IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL SETTECENTO

Alfieri: Profilo


In tutta la produzione dell'Alfieri, nella varietà dei generi letterari toccati (trattati, tragedie, autobiografia, lirica), sono costantemente presenti due idee di fondo, due motivi che sia pure con varia intensità la percorrono: la rappresentazione di un particolare "mito umano", di una particolare figura di uomo, e la celebrazione della libertà.
Il mito umano vagheggiato dall'Alfieri ha senz'altro caratteristiche che lo differenziano dalla umanità normale e quotidiana; è un uomo nel quale i sentimenti e le passioni, gli affetti insomma nell'accezione più ampia del termine, assumono una forza, un'intensità di gran lunga superiore alla media, è un uomo che «sente altissimamente», che vive le sue esperienze interiori a livello di «furore» (un termine al quale l'Alfieri ricorre con una frequenza quasi ossessiva). Non c'è qualità umana che l'Alfieri privilegi più di questo livello oltranzistico del sentire, ed egli dichiara apertamente di considerare addirittura «Dio l'uomo altissimamente sentente».
Quanto poi all'altra idea portante della sua opera, la libertà, c'è da precisare che si può avere all'inizio l'impressione che si tratti di una libertà politica e quindi di una libertà come opposizione al potere assolutistico, alla tirannide (e fu questa l'interpretazione che i lettori dell'ottocento risorgimentale privilegiarono), ma ad una lettura più attenta ci si rende conto che la prospettiva alfieriana va ben oltre la politica. La libertà che egli celebra non è cioè la libertà di stampa o di pensiero, che nel corso del Seicento e soprattutto nel dibattito illuministico erano state teorizzate, ma è la libertà per l'uomo di estrinsecare tutte le sue valenze senza limitazioni e costrizioni, l'integrale autoaffermazione dell'individualità umana; è quindi una libertà esistenziale, non una specifica libertà politica. E la tirannide di cui parla l'Alfieri, e alla quale eroicamente si oppone il «liber'uomo», è ben più che uno specifico regime politico: essa sta ad indicare il limite o meglio l'insieme dei limiti (non solo storici ma anche naturali) che tiranneggiano gli esseri umani e ne impediscono la realizzazione in una prospettiva di totalità.
Questi due motivi - che per chiarezza didattica abbiamo illustrato singolarmente - nell'opera alfieriana ovviamente si integrano a vicenda e fanno un tutt'uno. Nell'autobiografia, ad esempio, scritta nell'ultima parte della sua vita, l'Alfieri dà un'immagine di se stesso che si inquadra perfettamente nella tipologia umana da lui teorizzata e rappresentata nelle sue precedenti opere; ciò non significa che quanto egli scrive di se stesso e delle sue vicende si debba considerare pura invenzione, ma soltanto che in questa opera egli ha dato, della sua vicenda umana, una trascrizione e un'idealizzazione letteraria, presentandosi al lèttore come un personaggio di dimensione eroica e superomistica, qual è quella che caratterizza i personaggi delle sue tragedie.
La tragedia era una modalità drammatica, potremmo anche dire un genere letterario, non molto presente nella letteratura italiana, ma l'Alfieri lo scelse spinto quasi da un'interiore necessità: la sua concezione della vita era intimamente basata sullo scontro, sulla lotta fra quel particolare tipo di uomo che abbiamo descritto e i limiti e gli ostacoli che ad esso si oppongono, sintetizzati e simboleggiati nella figura del tiranno; quindi la forma tragica era la più adatta, quasi la più "naturale' per esprimere questa sua concezione agonistica e conflittuale. Alla luce di tutto questo si comprende come l'Alfieri non potesse scegliere che personaggi e vicende già nobilitati e celebrati dalla tradizione (Antigone, Bruto, Saul, ecc.) e come egli fosse estremamente lontano da quel "dramma borghese" per cui si battevano Diderot e Lessing. Ma l'Alfieri è lontano anche da tante altre posizioni dell'Illuminismo, è oltre: il suo mito umano, caratterizzato da un'oltranzistica intensità affettiva, scardina i razionali equilibri della tipologia borghese-illuministica: le posizioni che teorizza di fronte all'esperienza della Rivoluzione francese si risolvono in difesa dei privilegi nobiliari e in satira dei principi illuministici, entrambe particolarmente astiose. Dall'Alfieri le generazioni immediatamente seguenti accoglieranno - leggendone l'opera secondo le loro esigenze - le suggestioni di un mito umano agonistico, dominato sempre da furori eroici, e l'indicazione di una letteratura come strumento di libertà (intesa, questa, secondo una lettura discutibile ma legittimata dalle contingenze risorgimentali, come libertà politica)
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© 2009 - Luigi De Bellis