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GIOVANNI BOCCACCIO
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CIACCO E BIONDELLO
Questi due
personaggi - che troviamo nella
ottava novella della settima
giornata de Il Decamerone di
Giovanni Boccaccio (1313-1375) -
potrebbero benissimo, quando ci
si stancasse di citare i soliti
Calandrino e Bruno e Buffalmacco,
esser presi a esempio della
miglior vena del loro autore.
Sono due Fiorentini, cittadini
di quella Firenze un po'reale e
un po'immaginaria, dove
l'impegno per la burla sembra
tenere un luogo importantissimo,
superiore a quello, forse, di
ogni altra impresa. Si tratta,
infatti, di uno scherzo, fatto e
ricambiato: Biondello manda il
golosissimo Ciacco - con la
falsa previsione di mangiare
storioni - a un pranzo dove
questi non trova che poveri
cibi, e Ciacco - per vendetta -
eccita contro Biondello la furia
manesca di Filippo Argenti.
Novella, quindi, "di intreccio";
il che, tuttavia, non esclude la
rilevata determinazione dei
personaggi, individuati in un
mondo di intelligenza e di
finezza: Ciacco, pur goloso, è
"assai costumato e tutto pieno
di belli e di piacevoli motti",
Biondello - con evidenza anche
maggiore - è "piccoletto nella
persona, leggiadro molto e più
pulito di una mosca".
C'è, insomma, in entrambi,
l'implicito riferimento a
un'aria di cortesia, di una
superiore educazione nella quale
le burle e gli accanimenti non
turbano una fondamentale
compostezza dello spirito e anzi
rivelano - indipendentemente
dall'esteriore svolgersi della
vicenda - una fondamentale
inclinazione a quell'esercizio
delle virtù spirituali sulle
quali si innestano le idealità
umanistiche - o, se vogliamo,
pre-umanistiche - di Giovanni
Boccaccio.
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Ferdinando Giannessi |
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