IL SITO DELLA LETTERATURA

 Autore Luigi De Bellis   
     

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IL SETTECENTO

Parini: Alla musa


 

All'origine di quest'ode, accanto alla celebrazione della poesia e all'approdo ai valori estetici del neoclassicismo, sta uno dei più radicati miti personali del Parini: l'inappagata aspirazione del poeta alla vita coniugale. Su questo aspetto del componimento proponiamo un passo di Sergio Antonielli.

Alla Musa è una poesia molto complessa, fra le più complesse e costruite del Parini, simile in questo senso al Messaggio: un oggetto letterario che compone in sintesi una ricchezza di vita storica e ci tramanda l'immagine di una civiltà alla cui formazione abbiano contribuito decenni di esperienze artistiche e di costume. Basti pensare a come la sua edificante pedagogia scaturisca da un tema tipicamente occasionale, prenda figure come di personaggi in azione sopra una scena neoclassicamente allestita, si adorni di quadri in parole, si alleggerisca nel complimento del «caro modello». Personaggio di un discorso figurato, anzi sceneggiato, rivolto al marito, una donna giunta quasi al termine della sua prima gravidanza sente rievocato, in un complimento solo in apparenza di convenzione, l'attimo in cui per la prima volta è apparsa bella agli occhi di chi l'ha sposata. L'esperto di affetti e passioni non si può dire che sia scomparso.
Fra i diversi elementi che concorrono a formare questa complessità, se ne possono scegliere due per notare come l'ode sia profondamente legata alla personalità del suo autore: uno di ordine psicologico, l'altro di ordine letterario. Figura non secondaria dell'ode è la dolce rivale della Musa, la giovinetta classicisticamente «simile a rosa / tutta fresca e vermiglia al sol che nasce», la quale, pascendo tutto l'animo «del giovin cui diè nome il dio di Delo», rende questi dimentico del suo destino di poeta. Nel vagheggiarla e nel complimentarla, lo scrittore da tempo in grado di scrivere qualsiasi cosa compie ancora un atto di virtuosismo e giunge a celebrare la donna in un momento particolarmente critico della sua eterna storia naturale: «Ecco già Pale il nono mese or scioglie / da che sua fosti». Non ha molti riscontri, nella poesia antica e moderna, la figura della donna incinta di nove mesi. Il Parini giunge alla levitazione letteraria di un simile pondo per mezzo del suo mai affievolito, religioso rispetto della realtà: «La vérité est le fondement et la raison de la perfection et de la beauté», come aveva scritto La Rochefoucauld, oppure, come aveva scritto il Pope: «Whatever is, is right»; per mezzo del suo lungo esercizio di complimentare la donna in tutti gli aspetti della femminilità, dai più maliziosi ai più casti; ma soprattutto per mezzo della sua inclinazione psicologica a vagheggiare nei riti della vita coniugale tutte le dolcezze da cui la sua condizione di prete lo ha escluso. Abbiamo già citato una terzina di Per le nozze di Rosa Giuliani e Gaetano Fiori, del 1758: «Io non gustai del maritale amore, / però che giovinetto a la sua rete / San Pier m'ha colto papa e pescatore». È una confessione scherzosamente formulata, significativa di uno stato d'animo che non sarebbe mutato nel corso degli anni.
Ogni volta che il Parini tratta del maritale amore, i suoi versi portano il segno di una particolare commozione. « Oh beato colui che può innocente / nel suo letto abbracciar la propria sposa». «O tardi alzata dal tuo novo letto / lieta sposa..». E così di seguito. Non sono pochi i suoi versi che citati in elenco formerebbero una specie di elegia sul tema di una beatitudine che non sarà mai raggiunta. Egli non è scrittore da sottrarsi ai suoi compiti, e quando a malincuore, quando con ambiguità, quando con difficili discorsi sul rovescio dell'occasione, trova il modo di restare in equilibrio fra ciò che sente e ciò che gli viene chiesto. Scrivendo «per nozze», non sa sottrarsi a una sorta di sospiroso impaccio. Il tema lo tocca troppo. Non per questo, evidentemente, cessa di signoreggiare la propria commozione, di saperne sorridere, o di ricorrere ai diletti modi dell'espressione ambigua.
Dopo aver rintracciato altri precedenti di questo motivo pariniano, il critico così prosegue:
La sua tendenza a celebrare il matrimonio in sé e per sé, come un valore assoluto, porta anche il segno di una ingenuità che contrasta con l'esperienza del moralista, tanto più profondo e smaliziato in altre circostanze. Non è il vile cocchio, il rimpianto maggiore del Parini, ma il matrimonio. La sua concezione della vita coniugale e la conseguente polemica contro il cicisbeismo, contro la reciproca indifferenza o infedeltà dei coniugi, sono psicologicamente segnate dal rimpianto di chi per complesse o superiori ragioni sia stato escluso da quel tranquillo godimento del bene donna, che solo il vincolo del matrimonio, per felice congiungimento, una volta tanto, di leggi naturali e di leggi civili, nonché religiose, sembra poter assicurare.
Questo candore, questa immaturità nei confronti del legale esercizio della vita in due, questo sospiro di un paradiso negato, come contribuisce nel Giorno all'antifrastico biasimo del Giovin Signore e della «pudica» sposa non sua, così contribuisce alla celebrazione della perfetta coppia signorile dell'ode Alla Musa. Giovani, belli e nobili, arcades ambo, gli sposi perfetti stanno per avere un figlio. Lui per di più si chiama Febo d'Adda, come dire l'Apollo dell'Adda, il che non può non avere fatto impressione a chi in giovinezza si è chiamato Ripano Eupilino. Nulla di strano se la degna sposa è in grado di rivaleggiare con la Musa e se questa è invitata a promettere una ispirazione tutta particolare, «onde rapito, ci canterà che sposo / già felice il rendesti, e amante amato; / e tosto il rendersi dal grembo ascoso / padre beato». Il vagheggiamento dello stato coniugale si unisce a quello della poesia, due celebrazioni si fondono in una, il quadro vivente della poetica famiglia è composto. In funzione di questo quadro sono apparse all'inizio, fra le personificazioni del non-io pariniano, quelle del giovane intemperante e della donna procace
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© 2009 - Luigi De Bellis