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IL SETTECENTO
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Alfieri: Vita
Nella Vita - come accennato nel
Profilo - l'Alfieri mira in
maniera prioritaria a mettere in
luce con quanta volontaristica,
"eroica" determinazione egli
abbia conquistato le sue
capacità poetiche. Il testo che
abbiamo riportato è
testimonianza di ciò. Scrive, a
tale proposito, Gian Luigi
Beccaria:
Più che l'accento sulla vita
individuale, sulla storia della
propria personalità, Alfieri
pone l'accento sul suo essersi
fatto poeta, quasi a dispetto
delle condizioni avverse, ma
grazie al richiamo di un'antica
letteratura, gigante al cospetto
del povero presente delle
lettere. Proprio come
nell'antichità, l'autobiografia
alfieriana si connette con
l'apologia. Alfieri celebra la
sua maturità nel ripetere e nel
ritrovare i propri peccati
(letterari) giovanili superati.
Come Vita stesa nella maturità,
da un poeta risolto, che ha
compiuto l'opera, questa Vita
presuppone in ogni stadio del
narrare un narratore che sarebbe
diventato poeta tragico
laureato, e in lingua toscana
(la lingua poetica per
eccellenza, la più antica e
classica tra le moderne). Ogni
giovanile allontanamento, o
stortura, è in funzione della
futura e definitiva ammenda.
Come nell'agiografia, nella Vita
ci sono cadute, tentazioni con
vittorie e superamento
dell'ostacolo, redenzione
finale. La Vita dell'Alfieri ha
i caratteri dell'elogium; o
dell'agiografia di sé, di un
`personaggio' che investe la
realtà delle proprie vicende di
fasti celebranti un'alta
solitudine morale e poetica alla
quale ha cercato di
approssimarsi scegliendo il
genere di poesia classico per
definizione (la tragedia), con
eroica tensione, antagonistico
esercizio, seguendo giorno dopo
giorno un serrato programma
operativo di accaparrante
lettura di pochi sommi autori
dei secoli 'aurei.
Perciò ineducazione e
manchevolezze, cadute e peccati,
sono nella Vita premessi perché,
a contrasto, risulti alla fine
meglio la misura e il valore del
superamento tecnico di ostacoli,
della conversione stilistica.
Frequenti difatti le
sottolineature o gli allegati
delle imperizie e dei peccati
d'origine, premesse all'ascesa
faticosa ma sicura (vedi in Vita
III, 15 il suo primo ingenuo
sonetto, o la rifiutata
Cleopatra Tragedia, di cui
s'allega saggio come «autentico
monumento della sua imperizia»
perché meglio risulti alla fine,
appunto, la maturità dei
monumenti perenni a venire). La
Vita celebra una faticosa
conquista: l'arrivo alla Poesia
come e dopo tortura rituale; la
mortificante umiliazione alla
disciplina .
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