbe forse arrischiato affermare che altri si spinsero più innanzi e conseguirono alcuni effetti artistici, e non artistici, che egli solo talvolta e parzialmente ebbe a operare. (B. Croce).

Mario Fubini

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