|
IL SETTECENTO
|
|
|
|
Parini: Mattino
L'episodio è fondato sulla
contrapposizione del risveglio
dell'umanità che vive secondo
natura nella cornice del
risveglio dell'intera natura
(«sorgono» l'Alba, il Sole, il
Mattino stesso; si allietano
della ricomparsa della luce
animali, piante, elementi
naturali) e il risveglio del
giovin signore, che avviene
quando ormai il sole è alto nel
cielo e tenta di penetrare fra
gli spiragli delle imposte,
arrecandogli -si noti - non
letizia ma fastidio. Quello
della Natura e del vivere
secondo Natura è uno degli
elementi costitutivi più
importanti del sistema etico e
ideologico pariniano ed è
fondamentale per comprendere il
significato più profondo del
Giorno: tutta la vita, tutti i
comportamenti del protagonista
sono presentati come
artificiosi, innaturali,
inautentici e pertanto immorali.
All'inizio il Parini insiste
nella descrizione del mattino
della comune umanità, della
gente che lavora e produce (dato
non irrilevante: l'aristocrazia
è presentata, per contrasto,
come un ceto improduttivo e
quindi socialmente inutile, anzi
parassitario e quindi nocivo).
Tale rappresentazione, specie
per quanto concerne i «villani»,
ha fatto discutere:
l'aggettivazione «buon villan»,
«caro Ietto», «fedel sposa»,
«sacri arnesi», ecc. è apparsa a
taluno (ad esempio al Petronio)
un residuo della maniera
arcadica e quindi banale, «ovvia
e trita», poco significativa
contestualmente (per una più
incisiva rappresentazione del
mondo contadino nel Giorno
stesso cfr. T185); altri (ad
esempio lo Scavuzzo) ne hanno
sottolineato viceversa proprio
la funzione contestuale di
richiamo al «registro della
Natura» contrapposto a quello
della « Contronatura» (nel primo
le parole «rinviano direttamente
ai loro significati primari», e
additano i valori; nel secondo,
che è poi quello ironico o
antifrastico, le parole
significano il contrario di
quello che in apparenza dicono e
fingono di celebrare i
contro-valori). È quanto accade
anche nel finale del passo, ma
in verità con ben altra forza,
quando la finta celebrazione
delle imprese che hanno
consentito l'importazione di
quelle bevande di cui si
compiace il giovin signore a
colazione, si converte in
scoperta deprecazione delle
stragi dei conquistadores: ad
esempio, «ben fu dritto» al v.
149 è ironico, come pure «gemma
degli eroi» al v. 157, mentre
«spietatamente» al v. 153 e
«generosi» al v. 155 sono
assunti nel loro senso proprio,
vogliono cioè significare
esattamente ciò che dicono.
Quello ironico è comunque il
registro fondamentale e
dominante dell'intero poemetto,
come altrove si è accennato: si
notino gli appellativi con cui
il precettore si rivolge al
giovin signore e ai suoi pari -
«celeste prole», «concilio di
semidei», «eroi», ecc. - che
ritorneranno costanti per tutta
l'opera. Osserveremo infine
come, accanto alla principale
contrapposizione di cui si è
discorso, se ne situi almeno
un'altra particolarmente
significativa: quella tra il
giovin signore é il «duro
Capitano», cioè il soldato.
Spunto di questa antitesi è una
descrizione minuta e precisa,
secondo il gusto e i dettami
della poetica sensistica, dello
sbadiglio del protagonista («
de' labbri formando un picciol
arco, / dolce a vedersi, tacito
sbadiglia», vv. 114-115), cui
appunto vien contrapposto il
grido del capitano che dà gli
ordini alle schiere
(«sgangherando le labbra,
innalza un grido / lacerator di
ben costrutti orecchi», vv.
118-119). I dettagli dello
sbadiglio e del grido
naturalmente rimandano a tutto
un costume di vita o, per meglio
dire, alle qualità d'animo dei
due diversi personaggi: molle ed
effeminato il giovin signore (si
noti l'aggettivazione che nei
versi precedenti è attribuita al
letto in cui egli giace), "duro"
e virile il capitano .
|
|
|
| |
|
|
|
| |