IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL SETTECENTO

Parini: Il giorno


 

Poemetto di Giuseppe Parini (1729-1799), in quattro parti, delle quali la prima, il "Mattino", fu pubblicata nel 1763, la seconda, il "Mezzogiorno", nel 1765, la terza e la quarta, il "Vespro" e la "Notte", incomplete e postume nel 1801. Il poeta vi rappresenta la vita frivola, oziosa, corrotta della nobiltà milanese del tempo, fingendo con sagace ironia di esaltarla come un capolavoro di eroiche imprese. Protagonista è un Giovin Signore che vive la sua giornata laboriosa e disutile, conciliando il libero impulso del capriccio e del piacere con le rigorose norme del galateo aristocratico e della volubile moda. Ogni altra legge è a lui ignota, e vani nomi sono per lui necessità, virtù, dovere: sicché il poeta stesso che vuole accompagnare col sapiente consiglio il giovane eroe nelle varie occupazioni e vicende del giorno, si trasforma in "precettore d'amabil rito", cioè in maestro della moda. L'azione incomincia quando il sole è già alto sull'orizzonte. Il Giovin Signore che ha trascorso gran parte della notte "tra le veglie e le canore scene e il patetico gioco" e si è addormentato al canto del gallo, non può destarsi al sorgere del sole, come gli umili mortali che debbono col lavoro sostentar l'esistenza e provvedere ai piaceri dei nobili, semidei terreni. Gravi cure attendono l'eroe al suo risveglio. Egli, che disprezza e odia ogni forma di attività, le arti, le scienze, la gloria acquistata col rischio della vita, deve accingersi all'immane fatica di rendere artisticamente perfetto ogni moto, ogni gesto, ogni espressione della sua persona. La prova incomincia dagli atti più comuni, come stropicciarsi gli occhi e sbadigliare, governati negli altri mortali dall'istinto, in lui dall'ardua ricerca della grazia. Risolto il grave dubbio se prendere il caffè o la cioccolata, siano ammessi alla sua presenza i maestri di ballo, di canto, di musica, di francese, ed egli sorbendo la bevanda domandi di cantori, di cortigiani, di danzatori, licenziando "l'ipocrito pudore e la schifa modestia". Da tali precettori vien tutta la sua cultura, stupore del volgo ignorante. Ma è tempo che i valletti apprestino le armi al nuovo Achille: la serica zimarra, il bacino, il sapone, la spugna ecc.; è tempo altresì che egli si rammenti della dama, legata al marito dai vincoli noiosi delle nozze, ma a lui dai patti santi del nuovo costume cavalleresco. Mandi un messo a domandare se ha dormito bene, e nell'attesa non stia ozioso, ma mentre il buon agricoltore suda e indurisce al vomere la mano e l'industre artiere "sta fisso allo scalpello, all'asce, al subbio, all'ago", provveda ad accrescere con l'arte i bei pregi della natura, perché possa col beato aspetto beneficare il mondo e ricompensarlo delle sue fatiche. Si è lavato, impomatato, incipriato, deve ora pettinarsi. Lavoro lento e difficile, la cui noia sarà vinta dalla lettura fugace e distratta degli scrittori di moda, lo scettico Voltaire, la piccante Ninon de Lenclos, l'osceno La Fontaine. Altro svago sarà ricevere il mercante di ninnoli e gingilli e il miniatore di ritratti. Completata la toletta e riempitosi le tasche di un'infinità di leggiadri arnesi indispensabili ai cavalieri e alle dame eleganti (astucci, boccette, cuscinetti, lenti ecc.), raggiunga in cocchio la dimora della dama e non si curi se a volte il volgo lento a cedere il passo macchi le ruote e la strada col suo sangue impuro. Nuove prove attendono il campione. Al suo apparire, la dama che ha ingannato l'attesa con le piacevoli arti della civetteria e della maldicenza, si affida tutta al suo cavaliere, mentre lo sposo se ne sta in magnanima quiete, sorride ingenuo e mostra docil fidanza. La gelosia, propria di barbari costumi, è assolutamente ignota a questa età felice. Alla mensa, su cui si consuma beatamente il sudato patrimonio degli avi, siedono tipi interessanti come il mangiatore formidabile e il pitagorico vegetariano, che serba alle bestie tutta la pietà negata agli uomini e ricorda così alla dama il triste episodio della vergine cuccia che un servo osò colpire col sacrilego piede attirando sul suo capo la giusta vendetta che lo trasse a languire di miseria sul nudo lastrico con tutta la famiglia. A tavola si parla di arte, di commercio, d'industria, di scienze con facile disinvoltura, esaltando il genio della Francia, deridendo l'insufficienza dell'Italia; si plaude alle nuove idee spregiudicate, ma si respinge quella dell'uguaglianza sociale, che vorrebbe pareggiare l'ignobile cocchiere e il vile contadino al nobile signore. Dopo il caffè le coppie si affiatano in dolci colloqui mentre giocano al tric-trac. È quasi sera, incomincia la sfilata dei cocchi al corso; la nostra coppia non può mancare allo splendido spettacolo di eleganza, di vanità, di gelosia, di curiosità pettegola e maligna, finché scende la notte a coprire e confondere col suo colore "i cenci e l'oro". Non è terminata ancora la fatica del Giovin Signore, e nuovi allori egli deve cogliere alla veglia o al teatro. Varia folla di eroi si raccoglie in una casa ospitale, e il poeta tratteggia alcuni tipi: il frequentatore del caffè, l'abile schioccatore di frusta, il suonatore di corno, il costruttore di cocchi, l'intenditore di giochi e quello di cavalli, il paziente sfilacciatore di tappeti, lo specialista di partecipazioni nuziali o funebri. Si preparano le luci, i tavolieri, i seggi, le carte, incomincia il gioco, l'attività più intensa ed emozionante di quegli eroi "che il cieco vulgo adora". L'opera, pur rientrando nel gusto neoclassico del secolo XVIII e richiamandoci ogni tanto le Satire di Persio e di Giovenale e tra i moderni il Leggio del Boileau e il Ricciolo rapito del Pope, appare di una concezione assolutamente originale. Tutta la società patrizia del '700 si specchia nella limpida, elegante, classica poesia del Parini, e una luce netta, tagliente, spietata la illumina nel fasto esteriore e nella miseria interiore. La satira sprizza da un triplice contrasto: da una parte l'intonazione epica del canto con frequenti intarsi mitologici mette in grottesco e comico risalto la frivolezza della vita del protagonista; dall'altra il ricordo degli avi, rudi, attivi, dai gagliardi affetti e dalla maschia virtù schiaccia sotto il peso del ridicolo i nipoti raffinati, ignavi, viziosi; infine la rappresentazione commossa e cordiale dell'umile popolo sano, sobrio, rassegnato ai gravi stenti, alla dura fatica, si risolve in un'aperta, indignata condanna della classe corrotta e parassita che disprezza e calpesta come schiavi coloro da cui riceve la vita, gli agi, gli onori. Il tono generalmente ironico passa dal lieve riso canzonatorio alla magnanima indignazione attraverso una ricca gamma di sfumature. L'insistenza descrittiva ingenera una certa monotonia e un frequente ristagno; ma la società rappresentata, inebetita, fossilizzata, senz'anima, proiettata sullo sfondo del salotto settecentesco, rimane nella fantasia del lettore con una vivacità paragonabile alle pitture del Guardi e del Longhi, e con un'impronta morale ignota alle arti del secolo.
Augusto Massariello

Versi di una forza che m'ha fatto vincer l'avversione che ho agli sciolti e all'oscurità. (Baretti).

Nel Giorno pariniano campeggia da capo a fondo la ironia. (Foscolo). Originalità d'invenzione e di stile e direi quasi anche del verso, nell'immortale nostro Parini. (Manzoni).

L'ironia pariniana non è solo, come un fatto intellettuale, profonda, ma è anche sentimentale. E in questo è la sua originalità. (De Sanctis).

Del Giorno la mossa è didascalica, descrittivo il procedimento, tra epico e drammatico lo svolgimento. (Carducci)
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© 2009 - Luigi De Bellis