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IL SETTECENTO
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Parini: Alla musa
All'origine di quest'ode,
accanto alla celebrazione della
poesia e all'approdo ai valori
estetici del neoclassicismo, sta
uno dei più radicati miti
personali del Parini:
l'inappagata aspirazione del
poeta alla vita coniugale. Su
questo aspetto del componimento
proponiamo un passo di Sergio
Antonielli.
Alla Musa è una poesia molto
complessa, fra le più complesse
e costruite del Parini, simile
in questo senso al Messaggio: un
oggetto letterario che compone
in sintesi una ricchezza di vita
storica e ci tramanda l'immagine
di una civiltà alla cui
formazione abbiano contribuito
decenni di esperienze artistiche
e di costume. Basti pensare a
come la sua edificante pedagogia
scaturisca da un tema
tipicamente occasionale, prenda
figure come di personaggi in
azione sopra una scena
neoclassicamente allestita, si
adorni di quadri in parole, si
alleggerisca nel complimento del
«caro modello». Personaggio di
un discorso figurato, anzi
sceneggiato, rivolto al marito,
una donna giunta quasi al
termine della sua prima
gravidanza sente rievocato, in
un complimento solo in apparenza
di convenzione, l'attimo in cui
per la prima volta è apparsa
bella agli occhi di chi l'ha
sposata. L'esperto di affetti e
passioni non si può dire che sia
scomparso.
Fra i diversi elementi che
concorrono a formare questa
complessità, se ne possono
scegliere due per notare come
l'ode sia profondamente legata
alla personalità del suo autore:
uno di ordine psicologico,
l'altro di ordine letterario.
Figura non secondaria dell'ode è
la dolce rivale della Musa, la
giovinetta classicisticamente
«simile a rosa / tutta fresca e
vermiglia al sol che nasce», la
quale, pascendo tutto l'animo
«del giovin cui diè nome il dio
di Delo», rende questi dimentico
del suo destino di poeta. Nel
vagheggiarla e nel
complimentarla, lo scrittore da
tempo in grado di scrivere
qualsiasi cosa compie ancora un
atto di virtuosismo e giunge a
celebrare la donna in un momento
particolarmente critico della
sua eterna storia naturale:
«Ecco già Pale il nono mese or
scioglie / da che sua fosti».
Non ha molti riscontri, nella
poesia antica e moderna, la
figura della donna incinta di
nove mesi. Il Parini giunge alla
levitazione letteraria di un
simile pondo per mezzo del suo
mai affievolito, religioso
rispetto della realtà: «La
vérité est le fondement et la
raison de la perfection et de la
beauté», come aveva scritto La
Rochefoucauld, oppure, come
aveva scritto il Pope: «Whatever
is, is right»; per mezzo del suo
lungo esercizio di complimentare
la donna in tutti gli aspetti
della femminilità, dai più
maliziosi ai più casti; ma
soprattutto per mezzo della sua
inclinazione psicologica a
vagheggiare nei riti della vita
coniugale tutte le dolcezze da
cui la sua condizione di prete
lo ha escluso. Abbiamo già
citato una terzina di Per le
nozze di Rosa Giuliani e Gaetano
Fiori, del 1758: «Io non gustai
del maritale amore, / però che
giovinetto a la sua rete / San
Pier m'ha colto papa e
pescatore». È una confessione
scherzosamente formulata,
significativa di uno stato
d'animo che non sarebbe mutato
nel corso degli anni.
Ogni volta che il Parini tratta
del maritale amore, i suoi versi
portano il segno di una
particolare commozione. « Oh
beato colui che può innocente /
nel suo letto abbracciar la
propria sposa». «O tardi alzata
dal tuo novo letto / lieta
sposa..». E così di seguito. Non
sono pochi i suoi versi che
citati in elenco formerebbero
una specie di elegia sul tema di
una beatitudine che non sarà mai
raggiunta. Egli non è scrittore
da sottrarsi ai suoi compiti, e
quando a malincuore, quando con
ambiguità, quando con difficili
discorsi sul rovescio
dell'occasione, trova il modo di
restare in equilibrio fra ciò
che sente e ciò che gli viene
chiesto. Scrivendo «per nozze»,
non sa sottrarsi a una sorta di
sospiroso impaccio. Il tema lo
tocca troppo. Non per questo,
evidentemente, cessa di
signoreggiare la propria
commozione, di saperne
sorridere, o di ricorrere ai
diletti modi dell'espressione
ambigua.
Dopo aver rintracciato altri
precedenti di questo motivo
pariniano, il critico così
prosegue:
La sua tendenza a celebrare il
matrimonio in sé e per sé, come
un valore assoluto, porta anche
il segno di una ingenuità che
contrasta con l'esperienza del
moralista, tanto più profondo e
smaliziato in altre circostanze.
Non è il vile cocchio, il
rimpianto maggiore del Parini,
ma il matrimonio. La sua
concezione della vita coniugale
e la conseguente polemica contro
il cicisbeismo, contro la
reciproca indifferenza o
infedeltà dei coniugi, sono
psicologicamente segnate dal
rimpianto di chi per complesse o
superiori ragioni sia stato
escluso da quel tranquillo
godimento del bene donna, che
solo il vincolo del matrimonio,
per felice congiungimento, una
volta tanto, di leggi naturali e
di leggi civili, nonché
religiose, sembra poter
assicurare.
Questo candore, questa
immaturità nei confronti del
legale esercizio della vita in
due, questo sospiro di un
paradiso negato, come
contribuisce nel Giorno all'antifrastico
biasimo del Giovin Signore e
della «pudica» sposa non sua,
così contribuisce alla
celebrazione della perfetta
coppia signorile dell'ode Alla
Musa. Giovani, belli e nobili,
arcades ambo, gli sposi perfetti
stanno per avere un figlio. Lui
per di più si chiama Febo
d'Adda, come dire l'Apollo
dell'Adda, il che non può non
avere fatto impressione a chi in
giovinezza si è chiamato Ripano
Eupilino. Nulla di strano se la
degna sposa è in grado di
rivaleggiare con la Musa e se
questa è invitata a promettere
una ispirazione tutta
particolare, «onde rapito, ci
canterà che sposo / già felice
il rendesti, e amante amato; / e
tosto il rendersi dal grembo
ascoso / padre beato». Il
vagheggiamento dello stato
coniugale si unisce a quello
della poesia, due celebrazioni
si fondono in una, il quadro
vivente della poetica famiglia è
composto. In funzione di questo
quadro sono apparse all'inizio,
fra le personificazioni del
non-io pariniano, quelle del
giovane intemperante e della
donna procace .
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