IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL SETTECENTO

Parini: Mattino


 

L'episodio è fondato sulla contrapposizione del risveglio dell'umanità che vive secondo natura nella cornice del risveglio dell'intera natura («sorgono» l'Alba, il Sole, il Mattino stesso; si allietano della ricomparsa della luce animali, piante, elementi naturali) e il risveglio del giovin signore, che avviene quando ormai il sole è alto nel cielo e tenta di penetrare fra gli spiragli delle imposte, arrecandogli -si noti - non letizia ma fastidio. Quello della Natura e del vivere secondo Natura è uno degli elementi costitutivi più importanti del sistema etico e ideologico pariniano ed è fondamentale per comprendere il significato più profondo del Giorno: tutta la vita, tutti i comportamenti del protagonista sono presentati come artificiosi, innaturali, inautentici e pertanto immorali.
All'inizio il Parini insiste nella descrizione del mattino della comune umanità, della gente che lavora e produce (dato non irrilevante: l'aristocrazia è presentata, per contrasto, come un ceto improduttivo e quindi socialmente inutile, anzi parassitario e quindi nocivo). Tale rappresentazione, specie per quanto concerne i «villani», ha fatto discutere: l'aggettivazione «buon villan», «caro Ietto», «fedel sposa», «sacri arnesi», ecc. è apparsa a taluno (ad esempio al Petronio) un residuo della maniera arcadica e quindi banale, «ovvia e trita», poco significativa contestualmente (per una più incisiva rappresentazione del mondo contadino nel Giorno stesso cfr. T185); altri (ad esempio lo Scavuzzo) ne hanno sottolineato viceversa proprio la funzione contestuale di richiamo al «registro della Natura» contrapposto a quello della « Contronatura» (nel primo le parole «rinviano direttamente ai loro significati primari», e additano i valori; nel secondo, che è poi quello ironico o antifrastico, le parole significano il contrario di quello che in apparenza dicono e fingono di celebrare i contro-valori). È quanto accade anche nel finale del passo, ma in verità con ben altra forza, quando la finta celebrazione delle imprese che hanno consentito l'importazione di quelle bevande di cui si compiace il giovin signore a colazione, si converte in scoperta deprecazione delle stragi dei conquistadores: ad esempio, «ben fu dritto» al v. 149 è ironico, come pure «gemma degli eroi» al v. 157, mentre «spietatamente» al v. 153 e «generosi» al v. 155 sono assunti nel loro senso proprio, vogliono cioè significare esattamente ciò che dicono. Quello ironico è comunque il registro fondamentale e dominante dell'intero poemetto, come altrove si è accennato: si notino gli appellativi con cui il precettore si rivolge al giovin signore e ai suoi pari - «celeste prole», «concilio di semidei», «eroi», ecc. - che ritorneranno costanti per tutta l'opera. Osserveremo infine come, accanto alla principale contrapposizione di cui si è discorso, se ne situi almeno un'altra particolarmente significativa: quella tra il giovin signore é il «duro Capitano», cioè il soldato. Spunto di questa antitesi è una descrizione minuta e precisa, secondo il gusto e i dettami della poetica sensistica, dello sbadiglio del protagonista (« de' labbri formando un picciol arco, / dolce a vedersi, tacito sbadiglia», vv. 114-115), cui appunto vien contrapposto il grido del capitano che dà gli ordini alle schiere («sgangherando le labbra, innalza un grido / lacerator di ben costrutti orecchi», vv. 118-119). I dettagli dello sbadiglio e del grido naturalmente rimandano a tutto un costume di vita o, per meglio dire, alle qualità d'animo dei due diversi personaggi: molle ed effeminato il giovin signore (si noti l'aggettivazione che nei versi precedenti è attribuita al letto in cui egli giace), "duro" e virile il capitano
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© 2009 - Luigi De Bellis