IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

ARGOMENTI

Caratteri generali
Il Barocco e G.B. Marino
La commedia dell'arte
Il melodramma
Galileo Galilei
Introduzione all'Arcadia
 
AGGIORNAMENTI
 

HOME PAGE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


IL SETTECENTO

Alfieri: la fine di Saul


Tutto crolla intorno a lui nelle squallide, brevi, incalzanti scene finali in cui la tragedia libera il suo ritmo dagli avvolgimenti, dalle pause (dalle abbondanze anche, che qualche volta appesantiscono questo capolavoro) degli atti precedenti, e precipita verso la catastrofe recuperando in forme piú rapide e risolutamente tragiche - nei brevi, assoluti incontri dei personaggi sopravvissuti, nelle loro battute inquiete e sollecitate dalla azione che li travolge - le note più intime dell'elegia, della tenerezza affettuosa, della pietà che circonda Saul e da cui Saul si difende (e mentre se ne difende le rivela e le accentua in se stesso, nella sua ricca umanità) per non cedere all'impeto di autocompassione, di intenerimento che sale dalla sua intensa sensibilità e che tanto lo distingue dai semplici tiranni, dai «superuomini» di altre tragedie alfieriane.
Mentre Saul corre alla battaglia, gli viene incontro Abner, «con pochi soldati fuggitivi», gli annuncia in parole pietose ed essenziali (anche Abner trova qui la sua luce più poetica, il suo linguaggio più profondo) la sconfitta, e la morte dei figli: notizie che, nella forma esitante e fratta con cui gli vengono comunicate, fan vibrare in Saul gli ultimi sussulti del suo sdegno e della sua diffidenza. «Sconfitti? e tu fellon, tu vivi», dirà Saul ad Abner, che ha voluto sopravvivere solo per salvare il suo re, mentre questi sdegna per sé una simile offerta di fuga e di sopravvivenza: «Ch'io viva, ove il mio popol cade?». E chiederà, fra diffidenza e trepidazione paterna: «Gionata... e i figli miei... fuggon anch'essi? - Mi abbandonano?».
E dalla reticente risposta di Abner («Oh cielo!... i figli tuoi... - no, non fuggiro... Ahi miseri!...) trarrà la sicura e terribile conseguenza: «T'intendo: - morti or cadono tutti». Egli si è fatto sempre più lucido e sicuro nella risoluzione della morte («lo da gran tempo in cor già tutto ho fermo: - e giunta è l'ora»), nella squallida coscienza della sua assoluta infelicità, nella eroica volontà regale di affrontare da solo la morte in un'estrema affermazione della sua dignità, in un estremo contrasto con la potenza ostile che può infrangere, ma non domare la sua gigantesca personalità.
Allontanata Micol mentre «si appressan l'armi» - ed essa si tende in un'estrema invocazione senza risposta: «Padre! ... e per sempre?» (mai come qui l'Alfieri raggiunge tanta potenza nell'incontro dell'azione e del tempo che incalza e brucia ogni indugio e la tensione degli affetti che ripugnano alla separazione definitiva, all'esito tragico della sorte dei mortali) - Saul rimane solo nella sua estrema prova di «infelice eroe».
Caccerà dal suo animo l'ultima immensa traccia di tenerezza («Oh figli miei!... Fui padre»), commenterà rapidamente la sua tragica solitudine («Eccoti solo, o re; non un ti resta -dei tanti amici o servi tuoi»), e si rivolgerà al suo antagonista più vero:

                 Sei paga, d'inesorabil Dio terribil ira?

Non preghiera, non riconoscimento di giustizia, e neppure il completo svolgimento della persuasa, aperta denuncia del Leopardi («la man che flagellando si colora - nel mio sangue innocente»), ma certo l'individuazione potente della forza superiore e inesorabile a cui risale l'origine delle sue sventure, del limite ferreo che invano Saul ha cercato di superare e di fronte al quale egli - mentre testimonia con la sua morte solitaria, abbandonata, fuori della ebrezza della vittoria e persino della battaglia, la coscienza suprema dei personaggi alfieriani della invincibilità del limite e della inutilità dolorosa dei loro sforzi titanici - afferma ancora la sua dignità eroica, la sua volontà di suprema liberazione, la tragica grandezza degli uomini alfieriani, vinti, ma non piegati, capaci, nell'estrema sconfitta, di un ultimo ergersi impavido di fronte alla morte, non subita ma voluta come prova suprema della loro ansia e possibilità di libertà e di affermazione
.

 

© 2009 - Luigi De Bellis